Home 2010 26 Ottobre
26 Ottobre
Diminuiscono i progetti dei ricercatori italiani nell’European Research Council PDF Stampa E-mail
A tre anni dal via dell'European Research Council (Erc http://erc.europa.eu/index.cfm?) le proposte di ricerca avanzate in Europa dagli scienziati italiani sono più che dimezzate. Inizialmente su 9 mila progetti 1.600 giungevano dalla Penisola. «Ma è normale — afferma Claudio Bordignon rappresentante italiano nel consiglio scientifico — e dimostra come da parte dei nostri ricercatori vi fosse un segno di disperazione e una mancanza di alternative. Era evidente che molte proposte non avevano prospettive». Un bilancio in chiave italiana del triennio è emerso dalla tavola rotonda «Favorire la ricerca: alla ricerca di un modello» organizzata durante il I Convegno Arisla (Agenzia di ricerca per la sclerosi laterale amiotrofica). Ciò non significa che la situazione interna offra ora maggiori prospettive. Si è solo normalizzato il processo di richiesta e prevale chi ha maggiori doti per competere. Per quanto riguarda la qualità delle ricerche italiane (preferite biomedicina e fisica), non c'è differenza e sono competitive con quelle degli altri Paesi. «Ma a tre anni di distanza — aggiunge Bordignon — permane la tendenza negativa del nostro Paese nell'attrarre scienziati di altre nazioni come invece accade per Gran Bretagna, Germania e Svizzera dove oltre a trattenere i propri ricercatori si registra un flusso in entrata degli stranieri». Il consiglio europeo di ricerca dispone di un finanziamento di 7,5 miliardi di euro per il periodo del Settimo programma quadro dell'Unione che si concluderà nel 2013. «L'obiettivo entro questa data — aggiunge Bordignon — è quello di mettere a punto uno strumento per aiutare le ricerche finanziate a trovare sviluppo e applicazioni ricavandone i benefici necessari soddisfacendo così l'obiettivo per il quale era nato Erc». (G.  Caprara, Corsera 19-10-2010)
 
L’EUA (Association of European Institutions of Higher Education) a convegno PDF Stampa E-mail
L'Eua, organizzazione delle università europee, per la prima volta si riunisce in Italia. E ha scelto Palermo come sede per il convegno su "Diversità e aspetti comuni – Il volto mutevole delle università europee" in programma da oggi a sabato. Al meeting che sarà articolato in diversi incontri interverranno circa 350 tra rettori e delegati. Un appuntamento che si rinnova annualmente dal 2001, anno di nascita di questo organismo dell'Eua di cui fanno parte 850 membri in rappresentanza di 46 Paesi d'Europa. Del Consiglio dell'Eua fanno parte 186 Università d'Europa, di cui 16 italiane. Un numero che pone il nostro Paese al terzo posto, dopo l'Inghilterra e la Germania. (Sole Sud 20-10-2010)
 
26 miliardi perduti ogni anno nell’alta formazione PDF Stampa E-mail
Si pensi al problema della cosiddetta fuga dei cervelli: se ogni anno 35.000 laureati e dottori di ricerca italiani trovano impiego in centri di ricerca prestigiosi degli Stati Uniti e dell’Europa ciò significa che il livello di alta formazione espresso dall’Università italiana è fra i più elevati al mondo. A questo proposito però si pone un problema davvero drammatico: i 35.000 cervelli annualmente in uscita, a cui corrisponde un flusso in entrata di soli 4000 laureati e dottori di ricerca stranieri, sono costati allo stato e alle famiglie per la formazione circa 600 mila euro ciascuno: il che significa che l’Italia si priva di intelligenze di eccezionale valore (motivo di grande orgoglio ma di grande angoscia per l’intera società italiana) mentre elargisce generosamente ogni anno circa 20 miliardi di euro a Stati non certo bisognosi come gli Usa, l’Inghilterra, la Germania e la Francia. Se a ciò si aggiunge che dei 15 miliardi di € di contributi Ue per l’alta formazione pagati ogni anno dal nostro Paese ne ritornano soltanto 9, arriviamo a un totale di 26 miliardi di euro perduti ogni anno: uno spreco che grida vendetta. (da una Lettera aperta al Presidente del Consiglio di E. Pelizzetti, rettore dell’università di Torino, La stampa 21-10-2010)
 
Gemmazione di top universities PDF Stampa E-mail
Il livello di competitività dei sistemi accademici nazionali dipende da diversi fattori, culturali e di contesto, in primis la tipologia di finanziamento e i sistemi incentivanti. Nel mondo anglosassone il perseguimento di un vantaggio competitivo ha portato all'affermarsi di top university capaci di attrarre, sviluppare e trattenere talenti nazionali e stranieri, tra il corpo docente e discente, ma anche capaci di attrarre finanziamenti pubblici e privati, donazioni e imprese nazionali e internazionali sul territorio, che beneficia quindi delle conseguenti ricadute economiche. La competizione ha generato università "di serie A, B e C", che rilasciano titoli di valore diverso. Al contrario, l'assenza di competitività, unita a radicate prassi clientelari, ha prodotto in Italia gli effetti rivelati da uno studio bibliometrico della produzione scientifica universitaria. Nell'arco dei cinque anni (2004-2008) che saranno oggetto di valutazione da parte del Civr, risulta che 6.640 (16,8 per cento) dei 39.512 strutturati (ricercatori e professori di I e II fascia) nelle "scienze dure" non ha pubblicato alcun articolo scientifico nelle riviste censite da Web of Science (WoS). Altri 3.070 accademici (7,8 per cento del totale), pur avendo pubblicato, non risultano mai citati D che significa che 9.710 strutturati (pari al 24,6 per cento del totale) non hanno avuto alcun impatto sul progresso scientifico. La distribuzione della produzione scientifica segue una legge quasi paretiana: il 23 per cento degli accademici ha realizzato il 77 per cento degli avanzamenti scientifici complessivi. Il realismo porta a pensare che nessun governo in Italia sia disposto a tagliare chi non produce nella ricerca, ma si può almeno sperare in sistemi incentivanti che leghino le retribuzioni al merito. Lo stesso realismo induce a ritenere che nessun governo, ammesso che lo condivida, sia disposto ad affrontare il rischio della transizione dal sistema attuale a uno fortemente competitivo come quello americano, auspicato da alcuni studiosi. Si dovrebbe perciò favorire la nascita per gemmazione di nuove università, equamente distribuite sul territorio, verso le quali far migrare dalle attuali sedi, solo i "top scientist" del sistema di ricerca pubblico nazionale. Con un investimento molto basso, relativo ai soli costi infrastrutturali, si potrebbero creare in breve tempo quelle top università che i sistemi competitivi hanno prodotto nell'arco di decenni in altri contesti nazionali, università in grado di competere a livello internazionale. Le top università così costituite sarebbero per natura fortemente immuni al virus del clientelismo e più inclini ad adottare strategie e pratiche virtuose, tipiche di chi opera in sistemi competitivi. La scelta di fondo è se continuare a puntare al miglioramento di 90 università di serie B pressoché uniformi o far emergere nel breve, attraverso una redistribuzione dei ricercatori pubblici, una dozzina di università di serie A, con effetti positivi non sa lo sull'economia, ma anche sulla mobilità sociale. (Denaro 21-10-2010, da G. Abramo, lavoce.info)
 
L’università nel collegato lavoro approvato dalla Camera PDF Stampa E-mail

La Camera dei deputati ha approvato il 19 ottobre 2010 in via definitiva il disegno di legge (cosiddetto Collegato lavoro) recante deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.

Università (articoli da 8 a 12). Arrivano una serie di norme che interessano gli atenei:

Elezioni degli organismi - Vengono rivisti alcuni criteri sulle elezioni delle cariche universitarie. L'elettorato passivo è esteso anche ai professori di seconda fascia nel caso di mancato raggiungimento per 2 votazioni del quorum previsto per l'elezione.

Assunzione ricercatori - Le risorse stanziate fino al 2011 dalla legge 133/2008 per l’assunzione di personale universitario restano limitate ad almeno il 60% a favore dei soli ricercatori escludendo i contrattisti di cui alla legge 230/2005. Le quote a favore dei ricercatori non si applicano agli Istituti di istruzione universitaria ad ordinamento speciale. Nelle procedure di reclutamento dei ricercatori la valutazione comparativa è effettuata sulla base dei titoli e delle pubblicazioni dei candidati, compresa la tesi di dottorato, senza necessità che vengano più discussi e illustrati davanti alla apposita Commissione.

Ricercatori della scuola superiore di economia - In caso di passaggio dei ricercatori in servizio presso la Scuola superiore dell’economia e delle finanze alle università statali, dovranno essere trasferite le risorse finanziarie per la corresponsione del trattamento retributivo del ricercatore trasferito.

(da Tabella di sintesi a cura di P. Gremigni, Il Sole 24 Ore 21-10-2010)
 
« InizioPrec.12345678Succ.Fine »

Pagina 3 di 8