Home 2011 25 Gennaio
25 Gennaio
Università di Trento. Premio con decurtazione finale PDF Stampa E-mail
L'Università di Trento è l'unico ateneo d'Italia, assieme al Politecnico di Torino, che nel 2010 ha migliorato le performance rispetto all'anno precedente. In base ai criteri di merito, nonostante i tagli previsti dal governo, avrebbe dovuto ottenere un finanziamento "premio" di 1 milione di euro. In realtà questa cifra, a Trento, non arriverà mai: il Ministero ha costretto a cederla per aiutare gli atenei con i conti in rosso. In base ai criteri di merito, nonostante un taglio generalizzato dei fondi del 3,7%, l'ateneo trentino avrebbe dovuto ottenere un "premio" attraverso un finanziamento di circa 1 milione di euro (con un aumento del budget previsto dell'1,5% rispetto al 2009). In realtà non arriverà un euro in più rispetto all'anno scorso. Infatti, il Ministero ha stabilito che gli atenei con i risultati migliori (Trento e Torino, appunto) dovevano rinunciare al finanziamento per aiutare le università peggiori. Il famoso laccio attorno alle gambe. Molti atenei in dissesto finanziario e con performance scadenti (Messina, Palermo, La Sapienza di Roma, Federico II di Napoli, Perugia, Cagliari, Bari, Venezia Iuav) se si fosse applicato il principio di meritocrazia avrebbero dovuto subire un taglio di risorse superiore al 10%. Per evitare questa "mazzata" il governo ha deciso di usare i fondi degli atenei più bravi per "tappare il buco" e fare in modo che i tagli non superassero il 5,5%. In questo modo, però, non si rilancia un sistema universitario già in difficoltà. Così non si spronano di certo le Università italiane ad avvicinarsi agli standard europei, come Trento sta facendo da anni.
(J. Tomasi, trentino corriere alpi 13-01-2011)
 
Politecnico di Torino. Premio con ridistribuzione finale a favore degli atenei che non hanno meritato PDF Stampa E-mail
Una delle principali innovazioni varate dal ministro Gelmini consiste nel ripartire il 7% del fondo di finanziamento per gli oltre settanta atenei (7,2 miliardi di euro nel 2009, ridotti a 6,9 nel 2010) secondo criteri di merito. Più soldi ai migliori; meno - o nessuno - agli ultimi della classe. L’idea suona come un passo in avanti verso la costruzione di un sistema meritocratico. La beffa risiede nel fatto che se la torta diminuisce l’unico vantaggio che resta ai più bravi è subire qualche taglio in meno. È quel che è accaduto al Politecnico di Torino. La notizia è che per il ministero dell’Istruzione l’ateneo torinese è stata la migliore università italiana nel 2009, secondo i criteri stabiliti per misurare la qualità della ricerca e della didattica. Peccato che il primato non si è tradotto in un massiccio afflusso di fondi: rispetto al 2009, il «Poli» chiuderà il bilancio 2010 incassando dallo Stato 118,6 milioni di euro, la stessa cifra dell’anno precedente. Insomma, per non perderci si è dovuto classificare in cima alla lista, il che significa che tutti gli altri atenei (ad eccezione di Trento, seconda) ci rimetteranno. Il decreto che ha stanziato i fondi conferma i tagli previsti: la cassa segna un meno 3,7%. Tagli per tutti, dunque. Anche per i migliori. Nessuno ha incassato un euro in più. Anzi, per contenere i tagli secchi che gravavano su alcuni atenei del Sud precipitati nella graduatoria (Napoli, Messina, Palermo, La Sapienza) il ministero si è voluto inventare un sistema di riequilibrio: si è stabilito che nessun ateneo potesse vedere il proprio Ffo decurtato di oltre il 5,5% rispetto al 2009. Chi è crollato ha beneficiato del fondo di riequilibrio, usufruendo dei fondi che sarebbero dovuti finire ai meritevoli. Messina si è salvata grazie a 6,5 milioni di euro, Napoli è rimasta a galla con 2,5 milioni racimolati dalla rete di protezione (12,3 milioni di euro). E il Politecnico di Torino, primo della classe, è riuscito a mantenere invariato il proprio Ffo, ma ha dovuto rinunciare - per permettere al sistema di salvare le maglie nere - ai 3,3 milioni che avrebbe dovuto ottenere. Stesso discorso per Trento, che ha dovuto dire addio a 850 mila euro.
(A. Rossi, La Stampa 14-01-2011)
 
Sull’indicatore B3 quale criterio della “quota premiale” del FFO delle università per il 2010 PDF Stampa E-mail
Consideriamo l’indicatore B3 (con peso 0,30 nella frazione di “quota premiale” dedicata alla ricerca - versione finale): «Coefficiente di ripartizione delle risorse destinate alle Aree – VTR 2001-2003 – CIVR» che fa uso del ben noto esercizio di valutazione comparativa della ricerca messo in opera dal CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca) ormai diversi anni fa, con riferimento al triennio 2001-2003. La popolarità di questo programma di valutazione si fonda sull’analogia di principio con il più blasonato, e sperimentato, Research Assessment Exercise britannico, che da più di vent’anni viene usato dagli enti pubblici incaricati del finanziamento del sistema di istruzione superiore nelle quattro regioni del Regno Unito per calcolare l’ammontare della quota corrispondente al sostegno strutturale delle attività di ricerca in ciascuna istituzione del Paese. Insomma, pare a molti che questo sistema di valutazione sia quello più vero, e adeguato, per dare riconoscimento, anche finanziario, al merito delle Università. Ma è proprio così? Leggiamo cosa scrivono M. Bressan, S. Miscia, R. Palumbo, E. Reale, P. Sacchetta, M. Seeber e M. Impicciatore in un articolo di sintesi (“Caratteristiche e dimensioni del Vtr”) che apre il volume “La valutazione della ricerca pubblica. Un'analisi della valutazione triennale della ricerca” a cura di Emanuela Reale, interamente dedicato al Vtr: «[…] il Vtr non può essere considerato come un esercizio in grado di fornire una valutazione del sistema pubblico di ricerca nazionale. Ancorché le strutture vigilate dal Miur abbiano tutte aderito al Vtr, importanti settori di ricerca nazionali non sono stati coperti dall’esercizio. Inoltre, il numero limitato di prodotti sottoposti a valutazione esclude che il giudizio possa essere considerato idoneo a produrre un assessment complessivo della performance scientifica delle strutture che si sono sottoposte a valutazione». Il Vtr ha poco a che vedere con il RAE britannico, ove le regole e la prassi vigente hanno consentito, pur con i limiti e le continue modifiche sviluppate nel corso degli anni, la definizione di codici di condotta e la chiara comprensione degli obiettivi e dei risultati della valutazione. Colà è posta in capo al singolo ricercatore (dai Professor ai Research Assistant) la facoltà di indicare, ciascuno, un numero di prodotti non superiore ad un certo massimale (es.: 4 articoli, nell’ambito scientifico), mentre la struttura può solo esercitare una sorta di giudizio di “trade-off” fra quantità e qualità presunta, per la submission.
(Da Anvur Cronaca Blog 13-01-2010)
 
Commenti e giudizi sulla riforma dell’università PDF Stampa E-mail

Le forti reazioni che ha suscitato la riforma universitaria sono giustificate dall’importanza cruciale per il futuro del paese e delle nuove generazioni; ma troppo spesso i giudizi sembrano colorati dall’ideologia e dal preconcetto. Certo, non aiuta il formarsi di una valutazione consapevole il fatto che la legge sia di ardua lettura: le 37 pagine, quasi 20.000 parole delle “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e di reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario” spesso costringono il lettore a navigare tra periodi burrascosi e involuti; anche i più volenterosi, a buon diritto abbandonano quando devono venire a capo di cose come: L’attuazione del comma 1, lettere a), b) e c), ad eccezione di quanto previsto al comma 3, lettera g), e al comma 4, lettera l), non deve determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Gli eventuali maggiori oneri derivanti dall’attuazione del comma 1, lettera d), dovranno essere quantificati e coperti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Spero pertanto di fare cosa grata nell’offrire una versione liberamente interpolata della legge, un taglia e cuci in cui sono stati “sciolti” o eliminati i riferimenti-matrioska, si è cercato di andare al sodo delle disposizioni normative tralasciando le declaratorie di principio, si sono trascurati alcuni dettagli secondari; alla fine di questo processo, rimangono nondimeno 13 pagine dense e pesanti, ma almeno largamente self-contained e spero chiare. Ho mantenuto quasi sempre i termini e il linguaggio originari della legge: questo non facilita la lettura, ma minimizza il rischio di distorcere il contenuto della norma. Questa “traduzione” è stata il passo necessario per procedere a un’analisi spassionata, per formulare in modo consapevole un mio giudizio, che è contenuto in quanto segue. Il testo completo in questo url: http://www.eief.it/terlizzese/files/2011/01/commenti-alla-riforma-gelmini.pdf.

(D. Terlizzese, lavoce.info 14-01-2011)
 
Decreti attuativi della riforma universitaria attinenti all’area sanitaria PDF Stampa E-mail

Scattano ora i 6 mesi entro i quali il Ministero dovrà adottare a tappe i 42 decreti attuativi della legge di riforma universitaria, ovvero decreti legislativi, atti ministeriali e deleghe, che toccano direttamente anche l’area sanitaria come ad es. l’art. 6 , comma 13, che prevede appositi accordi con il Ministero della Salute e con le Regioni: “Entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero, di concerto con il Ministero della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita la Conferenza dei presidi delle facoltà di medicina e chirurgia riguardo alle strutture cliniche e di ricerca traslazionale necessarie per la formazione nei corsi di laurea di area sanitaria di cui alla direttiva 2005/36/CE del Parlamento e del Consiglio, del 7 settembre 2005, predispone lo schema-tipo delle convenzioni al quale devono attenersi le università e le regioni per regolare i rapporti in materia di attività sanitarie svolte per conto del Servizio sanitario nazionale”. Collegato a questo è un altro adempimento più volte rinviato, da ultimo con il DM MIUR n. 17 del 22 settembre 2010, in attesa della definizione di appositi requisiti per i corsi di studio delle professioni sanitarie, per le quali è previsto un apporto significativo di docenza non universitaria, art 12, comma 3.

Fra gli altri atti delegati del DDL 1905 B in scadenza si citano: Settori Scientifico Disciplinari, art. 15, riduzione dei Settori da 370 a circa la metà, da farsi entro 60 giorni. L’ipotesi che era stata formulata dal CUN a novembre 2009 per la riduzione dei SSD MED sarebbe da 50 a 30.



MACROAREE (Livello 1) Scienze della vita. Ricomprende le Aree 03, 05, 06, 07.

DECLARATORIE e DESCRITTORI (Livelli 3, 4 e 5) Equipollenza, art. 17, sono resi equipollenti alla Laurea, con il diritto alla qualifica accademica di Dottore, i diplomi delle Scuole dirette a fini speciali DPR 162/1982 e dei Diplomi Universitari Legge 341/1990, purché di durata triennale. Mentre per quelli precedenti a durata biennale si rinvia alle procedure del riconoscimento crediti. Si prevede entro 120 giorni l’apposito DM MIUR per identificare la classe di laurea di appartenenza per tali titoli. Docenza a contratto, art. 23, commi 1 e 2, si superano i dubbi posti dalla Legge 230/2005 sull’affidamento dell’attività didattica al personale tecnico amministrativo (PTA) non docente, dipendente universitario (art 1, comma 10).

Infatti la frase “ad esclusione del personale tecnico amministrativo delle università” prevista dalla Legge 230 e dal DDL originario 1905, all’art 11, è stata cancellata nelle versione definitiva 1905B dell’art. 23, comma 2. A determinarlo sono stati alcuni emendamenti – bipartisan – che erano stati presentati al Senato da parte di G. Caforio (IdV), n.11.10, R. Calabrò (PdL), n.11.14., G. D’Alia (UDC), n.11.9.,che hanno infine portato ad un emendamento unico e condiviso da parte del relatore, con relativa approvazione, G. Valditara (FLI), n. 11.16 (2). Ma quest’apertura dell’art. 23 potrebbe essere ostacolata dalla clausola del limite minimo di reddito di 40mila euro per un dipendente pubblico chiamato a insegnare a contratto, sia come dipendente universitario sia ospedaliero. E’ la situazione attuale, com’è avvenuto finora indipendentemente dal reddito, fin dalla circolare del 14 luglio 1997. Tuttavia questa clausola del reddito potrebbe essere cambiata, poiché proprio l’art. 23 è fra i 4 articoli su cui il Presidente della Repubblica, G. Napolitano, ha espresso perplessità, in questo caso sul reddito minimo di 40mila euro. Tale tesi è condivisa anche del relatore del DDL 1905, G. Valditara.

(da http://fisio-news.blogspot.com/2011/01/milano-convegno-spif.html)

 
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