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28 Marzo
L’incardinamento della docenza nel quadro della riorganizzazione dipartimentale PDF Stampa E-mail

I settori concorsuali segnano l'affinità epistemologica, necessaria per essere abilitati alla docenza. I settori scientifico-disciplinari segnano la declinazione didattico-organizzativa delle varie scienze. Non sarebbe un caso, quindi, che il legislatore abbia specificato il concetto di “omogeneità” facendo riferimento ai settori scientifico-disciplinari e non ai settori concorsuali.

L'omogeneità (non affinità) tra partizioni didattiche di aree epistemologicamente diverse potrebbe costituire un criterio di aggregazione 'trasversale' tra discipline che perseguono finalità formative comuni.

La problematica dipartimentale non si esaurisce nella definizione di omogeneità. È necessario specificare le regole di afferenza dei settori ai dipartimenti, le regole di afferenza e permanenza dei docenti ai dipartimenti, le regole di sostenibilità dell’afferenza di ciascun settore a ciascun dipartimento, le regole di prevenzione dei conflitti d’interesse. In presenza di dipartimenti ordinari, cioè di quei dipartimenti che organizzano al loro interno didattica e ricerca, secondo la previsione generale della legge, i settori che possono essere ritenuti omogenei (non in astratto, ma in ciascuna specifica struttura funzionale) dovrebbero essere quelli essenziali per l’organizzazione dei corsi di studio che si ritiene fare afferire allo specifico dipartimento, garantendo presenza proporzionale al numero di crediti da erogare in ciascun corso. E’ necessario definire criteri e modalità di assegnazione dei docenti ai dipartimenti. Le regole di afferenza dei docenti di ciascun settore presente in ciascuna struttura dipartimentale dovrebbero garantire:

a) la libertà di scelta in prima applicazione. La permanenza della tipologia organizzativa “dipartimento” non implica l’automatica sopravvivenza di alcuno degli attuali dipartimenti. È necessario, quindi, stabilire criteri che consentano a ciascuno la libertà di afferire a dipartimenti coerenti con le proprie opzioni didattiche e scientifiche, fermo restante che nessuno può andare in dipartimenti che non prevedono la presenza dello specifico settore scientifico-disciplinare.

b) la stabilità dell’incardinamento (o almeno la durata minima) utile per garantire la funzionalità della didattica dipartimentale per un tempo significativo. Il ruolo di appartenenza è presso l’ateneo, l’utilizzazione funzionale è presso un dipartimento che consenta il libero svolgimento delle attività di didattica e di ricerca.

c) la garanzia che in ciascun dipartimento sia presente un nucleo minimo essenziale di docenti afferenti a specifici settori scientifico-disciplinari, adeguato alla funzione didattica.

Tendenzialmente si dovrebbe immaginare che ciascun settore sia presente una sola volta in ciascuna aggregazione dipartimentale, salvo deroghe espressamente giustificate da necessità didattiche e di ricerca.
(Fonte: G. Vecchio, Step1 01-03-2011)
 
La funzione dei nuovi dipartimenti e delle strutture di raccordo PDF Stampa E-mail
La riforma, attribuendo ai dipartimenti «le funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica, delle attività didattiche e formative, nonché delle attività rivolte all'esterno a esse correlate e accessorie», sembra configurare un assetto organizzativo in cui i dipartimenti (le strutture che dovrebbero occuparsi in primis della ricerca) abbiano la responsabilità totale di tutte le attività. Il legislatore, però, rendendosi conto che messa così ci potrebbero essere seri problemi, lascia agli atenei la possibilità di istituire «strutture di raccordo» tra dipartimenti, con «funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche, compresa la proposta di attivazione e soppressione dei corsi di studio, e di gestione dei servizi comuni». Insomma la legge dice: le facoltà sono abolite però, se necessario, qualcosa di simile bisogna che esista, altrimenti la didattica viene parcellizzata e risulta ingovernabile. Merita qui ricordare che in tutte le università del mondo occidentale esistono strutture di secondo livello (denominate facoltà, scuole, college) che hanno la responsabilità di coordinare e governare la didattica. Si tratta di un'esigenza funzionale che serve alle università per assicurarsi economie di scala sia nella progettazione culturale dei corsi di studio sia nella gestione delle risorse finanziarie. Non si capisce perché la legge di riforma abbia voluto rendere queste strutture di secondo livello facoltative, soprattutto tenuto conto che essa stabilisce che i professori e i ricercatori siano incardinati, come giusto, nei dipartimenti e non più nelle facoltà (quindi eliminando il potere delle facoltà sui "posti"). Su questa tematica, in molti atenei, si sta facendo una grande confusione. Si fa fatica a capire che le nuove "strutture di raccordo" non hanno niente a che fare con le vecchie facoltà (che erano non solo il modo di presentarsi all'esterno delle università ma anche la struttura che gestiva il personale docente), e non si capisce che le nuove strutture di raccordo dovrebbero essere degli organi interni di governo della didattica, senza i quali si rischiano due effetti perversi: la frammentazione della didattica, a danno degli studenti, e la "facoltizzazione" dei dipartimenti, a danno della ricerca.
(Fonte: G. Capano, Europa 30-08-2011)
 
Non regolari bandi per contratti di docenza successivi all'entrata in vigore della legge PDF Stampa E-mail
Alcune Università hanno emanato bandi per incarichi di docenza a contratto nel periodo successivo al 29 gennaio 2011, e quindi all'entrata in vigore della Legge 240/10 (la Legge Gelmini).Tali bandi sono irregolari, in quanto al momento i "Contratti per attività d’insegnamento" possono essere utilizzati unicamente per l'assegnazione di incarichi di docenza ai professori e ai ricercatori, ma non possono essere utilizzati per l'assegnazione di incarichi a personale esterno o non strutturato, non essendo ancora stato emanato il Decreto ministeriale che ne fissa la retribuzione minima. Per questo motivo la FLC CGIL ha inviato una comunicazione a tutti gli Atenei informandoli del fatto che l'importo di tali incarichi di docenza banditi successivamente al 29 gennaio, laddove inferiore, dovrà essere successivamente integrato sino al raggiungimento dell'importo minimo stabilito dal suddetto Decreto ministeriale (ex art. 23, comma 2, Legge n. 240/2010).
(Fonte: FlcCgil 18-03-2011)
 
In uno schema di DPCM sei mesi di tempo in più per assumere PDF Stampa E-mail
Dopo la mancata proroga degli sconti per il calcolo delle spese del personale universitario, uno schema di decreto del presidente del consiglio dei ministri (ora all'attenzione delle commissioni parlamentari) prevede la possibilità per gli atenei di assumere personale, fino a dicembre 2011 anziché marzo 2011, nel limite del 50% della spesa risultante dal turnover. Di questa percentuale le università potranno destinare il 60% di questa somma ai ricercatori TD e TI, e per una quota non superiore al 10% all'assunzione di professori ordinari. Nei limiti previsti questa proroga, dovrebbe servire anche a effettuare le stabilizzazioni. In realtà permane il fatidico limite del 90% della spesa per il personale stabilito dalla legge 1 del 2009 che vieta di poter fare assunzioni a tutti quegli atenei che hanno superato la soglia del 90% del Ffo. Una soglia che, per l'assenza nel decreto milleproroghe per il 2011 dei consueti criteri di calcolo nel rapporto tra la spesa di personale e Ffo, è superata da 36 atenei sul totale di 66 università statali.
(Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 23-03-2011)
 
Correzione delle norme vigenti su capacità di spesa degli atenei per la gestione del turnover. Mozione del CUN PDF Stampa E-mail
Il CUN chiede un provvedimento normativo urgente che consenta agli Atenei di poter impiegare dal 2012 fino al 50% del valore del turnover per reintegrare almeno parzialmente gli organici a tempo indeterminato che si stanno riducendo, talvolta anche in modo assai significativo, a causa di pensionamenti e uscite volontarie. Inoltre, preso atto che l’art. 9, comma 28 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito con Legge n. 122/2010, pone alle Pubbliche Amministrazioni un limite alla possibilità di avvalersi di personale a tempo determinato nella misura del 50% di quanto speso nel 2009 e che tale limite, inteso letteralmente, renderebbe impossibile assumere i ricercatori a tempo determinato previsti dalla Legge 30 dicembre 2010 n. 240, se non in misura assolutamente irrisoria rispetto al fabbisogno strutturale del Sistema Universitario Italiano, chiede con forza che per le figure previste dalla Legge 240/2010, art. 24, si prevedano deroghe specifiche atte a consentire agli Atenei di programmare con continuità il necessario ricambio generazionale.
(Fonte: Mozione CUN 10-03-2011)
 
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