Home 2011 28 Marzo
28 Marzo
La retribuzione dei professori universitari. Mito e realtà PDF Stampa E-mail
Negli ultimi anni la polemica sui guadagni degli universitari è stata virulenta e tesa ad abbattere il “mito” della bassa retribuzione dei professori universitari italiani, che sarebbero “poveri ma bravi”. Non è facile affrontare questo tema in quanto non sono molte le indagini internazionali comparative sulla struttura salariale dei docenti universitari; questa volta l’Oecd non ci viene in soccorso (si limita agli stipendi del personale della scuola) e anche Eurostat tace. Dobbiamo quindi cercare di capirne qualcosa dalle poche fonti d’informazione a nostra disposizione. Perotti si limita a paragonare gli stipendi nelle università italiane e britanniche, arrivando alla conclusione che, benché gli stipendi iniziali italiani siano inferiori alla media di 10 università britanniche e ancor più a quelli di Oxford, tuttavia le retribuzioni medie e massime di ricercatori e associati sono superiori; per quelle degli ordinari inglesi non è disponibile il dato del massimo, ma Perotti “suppone” anche che siano inferiori a quelle italiane. Come chiosano Alesina e Giavazzi, «Perotti calcola che a sessant’anni la retribuzione di un professore universitario - indipendentemente dalla sua produttività - è maggiore di quella dell’80% dei professori universitari statunitensi a tempo pieno che insegnano in un’università con un corso post-laurea e del 95% di quelli che insegnano in università che non offrono corsi post-laurea. E questa sarebbe la miseria che prendono i professori universitari!». È il là per una campagna di stampa in cui viene sparato a pieni titoli che gli universitari italiani “lavorano 3 ore il giorno e guadagnano 10mila euro il mese”, così come si legge nel titolo di un’inchiesta del ‘Il Giornale’ del 21 luglio 2008, che utilizza i dati della Ragioneria dello Stato ripresi a loro volta da Il Sole 24 Ore del maggio precedente. Ma tali cifre necessitano di alcuni indispensabili chiarimenti. Innanzi tutto - ed è la cosa più importante - gli anni di anzianità sono nel ruolo e non nella carriera universitaria. Ciò significa che al passaggio di fascia (ad es., da associato a ordinario) si ricomincia quasi d’accapo perché della carriera pregressa sono riconosciuti al massimo 8 anni. Quindi, un associato che ha 20 anni di servizio, nel momento in cui diventa ordinario avrà solo 8 anni di servizio e sarà inquadrato pertanto nella 4ª classe stipendiale. Se si considera che lo stesso avviene per il passaggio da ricercatore ad associato, è facile immaginare quanta anzianità si perde. Inoltre, non si diventa ordinari subito dopo la vittoria della “valutazione comparativa”, ma prima si resta per tre anni “straordinari”, con stipendio iniziale fisso (il periodo di “prova”) cui succede la conferma in ruolo con un’apposita valutazione da parte di una commissione nominata dal Ministero. Perciò si perdono altri tre anni. Insomma, per sviluppare il massimo della carriera da ordinario, considerando che attualmente il pensionamento è previsto a 70 anni, e così arrivare allo stipendio netto di 4.906 euro (senza considerare gli scatti biennali) bisogna diventarlo almeno a 47 anni, assumendo di avere già accumulato un’anzianità di associato di almeno 8 anni e tenendo conto dei tre anni di straordinariato. Ma come sappiamo dall’ultimo rapporto del CNVSU (Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario, Undicesimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, Gennaio 2011, p. 140) l’età media d’ingresso in ruolo per professore ordinario ha il suo massimo nel 2008 di 57,3 anni, con una media di 51,4 nel periodo 2000-2010. Perciò si è calcolato che in media i professori ordinari possono maturare un’anzianità di 22-23 anni.
(Fonte: Blog di F. Coniglione 23-03-2011)
 
Primo corso universitario in Italia su ebook PDF Stampa E-mail

Dalla collaborazione fra Webster, Università degli Studi di Padova e Asus nasce il primo corso universitario basato su eBook: il programma di didattica sperimentale, unico a livello nazionale, mette le tecnologie di maggiore avanguardia nell’editoria digitale a disposizione della ricerca accademica e della formazione dei giovani. Concepito da libreriauniversitaria.it nel quadro dell’impegno verso lo sviluppo tecnologico per l’Editoria e per l’Università, il progetto è stato realizzato con tre docenti dell’Università degli Studi di Padova (P. Gubitta, M. Gianecchini e D. Campagnolo) in uno dei corsi più innovativi dell’Ateneo, Italian Entrepreneurship, e con Asus, che ha messo a disposizione i suoi Eee Note EA-800, innovativi quaderni digitali che consentono di prendere appunti in modo estremamente naturale e assicurano numerose altre funzionalità, tra cui quella di eReader, voice recorder, la riproduzione di audio libri e la possibilità di scattare foto.

Il programma, che sarà presentato ufficialmente il 29 marzo, apre nuove opportunità sia per l’Università, per i vantaggi che l’editoria digitale può offrire agli studenti migliorando la qualità dell’insegnamento e le condizioni di accesso allo studio grazie alla riduzione dei costi, sia per l’industria editoriale che potrà recepire i risultati della sperimentazione. Esempio di eccellenza in Italia, l’iniziativa dimostra il valore della sinergia tra mondo istituzionale e privato nell’ambito dell’innovazione tecnologica applicata alla ricerca e alla formazione, fattore positivo per la diffusione della conoscenza e la preparazione culturale e professionale delle nuove generazioni.
(Fonte: G. Granieri, Blog Terza pagina 21-03-2011)
 
Univeneto unisce le università di Padova, Venezia e Verona PDF Stampa E-mail
La Fondazione Univeneto è diventata realtà. C’è la firma dei rettori delle Università di Padova, Venezia, Verona, riunitisi nel capoluogo scaligero, sull’atto costitutivo dell’ente che integrerà le attività dei tre atenei del Veneto. Dopo la Campania, che nelle scorse settimane ha reso noto un progetto di federazione regionale, anche le università venete serrano i ranghi e aprono la strada all’ateneo unico: questo sembra essere, infatti, l’obiettivo finale di un processo di aggregazione che comincia da Univeneto. La Fondazione si occuperà in modo unitario della gestione amministrativa (e non solo) della nuova università, consentendo una maggiore integrazione dei programmi, l’eliminazione dei “doppioni” nell’offerta didattica, un’ottimizzazione delle risorse anche attraverso l’individuazione e il potenziamento delle aree di eccellenza più spiccate in ciascuna delle università. Un futuro che non è poi così remoto: la prima iniziativa comune prenderà il via già a settembre attraverso l’istituzione in via sperimentale di due scuole di dottorato regionali interateneo in Scienze storiche e in Scienze economiche.
(Fonte: Università.it 14-03-2011)
 
Non più incarichi gratuiti agli assegnisti di ricerca de La Sapienza di Roma PDF Stampa E-mail
A La Sapienza di Roma l’8 marzo, nella riunione del senato accademico, è stato abolito un comma del regolamento di ateneo che permetteva agli assegnisti di ricerca di fare richiesta di assegnazione d’incarichi di didattica integrativa a titolo gratuito. Il risultato di questo cambiamento è che gli assegnisti di ricerca della più grande università italiana potranno compiere appieno il loro dovere, dedicandosi alle attività di ricerca. Inoltre se l’Università La Sapienza avrà bisogno del contributo degli assegnisti per completare l’offerta formativa dovrà stipulare con loro dei contratti per la didattica che prevedono una retribuzione.
(Fonte: Università.it 13-03-2011)
 
La CRUI è formalmente l’associazione delle università italiane PDF Stampa E-mail
Vogliamo fare qualche riflessione sulla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), e per questo intendiamo partire da una considerazione elementare sulla sua natura. La CRUI, insomma, non è un’Associazione privata dei Rettori, uti singuli, come sentiamo dire qualche volta, e come parrebbe dal nome. La denominazione, in effetti, riflette l'origine storica e la natura giuridica fino a tempi recenti, ma dal 2005 l’Associazione è stata rifondata, ed ha un nuovo Statuto. La CRUI è, oggi, formalmente, l’Associazione delle Università Italiane, anche se ha conservato il vecchio nome, quale brand significativo. I propri membri sono le Università Italiane, come persone giuridiche. I Rettori le rappresentano legalmente, ma questa relazione è legalmente diversa da quella di “appartenenza alla CRUI come Rettori” di qualche tempo fa. Insomma, vogliamo dire, la CRUI non può essere sentita come “corpo estraneo” da parte del personale accademico, e non, delle Università. Un’organizzazione nazionale che rappresenti gli interessi e le istanze delle Università come istituzioni è, si potrebbe dire, “ovvia” e “necessaria”. Associazioni di Università esistono in tutto il mondo, e inoltre molte di esse si chiamano proprio “Conferenza dei Rettori”, a modello di quella italiana. Aggiungiamo, però, che la precedente forma associativa non era di per sé sinonimo di “sindacato privato dei Rettori”. Era pur sempre un’organizzazione rappresentativa delle Università, attraverso le persone dei loro Rettori. L’attuale Statuto non fa che chiarire le loro responsabilità e le loro prerogative, a vantaggio della relazione che si dovrebbe instaurare a livello locale in materia di “relazioni esterne”, o di “rappresentanza” che dir si voglia. I Rettori sono lì per portare la voce delle Università nel dibattito nazionale relativo agli interessi generali del “sistema” in quanto tale. E' sempre necessaria una sede di elaborazione e di iniziativa comune.
(Fonte: Renzino l’europeo, http://cronaca.anvur.it/ 19-03-2011)
 
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