Home 2011 27 Giugno Tasse per un'università più equa: risposta a Sylos Labini - Pagina 2
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Tasse per un'università più equa: risposta a Sylos Labini
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Questo, lo ripeto ancora una volta, vuol dire che i poveri di oggi e di domani ossia quelli che nonostante l'accesso all'università non riescono ad aumentare i loro redditi, non pagano nulla. Non si vede quindi in base a quale argomento Francesco verso la fine del suo articolo scriva: "E’ chiaro che con il sistema di alte tasse e prestiti chi ha una famiglia abbiente non si deve indebitare. Invece, per chi non ha disponibilità, studiare diventa una scommessa, ovvero un’ipoteca sul proprio futuro. Questa situazione non può che disincentivare i meno abbienti allo studio allargando la forbice sociale". Ritengo proprio che con il mio sistema accadrebbe il contrario, soprattutto se favorisse la nascita di corsi di laurea di eccellenza.

In secondo luogo, la mia prima risposta (punto 1 sopra) riguardo alla regressività del finanziamento universitario, suggerisce che probabilmente è possibile (e auspicabile) aumentare il livello medio delle tasse universitarie, ma caricando i più abbienti in proporzione maggiore di quanto vengano ridotte le tasse universitarie per i meno abbienti. Ossia è auspicabile e possibile rendere progressivo anche il finanziamento dell'università considerato da solo in isolamento dal resto mediante tasse universitarie fortemente differenziate sulla base del reddito familiare. Il che non sarebbe altro che un’applicazione diretta dell'art. 53 della Costituzione.

Infine, se l'inedito spiraglio istituzionale cui sopra accennavo si conferma, nella nuova versione della mia proposta l'aumento delle tasse universitarie combinato con prestiti pubblici sostanziosamente agevolati per i meno abbienti, costituirà, di fatto, uno strumento per convogliare maggiori risorse pubbliche, fornite dai prestiti, agli atenei che creino davvero didattica e ricerca di eccellenza, portate dalle gambe degli studenti che vorranno scegliere solo gli atenei migliori.

3) L'università italiana non è di pessima qualità

Anche ammesso che Francesco abbia ragione su questo punto, se la mia proposta consentisse di migliorare questa già altissima qualità, perché non farlo? Ma in realtà, al di là degli indicatori bibliometrici sempre difficili da interpretare in modo conclusivo essendo cruciale stabilire che cosa deve essere usato al loro denominatore, c'è un indicatore molto chiaro ed evidente della qualità della ricerca in Italia che ho analizzato dati alla mano nel mio articolo (con Roberto Perotti e Stefano Gagliarducci) su "Lo splendido isolamento dell'università italiana", pubblicato nel libro di Boeri et al. (ed.) Oltre il Declino (Mondadori 2005, scaricabile anche da http://www2.dse.unibo.it/ichino/gipp_declino_18.pdf).

L'assenza di ricercatori stranieri nelle nostre università è l'indicatore più esplicito dell'esistenza di qualcosa di grave che non va nel modo in cui la ricerca scientifica si svolge in Italia. La cosiddetta "fuga dei cervelli italiani" non sarebbe un problema se fosse contraccambiata da un arrivo di cervelli stranieri, come fisiologicamente avviene all'estero. Anche Francesco richiama questo fatto citando Marino Regini. Ma stranamente non lo considera come il segnale più evidente del fatto che la ricerca in Italia, tranne che in alcuni importanti punti di eccellenza, non raggiunge la qualità sufficiente per attirare ricercatori dall'estero. E se Francesco mi rispondesse che il motivo sono i bassi salari e il sottofinanziamento, torniamo ai punti precedenti: bisogna trovare modi per aumentare il finanziamento all'università. Uno di questi modi, ispirato alla nostra Costituzione è farla pagare soprattutto ai ricchi, possibilmente più che in misura proporzionale al loro utilizzo, proprio per ottenere l'effetto progressivo voluto dai nostri Padri Costituenti.

Infine, la Bocconi non compare nelle statistiche internazionali degli atenei generalisti perché è un ateneo in cui si insegna praticamente solo economia. Se Francesco volesse usare le statistiche appropriate troverebbe che in Economics la Bocconi è davanti a tutte le altre università italiane (purtroppo anche davanti alla mia, che recentemente ha perso due dei suoi migliori professori migrati alla Bocconi e a UPF, Barcellona, proprio perché non c'era modo di offrire loro stipendi e condizioni di ricerca comparabili con quelli di queste due università). Uno di questi ranking specifici per economics è, ad esempio, quello bibliometrico (solo per la ricerca e basato sulle pubblicazioni nelle migliori riviste di economia) fatto dal Economics Department di Tilburg (https://econtop.uvt.nl/rankinglist.php). Dal punto di vista della didattica e dei servizi agli studenti credo nessuno dubiti che la Bocconi stia davanti tutti (almeno in economics) e lo può proprio fare grazie a maggiori risorse. Sui ranking in economics vedi anche il mio già citato articolo sullo "Splendido isolamento dell'università italiana". Non è la mia materia, ma spero che medici e biotecnologi di questo sito possano dirci qualcosa riguardo all'Istituto San Raffaele.

Mi fermo per non abusare ulteriormente della pazienza dei lettori, sperando di aver risposto convincentemente e precisamente alla maggior parte dei punti sollevati da Francesco. (Fonte: scienzainrete.it 12-06-2011)