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25 Luglio
Classifiche per specifiche discipline nel QS World University Rankings PDF Stampa E-mail
Il QS World University Rankings by Subject è il primo a classificare le università per specifiche discipline a livello globale. La metodologia è stata adattata alle peculiarità di ogni disciplina, così come il peso percentuale attribuito ai tre criteri considerati per la valutazione: reputazione accademica, reputazione presso i recruiter internazionali e citazioni per paper di ricerca. Per la categoria delle “Scienze sociali”, Padova si è guadagnata un posto a metà classifica tra le prime 200 migliori università del mondo del QS World University Rankings 2011. Nello specifico, il riconoscimento all'ateneo patavino è per Statistica e metodologia della ricerca, dove invece eccellono Stanford ed Harvard. In tutto sono 9 le università italiane piazzate: Sapienza di Roma, Padova, Firenze, Pisa, Milano, Bocconi, Politecnico di Milano e Roma Tor Vergata, Bologna. La Bocconi si è conquistata il podio tra le connazionali, con un 26esimo posto nella classifica mondiale per Finanza e Accounting (al primo posto c'é Harvard seguita da Oxford e dal MIT) e al 29esimo per Economia (disciplina in cui primeggia sempre Harvard e in cui eccellono, secondo e terzo posto, altre due università statunitensi come MIT e Stanford). La top ten mondiale è quindi appannaggio quasi esclusivo delle università americane e inglesi.
(Fonte: www.padovaoggi.it 07-07-2011)
 
Piano nazionale della ricerca PDF Stampa E-mail

Il ministro Gelmini ha presentato il PNR per il triennio 2011-2013. Agli 1,7 miliardi stanziati da qui al 2013 per realizzare i 14 «progetti bandiera» conta di aggiungerne altri 900 milioni tra fondi europei e non, per il finanziamento di due nuovi bandi su distretti e infrastrutture e una "fiche" aggiuntiva di 500 milioni sulla ricerca industriale. Il documento è corposo, corrispondente con gli indirizzi europei, analitico nell’individuazione dei principali difetti del sistema Ricerca Italia (in particolare nell’analisi delle carenze della ricerca privata), adottivo delle politiche innovative impostate dal Governo precedente (sulla valutazione: con la conferma di un’Agenzia di Valutazione per l’Università e la Ricerca - ANVUR); sul rilancio delle grandi infrastrutture di ricerca: con il riferimento ad una roadmap italiana per queste infrastrutture; con l’idea di una programmazione più integrata della progettualità scientifica, mantenendo il fondo unico FIRST). E prospetta una serie di azioni per interventi di natura temporale variabile.

Risalta in particolare l’enorme discrasia tra il principale punto di difficoltà individuato nella stessa analisi del PNR, ossia il significativo sottodimensionamento di dotazione di capitale umano nel settore, e l’assenza di strumenti progettuali e finanziari per recuperare questo deficit. Ricordiamo che l’Italia  ha la più bassa percentuale di ricercatori dell’Unione Europea con la porzione di 3,8 (ogni 1.000 lavoratori) contro la media europea di 6,4 (dato del 2008 con sorgente OECD, Factbook 2010). Ci si sarebbe quindi attesi un qualche serio piano di interventi in questo ambito nel principale strumento di pianificazione. Ma anche le altre azioni (almeno in parte parzialmente condivisibili) non risultano essere sostenute finanziariamente in modo diretto e le quote indicate nel quadro finanziario dei cosiddetti progetti bandiera indicano come fonte di approvvigionamento il fondo ordinario degli EPR (che non ha visto incrementi e che quindi sottrae a questi enti la potenzialità di promuovere in via autonoma le poche risorse su cui possono contare).

Quanto alle risorse da impegnare esse non sono aggiuntive rispetto al passato, ma al meglio (nel fondo degli Enti) sono costanti (mentre l’università ha visto un taglio di un miliardo e mezzo nei tre anni). Comunque anche nel settore “istruzione” gli ultimi anni hanno visto un decremento significativo di risorse per cui la percentuale della spesa pubblica è nel 2010 al 4,2% del PIL; ma il recente Documento di Economia e Finanza (approvato dal CdM il 13 aprile 2011) prevede una sua ulteriore riduzione al 3,7% nel 2015, al 3,5% nel 2020 e così progressivamente sino a giungere nel 2040 al 3,2%.
(Fonte: R. Falcone, www.scienzainrete.it 05-07-2011)
 
Graduatoria PRIN. Approvati i programmi di ricerca cofinanziati 2009 PDF Stampa E-mail

E' approvata la proposta della Commissione di Garanzia, di cui al verbale  n. 11 del 16 giugno 2011 per un importo complessivo di finanziamento pari a € 105.977.007,00, derivante dalla somma dell'importo  di € 104.940.000,00 di cui al D.M.51/Ric/2009 e dell'importo di € 1.037.007,00 oggetto di recupero nei confronti delle Università/enti di cui alle premesse. L'elenco dei progetti ammessi a finanziamento è riportato, in allegato al presente decreto, con l'indicazione, per ciascun progetto, del finanziamento assegnato. Con successivo decreto direttoriale, esauriti gli adempimenti di cui all'art. 6, commi 2 e 3 del D.M. n.51/2009, si provvederà all'erogazione, in unica soluzione anticipata, delle risorse spettanti agli Atenei e agli Enti pubblici di Ricerca cui afferiscono le singole Unità di Ricerca dei progetti finanziati.
(Fonte: Decreto Ministeriale 14 luglio 2011 n. 404/ric)

Elenco dei progetti finanziati:

http://attiministeriali.miur.it/media/174349/progetti_finanziati_prin_2009.pdf
 
Riflessioni sulla valutazione della ricerca universitaria PDF Stampa E-mail

Vi è chi sostiene che l’unico criterio possibile per valutare uno scienziato sia quello della cooptazione. Gli argomenti utilizzati sono principalmente tre: in primo luogo, ci si richiama alla libertà della scienza; in secondo luogo, si segnala, a guisa di esempio, la ritrosia del sistema universitario tedesco ad utilizzare metodi altri rispetto alla cooptazione; in terzo luogo, si afferma l’impossibilità di applicare parametri quantitativi e qualitativi soprattutto nel settore delle scienze sociali, dove l’originalità dell’opera ed il contributo all’avanzamento scientifico può essere frutto esclusivamente del puro peer review. Costoro ritengono che soltanto il giudizio dei pari, senza alcuna limitazione di tipo oggettivo, possa consentire l’ammissione nella ristretta cerchia di questi ultimi.

Se si avesse il privilegio, ancor oggi, di poter operare in seno ad una Universitas, ad una comunità di scienziati, quale quella che Von Humboldt ebbe la fortuna di frequentare tra la fine del Settecento ed i primi decenni dell’Ottocento, non penso che alcuno contesterebbe l’idea per cui il modo migliore per giudicare un ricercatore sia la cooptazione.

Il problema è che l’idea humboldtiana di università, nei fatti, è tramontata da tempo e sopravvive, forse, soltanto in rare e privilegiate enclaves.

Se si prende quale termine di paragone la prima metà del secolo scorso, si potrà verificare che un grande settore disciplinare contava, al tempo, non più di venti-trenta professori ordinari su tutto il territorio nazionale, laddove, oggi, ve ne sono tra i centocinquanta ed i duecento.

L’ampliamento del numero degli atenei e delle sedi e del numero dei professori universitari ha determinato l’ormai dimostrata incapacità della classe accademica di riprodurre sé stessa per il tramite del mero criterio della cooptazione. Anzi, si può tranquillamente affermare che la cooptazione, unita al pessimo uso dell’autonomia universitaria, al meccanismo perverso dei concorsi locali ed al fatto che alla fine nessuno paga per le scelte maldestre compiute nelle selezioni, abbia costituito la causa principale di dissesto dell’università italiana.

Ecco perché, pur restando il peer review il più importante parametro di giudizio scientifico, pare necessario e non più procrastinabile introdurre un sistema di valutazione della ricerca scientifica, in modo da poter effettuare sì il giudizio dei pari, ma passando attraverso una preventiva e condivisa definizione dei parametri qualitativi e quantitativi di valutazione. E legando a tale valutazione effetti e conseguenze tangibili, in modo che le università possano eventualmente continuare a compiere scelte selettive maldestre, ma essendo consce che, in tal caso, ne pagheranno lo scotto.
(Fonte: A. Sandulli, www.irpa.eu/istituto 15-07-2011).
Testo completo: http://www.irpa.eu/istituto/soci/aldo-sandulli/1756/a-sandulli-spunti-di-riflessione-sulla-valutazione-della-ricerca-universitaria/
 
Quanto “costa” il tempo per preparare progetti di ricerca che al 98% non verranno finanziati? PDF Stampa E-mail

Da un paio d’anni il MIUR ha varato un programma, “Futuro in ricerca”, nell’ambito dei progetti finanziati dal Fondo per gli investimenti della ricerca di base (Firb). Nel 2010, il programma è rivolto a tre diverse categorie di ricercatori sia strutturati che non, ma comunque di età inferiore ai 40 anni. Totale del finanziamento per il 2010: 50 milioni d’euro. Poiché il costo di ciascun progetto dovrà essere compreso tra 300mila e 1,2 milioni di euro, stimando in un 700mila  di euro il costo medio per progetto, verranno finanziati circa settanta progetti. Il numero di domande presentate è dell’ordine di 3.000-4.000, il che equivale a una probabilità di successo del 2% per ogni progetto (nel 2008 era, infatti, del 2,8%). Questa rincorsa a selezionare il “top del top” è diffusa anche a livello europeo: ad esempio nel caso delle European Reserach Council (Erc) “ideas starting grants” il finanziamento è stato concesso (nel 2009) al 9,4% dei progetti presentati: una percentuale di successo circa 3 volte maggiore rispetto a quella italiana, ma comunque sempre bassa.

In Italia, per superare la pre-selezione nel 2010 è stato necessario avere il punteggio pieno (60/60). Il punteggio totale non è altro che la somma di punteggi parziali su quattro voci (originalità, merito scientifico, fattibilità, qualità del gruppo di ricerca) assegnate da due “arbitri” (referees) che devono esprimere un giudizio condiviso. E’ dunque evidente che per avere il punteggio pieno non basta che il progetto sia di qualità, ma è necessario che gli arbitri non abbiano alcun dubbio e soprattutto che non esitino a dare sempre il massimo dei voti, cosa non scontata anche perché il giudizio su ogni progetto è fatto a prescindere dagli altri. Alla fine la differenza tra essere finanziati o meno si gioca su 1 voto su 60. La domanda che bisogna porsi è se questo tipo di meccanismo d’assegnazione dei fondi renda davvero migliore la ricerca scientifica, a fronte, soprattutto in Italia, della quasi totale assenza di altre fonti di finanziamento della ricerca di base. Inoltre, bisognerebbe inquadrare il problema in maniera più completa e considerare anche quanto “costa” il tempo che i giovani ricercatori impiegano per preparare dei progetti che al 98% non verranno finanziati.
(Fonte: FQ 20-07-2011)
 
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