Home 2011 25 Luglio
25 Luglio
Professori a Gelmini, no soppressione diritto dell'economia PDF Stampa E-mail
''Non e' un bene tornare ad una partizione degli studi a carattere ottocentesco, limitata alla distinzione pubblico - privato. Partizione che allontanerebbe, di fatto, la ricerca italiana dagli ordinamenti dei Paesi più evoluti, nei quali gli studi di law & economics ricoprono un ruolo primario tra le materie di insegnamento universitario''. Così affermano i professori ordinari di Diritto dell'Economia in una lettera-appello al ministro Gelmini per manifestare il loro dissenso ''sull'ipotesi del Miur di procedere alla soppressione del Settore Scientifico Disciplinare di Diritto dell'economia (IUS 05)''. Si farebbero defluire i professori universitari che ne fanno attualmente parte o nel s.s.d. di Diritto pubblico (IUS 10) o in quello di Diritto commerciale (IUS 04). ''La stessa normativa ministeriale - fanno notare i professori firmatari del documento - sottolinea che tale settore (Ius 05) comprende gli studi relativi alla regolamentazione delle attività economiche, volti ad approfondirne i profili pubblicistici e privatistici secondo un metodo interdisciplinare. La materia di studio vanta dunque una rara e indispensabile specificità che permette di analizzare e condurre ricerche su contesti di stretta attualità, come la stabilità dell'euro-sistema (BCE e Banche centrali nazionali) e quella dell'ordinamento finanziario europeo''.
(Fonte: ASCA 12-07-2011)
 
Uno studio su quanto costa l’ università alle famiglie italiane PDF Stampa E-mail
A tentare di tracciare un quadro fedele della situazione, ci pensa uno studio di Federconsumatori, che indaga sulla spesa media cui i genitori dell’aspirante dottore devono farsi carico ogni anno. Il primo dato che salta agli occhi, è sicuramente la forte differenza tra le rette, che variano significativamente non solo a seconda della regione presa di volta in volta in considerazione, ma anche in base ai diversi indirizzi di studio, con le facoltà scientifiche che risultano meno accessibili rispetto ai corsi umanistici. Medicina, architettura, ingegneria e farmacologia le scelte più care; le tasse più alte in Italia le paga chi studia a Parma, mentre all’Aldo Moro di Bari spetta il primato di ateneo più economico del Paese. In media, chi si dirige verso il nord si trova a far fronte a spese più elevate del 13 per cento rispetto a chi sceglie invece le regioni meridionali. Se un aspirante ingegnere alla Federico II di Napoli costa 1432 euro l’anno, per conquistare una laurea in Chirurgia alla Bicocca di Milano bisogna pagare più del doppio, con rette annuali che si aggirano intorno ai tremila Euro. Le tasse universitarie oscillano sui 1000 Euro l’anno e variano secondo le fasce di reddito, generalmente cinque, prese in considerazione dall’ateneo per il calcolo della retta. Così, ad esempio, se la Sapienza di Roma sembra garantire a tutti il diritto allo studio con una tassa minima di 330 euro l’anno, è anche vero che, per chi proviene da famiglie più benestanti, il conto finale può aggirarsi tranquillamente intorno ai duemila euro. Mentre il Sud si conferma in media più economico, e gli atenei settentrionali contribuiscono ad aumentare significativamente la media nazionale, l’Alma Mater di Bologna, una delle università del nostro Paese meglio quotate nei rank internazionali, sembra rappresentare perfettamente il trend medio nazionale a livello di tasse e contributi. Se studiare costa caro, chi sceglie di cominciare una carriera accademica in un’altra città va incontro a un vero e proprio salasso; l’affitto di un fuori sede, costa in media 4982 euro l’anno, per una stanza singola, 3.756 per un appartamento condiviso, con il Centro che si conferma la zona più cara per quanto riguarda le voci mantenimento e alloggio. Altra nota dolente per i portafogli degli italiani, sono i libri: in questo caso, i dottorandi in materie umanistiche spendono più dei colleghi del polo scientifico. La media nazionale è di 454 euro annui, ma i tomi che scandiscono la vita di chi ha scelto Lettere e simili arrivano a costare anche il 17 per cento i più rispetto ai testi delle altre facoltà.
(Fonte: S. Peluso, www.infooggi.it 11-07-2011)
 
Il CNRU contro gli affidamenti gratuiti degli insegnamenti PDF Stampa E-mail
A riaccendere le polemiche è stata la recente mozione della Crui che sottolinea l'importanza e la necessità di "non ledere l'autonomia di scelta delle singole sedi, sia nel caso si voglia esperire la via dell'affidamento gratuito previo consenso del ricercatore interessato sia nel caso si intenda fissare una modalità di compenso nei limiti delle rispettive disponibilità di bilancio degli Atenei". E a poco sono servite le altre affermazioni dei rettori, in particolare laddove sottolineano "il ruolo insostituibile dei ricercatori ai fini della didattica universitaria", chiedendo "con fermezza" la promozione "nei ruoli di professore associato nell'ambito della nuova Legge Gelmini" per tutti gli idonei. Il principale organo di rappresentanza dei ricercatori universitari italiani, il Cnru, se da una parte valuta "positivamente che nella mozione della Crui si rimarchi la rapida assegnazione da parte del MiUR delle risorse promesse in fase di approvazione della legge 240 (art. 29, c. 9) per le chiamate dei ricercatori a tempo indeterminato abilitati", dall'altra respinge l'idea di continuare a lavorare gratis o quasi per le università.
(Fonte: TMNews 30-06-2011)
 
Sulla massificazione del sistema universitario PDF Stampa E-mail

Il costo di aver ignorato e di continuare a ignorare la massificazione del sistema universitario italiano? Prima di tutto il fenomeno degli abbandoni, in parte fisiologico. Più grave e più costoso è il fenomeno dei ritardi. Nella maggior parte dei casi è il risultato di un sistema di studio che mortifica il vero apprendimento. Lo studente si concentra sul singolo esame con uno sforzo mnemonico, per poi dimenticare tutto, quando ha strappato la sufficienza, per concentrarsi sul prossimo esame. Un raffinamento di questo sistema è stato inventato ed introdotto da una nota impresa di assistenza agli esami: non serve nemmeno imparare a memoria i libri di testo, basta imparare le risposte alle domande, necessariamente ripetitive, che fanno gli esaminatori. Così i ritardi costituiscono spesso una perdita doppia: gli anni impiegati negli "studi" universitari per il laureato, e, per la società, l’immissione sul mercato del lavoro di laureati addestrati a dimenticare tutto quello che hanno appreso o potevano apprendere all’università.

E’ possibile rispondere in modo più efficace alla massificazione? Penso di sì. E’ necessario diversificare l'offerta didattica all'interno di ogni università. Il primo passo in questa direzione (che è stato già compiuto dalle facoltà di ingegneria) è quello di prevedere una prova iniziale che, senza sbarrare l'accesso, faccia il punto sulla preparazione dello studente, o quanto meno, gli indichi i suoi "debiti formativi". Bisognerà poi prevedere insegnamenti dedicati al superamento di questi debiti. Sappiamo, ad esempio, che per le materie umanistiche le maggiori difficoltà degli studenti provengono dall’incapacità di comprendere un testo non puramente descrittivo. Sappiamo anche che in molte università americane si offrono corsi in reading comprehension. Dovremmo offrire anche noi simili insegnamenti. Infine corsi speciali dovrebbero essere mirati agli studenti eccezionalmente dotati e preparati. La diversificazione interna alla medesima istituzione dovrebbe anche essere flessibile e facilitare il passaggio da un livello all'altro degli studenti con forte attitudine agli studi, inizialmente bloccati dalla cattiva preparazione iniziale. Semplici, importanti riforme.
(Fonte: A. Figà Talamanca, noiseFromAmerika 28-06-2011)
 
Troppi appelli d’esame PDF Stampa E-mail
Il problema non è solo il numero di appelli, ma la combinazione 'elevato numero di appelli' + 'possibilità di rifiutare il voto'. La ragione per cui sia possibile in Italia rifiutare un voto sufficiente mi sfugge completamente - anche se quando ero all'università ne ho in una rara occasione usufruito. Genera un incentivo davvero perverso a scambiare tempo per risultati, in un mondo in cui - ci si rende conto forse di più solo una volta usciti dall'università - il tempo ha un valore molto più alto della differenza tra un 24 e un 28; e in cui non sarebbe affatto male se le persone fossero valutate sia per le cose apprese, sia per averle apprese in un tempo limitato, sotto pressione, e soggetti agli stessi constraint degli altri. Di fronte all'impossibilità di ridare l'esame se non a costi elevati, e di non poter rifiutare il voto, l'incentivo è chiaro a fare il meglio possibile nel tempo disponibile. Se il tempo disponibile è simile per tutti, il voto sarà anche un segnale di quanto lo studente sia in grado di apprendere in quel dato tempo, e con altri concomitanti impegni. Preciso ulteriormente: non nego che questa la situazione attuale sia comoda per lo studente italiano, il quale si trova come giustamente riportano alcuni a lottare contro appelli contemporanei, difficoltà a reperire informazioni, disorganizzazione cronica, etc. Ma usare l'argomento che il sistema non funziona per avversare riforme che ne rendano più corretti gli incentivi mi sembra folle. Un cattivo sistema di incentivi è un cattivo sistema di incentivi, non importa che all'interno della situazione generale così com'è abbia un suo senso. E cambiarlo porterebbe a cambiamenti anche nelle condizioni di contorno: con 2 appelli all'anno e nessuna possibilità di rifiutare il voto sarebbe necessario evitare accavallamenti di appelli e programmare meglio; garantire a tutti la possibilità di partecipare; etc. Dire 'ho bisogno di tanti appelli perché di solito si sovrappongono' semplicemente reitera il cattivo incentivo esistente per i professori a non curarsi della sovrapposizione degli appelli stessi.
(Fonte: P. Crosetto, nFA 29-06-2011)
 
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