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25 Luglio
Nel mercato delle lauree parallele dal 2003 ad oggi un aumento degli studenti pari al 900%! PDF Stampa E-mail

In Italia le università online sono 11 (in ogni Paese europeo ne esistono una o due soltanto), con 13.891 studenti nell’a.a. 2007/2008 e con il 90,7% di immatricolati aventi oltre 25 anni d’età. In Italia non tutte le università online sono riconosciute dal MiUR e formano un apparato parallelo poiché sorgono laddove esistono già altri atenei, funzionando da vasi comunicanti che immettono studenti in un circuito che li indirizza al centro di preparazione per esami; sono i tutor poi che spingono gli iscritti verso l’ateneo online a cui sono collegati i docenti.

Il risultato dell’operazione alla fine è il seguente: se l’immatricolazione costa in media 5-8mila euro l’anno, altrettanti ne servono per il centro di assistenza che è collegato a quell’ateneo e per una laurea triennale si può spendere fino a 18mila euro. In alcuni atenei online i laureati precoci nel 2008 ammontano al 69,8% e solo il 30,2% degli iscritti è diventato dottore nei tempi canonici per poi farsi strada con i concorsi e con gli avanzamenti presso la P.A, grazie a titoli equivalenti alle lauree tradizionali ma conseguiti nelle università online.

Il quadro presentato dal MiUR è emblematico: molti atenei online si reggono su un organico di ruolo ridotto al minimo (il 63,6% dei corsi è affidato a ricercatori a contratto e spesso privi di un dottorato di ricerca o in prestito dall’università tradizionale), e la ricerca scientifica come segnala il MiUR è spesso assente.

In questo modo le università telematiche si riducono a mero dottorificio privo di mezzi e professionalità in cui le uniche attività di ricerca rilevabili sono generalmente fantasma perché appoggiate a quelle delle università statali. Gli atenei online, infine, sorti con l’apporto sia di società o di gruppi di banche e scuole private di imprenditori che investono in centri di recupero esami, sia di consorzi universitari con team di aziende aventi un dichiarato scopo di lucro, secondo il MiUR hanno registrato dal 2003 ad oggi un aumento degli studenti pari al 900%!

Negli atenei telematici, oltre 3/4 dei posti di docenza vinti per concorso rimangono vacanti: i professori-fantasma, infatti, pur essendo dichiarati idonei non hanno poi la cattedra nell'università telematica ma sono spesso chiamati da università statali assicurandosi cattedre e titoli. È dal meccanismo di reciprocità dei concorsi, infatti, che bisogna partire, per cercare di decodificare quello che si definisce il mercato delle lauree parallele.

Questo meccanismo coinvolge, infatti, anche docenti di atenei pubblici che sono pagati profumatamente per insegnare a contratto nelle università online, dove si comportano in modo più spregiudicato perché meno controllati e che fanno parte degli organici rimanendo, di fatto, al posto dei vincitori dei concorsi.

Il MiUR dunque conferma i problemi denunciati anche in passato e il Cnvsu chiede per contrastare illeciti e abusi un intervento normativo allo stesso ministro Gelmini che ha annunciato tolleranza zero … ma i poteri in campo sono troppo grandi.
(Fonte: G. Tabita, www.qds.it 06-07-2011)
 
Un trasferimento "regressivo" di reddito i fondi pubblici che finanziano l’università? PDF Stampa E-mail
I fondi pubblici con cui oggi l'università è finanziata rappresentano un trasferimento "regressivo" di reddito, dai più poveri ai più ricchi. Questa affermazione non è ovvia ed è apparentemente controintuitiva, quindi la giustifico in dettaglio. Tralasciamo per un momento le tasse universitarie, e supponiamo che l'università sia per intero finanziata dallo Stato, cioè dalle imposte. Tenendo conto della progressività della tassazione, coloro che percepiscono redditi fino a 40 mila euro lordi l'anno pagano circa il 54% del totale dell'imposta sul reddito (dati Dipartimento delle Finanze, relativi al 2008). In prima approssimazione, quindi, questi contribuenti finanziano con le loro tasse il 54% dei 7 miliardi di trasferimenti che l'università riceve ogni anno dallo Stato (pagano cioè all'università circa 3,8 miliardi ogni anno). Ma quale percentuale di studenti universitari proviene da famiglie con un reddito annuo lordo entro i 40 mila euro? Secondo i dati dell'indagine Banca d'Italia sul reddito e la ricchezza del 2008, solo il 25%. Questo vuol dire che queste famiglie ricevono (indirettamente, per il servizio di cui usufruiscono) il 25% dei 7 miliardi erogati dallo Stato all'università, circa 1,8 miliardi. Di fatto, quindi, queste famiglie trasferiscono circa 2 miliardi l'anno (i 3,8 che pagano meno gli 1,8 che ricevono) alle famiglie con reddito superiore ai 40 mila euro. Le tasse universitarie, per le quali le famiglie più ricche pagano di più, vanno nella direzione opposta, a compensare questa anomalia; ma solo in piccola parte, visto che oggi le tasse universitarie coprono (per legge) meno del 20% del costo totale dell'università. L'idea quindi di far pagare una frazione maggiore del costo dell'università a chi la frequenta, differenziando naturalmente per reddito familiare, lungi dal rappresentare un attentato al diritto allo studio per i meno abbienti è il modo per evitare che siano questi ultimi a pagare l'università ai più ricchi, come oggi succede.
(Fonte: D. Terlizzese, lavoce.info 06-07-2011)
 
Le discipline umanistiche e il prevalere di una logica economicistica PDF Stampa E-mail
L'area umanistica ha sempre patito una minorità accademica che a sua volta produce quote risibili di finanziamenti. E’ il caso di chiedersi se, in una prospettiva più ampia, la progressiva asfissia cui sembrano condannate nel breve periodo le discipline umanistiche non sia proprio la certificazione del definitivo prevalere su scala planetaria di una logica economicistica, per cui il frutto di qualunque attività, sia intellettuale che fisica, che non si può tradurre immediatamente in merce vendibile serve a poco. Il ministro Tremonti fu brutale, ma ebbe il pregio di esprimere in maniera lapidaria il nuovo corso delle cose, quando ricordò che “con la cultura non si mangia”. Nella fase ultima è proprio il mondo degli economisti in genere, che, nel tentativo affannoso di coprire il vergognoso fallimento delle cosiddette «scienze» economiche, incapaci nonché di prevedere ma nemmeno di arginare la crisi che dal 2008 ci sconvolge, invece di starsene in silenzio dietro la lavagna in attesa che il mondo dimentichi, continua a pontificare. Dice qualcosa che il presidente della Commissione europea è costretto a rincorrere Moody's, che oggi è l'unica agenzia in grado (più di un esercito) di sconvolgere gli assetti di uno stato democratico? La prossima tappa? Qualcuno dirà che, come la cultura, anche «la politica non si mangia». Sono il primo ad augurarmi di essere troppo pessimista.
(T.R. Toscano, Corriere del Mezzogiorno 08-07-2011)
 
Gli 007 italiani reclutati nelle università PDF Stampa E-mail
I servizi segreti italiani, DIS, cercano giovani e capaci agenti segreti. Lo ha annunciato ieri il capo-dipartimento, Gianni De Gennaro, durante un incontro nell'Aula Magna dell'Università "La Sapienza". Il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e l’università La Sapienza hanno inoltre firmato un accordo per la realizzazione del master di formazione degli 007 italiani. Tre anni di studi, ricerche e formazione che vanno dall’informatica alle scienze giuridiche, dall’economia alla geopolitica, toccando tutte le discipline necessarie per l’intelligence. La nascita del master avverrà in novembre e prenderà spunto da quello già esistente dal 2003 sulla ‘sicurezza della rete’, e quindi potenzierà l’offerta formativa con l’inserimento di materie giuridiche ed economiche. Il direttore del Dis, il prefetto Gianni De Gennaro, ha spiegato che “questa iniziativa è volta a diffondere la cultura della sicurezza, perché non ci sia quella naturale diffidenza per questo dipartimento e possa crescere la consapevolezza che il dipartimento delle informazioni è una ricchezza. Questo è possibile solo nell’università. Non esiste la percezione del pericolo proveniente dal sistema informatico e che è peggiore di quello nucleare.”
(Fonte: www.net1news.org 08-07-2011)
 
La legge regionale non può bloccare le assunzioni nei policlinici universitari PDF Stampa E-mail
L'autonomia universitaria è un principio fondamentale garantito dall'articolo 33 della Costituzione: risulta dunque illegittimo ogni provvedimento adottato in violazione delle prerogative degli atenei, come la legge regionale che blocca le assunzioni nei policlinici universitari. È quanto emerge dalla sentenza 217/11, pubblicata il 21 luglio dalla Corte costituzionale che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, della legge della regione Puglia 24 settembre 2010 n. 12, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore dell'articolo 3 della legge 8 aprile 2011, n. 5, recante «Norme in materia di Residenze sanitarie e socio-sanitarie assistenziali (Rssa), riabilitazione e hospice e disposizioni urgenti in materia sanitaria», nella parte in cui si applica alle aziende ospedaliero-universitarie. La Regione non può dettare unilateralmente disposizioni sul personale delle aziende ospedaliero-universitarie, ma deve garantire il principio dell'autonomia delle università e il principio di leale collaborazione tra Università e Regione (articoli 33, 117 e 118 della Costituzione). Già in passato il giudice delle leggi ha bocciato alcune norme regionali in materia di personale sanitario che, riferendosi «anche al personale delle aziende ospedaliero-universitarie», impedivano alle Università di individuare la quota di personale di propria eventuale competenza, «secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 517/99» (sentenze 68/2011 e 233/06).
(Fonte: D. Ferrara, ItaliaOggi 22-07-2011)
 
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