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27 Dicembre
STUDENTI. STUDIARE ALL'ESTERO. L'EUROPA PUNTA TUTTO SU ERASMUS PDF Stampa E-mail
La Commissione europea ha messo a punto nuove regole che potrebbero partire dal 2014 con un'iniezione consistente di risorse. La proposta della Commissione - ora al vaglio del Consiglio e del Parlamento europeo, che prenderanno la decisione finale sul quadro di bilancio per il periodo 2014-2020 - prevede un budget di 19 miliardi sui sette anni, aumentato di oltre il 70% rispetto agli attuali programmi di formazione targati Ue. «Erasmus per tutti» riunirà in un unico grande contenitore gli strumenti di Lifelong learning programme - Comenius, Erasmus, Leonardo da Vinci e Grundtvig -, Gioventù in azione e altri cinque programmi di cooperazione internazionale. L'obiettivo della Commissione è offrire a 5 milioni di persone - quasi il doppio rispetto a quelle attuali - l'opportunità di studiare o formarsi all'estero. «Erasmus for all» coprirà tutti i livelli dell'istruzione e della formazione, dalla scuola elementare fino ai programmi di training per i lavoratori adulti. Dal 2007 una media di 400mila persone l'anno ha ricevuto borse di studio dell'Unione europea per studiare, formarsi e fare volontariato all'estero. In Italia l'adesione ai vari programmi ha visto la partecipazione di circa 50mila persone nel 2010, quasi la metà (23mila) coinvolti nel programma Erasmus, che dal 2007 prevede anche la possibilità per gli studenti universitari di svolgere periodi di tirocinio in azienda. Circa 2mila italiani ogni anno prestano attività di stage in altri Paesi europei: la metà all'interno di piccole aziende, mentre il 27% in medie imprese e il resto in grandi società. Sono soprattutto i futuri ingegneri a svolgere il placement in una grande azienda (circa il 50%), Così come il 48,3% degli aspiranti matematici e il 67,5% dei medici, mentre la quasi totalità degli architetti (92%) ha svolto il tirocinio Erasmus in una Pmi. E per favorire la collaborazione tra scuole e imprese il nuovo «Erasmus per tutti» prevede la creazione di 400 "alleanze della conoscenza" e "alleanze di competenze settoriali", partnership su ampia scala tra istituti e aziende per promuovere l'innovazione, l'imprenditorialità e la formazione professionale.
(Fonte: F. Barbieri e M. A. Cerizza, Il Sole 24 Ore 19-12-2011)




 
GLOBAL UNIVERSITY RANKINGS AND THEIR IMPACT PDF Stampa E-mail
A free electronic version of this report is available at www.eua.be: this information may be freely used and copied for non-commercial purposes, provided that the source is acknowledged.
Main Conclusions
1. There is no doubt that the arrival on the scene of global classifications and rankings of universities has galvanized the world of higher education. Since the emergence of global rankings, universities have been unable to avoid national and international comparisons, and this has
caused changes in the way universities function.
2. Rankings and particularly the global league tables have adopted methodologies which address the world’s top research universities only. De facto, the methodologies give stable results for only 700-1000 universities, which is only a small portion of the approximately 17,000 universities in the world. The majority of the world’s universities are left out of the equation. While such an approach may well serve the purpose of producing a list of top universities, the problem is that the flurry of activity surrounding these rankings, often initiated by the ranking providers themselves, affects the whole higher education community as it tends to result in all higher education institutions being judged according to criteria that are appropriate for the top research universities only.
3. Rankings so far cover only some university missions. Few rankings address the broad diversity of types and various missions of higher education institutions.
4. Rankings, it is claimed, make universities more ‘transparent’. However, the methodologies of the existing rankings, and especially those of the most popular league tables, still lack transparency themselves. It is difficult, if not impossible, to follow the calculations made from raw data to indicator values and, from there, to the overall score, just by using publicly available information.
5. “There is no such thing as an objective indicator” (see AUBR, 2010). The lack of suitable indicators is most apparent when measuring university teaching performance, for which there are no suitable proxies. The situation is better when evaluating research performance. However, even the bibliometric indicators used to measure research performance have their biases and flaws. Ranking providers are making some effort to improve their methodologies, but the improvements usually concern the calculation method, while the real problem is the use of inadequate proxies, or the omission of part of the information due to methodological constraints. Proxies can be improved, but they are still proxies.
6. At present, it would be difficult to argue that the benefits offered by the information that rankings provide, as well as the increased ‘transparency,’ are greater than the negative effects of the so-called ‘unwanted consequences’ of rankings.
7. New attempts to develop classifications, rankings and ratings targeting all higher education institutions and their various missions, such as the AUBR EU Assessment of University-Based Research, U-Map, U-Multirank and AHELO, all aim to improve the situation. However, it is too
early to tell how these new tools will work; they are still at various stages of development or pilot implementation, and all of them still face difficult issues, particularly problems of data collection and the development of new proxies.
8. Higher education policy decisions should not be based solely on rankings data.
(Fonte:  Andrejs Rauhvargers, EUA Report on rankings 2011. © European University Association 2011)
 
NEI PAESI EMERGENTI I MIGLIORI CAMPUS UNIVERSITARI PDF Stampa E-mail
I migliori campus universitari stanno aprendo sedi nei paesi emergenti con l'obiettivo di conquistare il business mondiale dell'istruzione. Education City, non ti aspetti che questo nome appartenga a Doha, la capitale del Qatar. Nell'emirato "progressista" del Golfo Persico, quello che finanzia la tv Al Jazeera, sta sorgendo il nuovo esperimento avveniristico: è il primo campus globale, costruito dal nulla importando delle super-università americane. Si chiamano Georgetown, Northwestern, Carnegie Mellon, Weill Cornell Medical College, Texas A&M, Virginia Commonwealth, le "magnifiche sei" che si sono lanciate in quest'avventura. È un progetto che traccia il futuro del sistema universitario. Le migliori del mondo sono ormai delle vere e proprie multinazionali. Come nel Big Business, si muovono secondo strategie globali. Vanno dove il mercato tira, cioè oggi nei paesi emergenti. Non è solo il privato a muoversi così. Perfino più clamorosa è la decisione di Berkeley, un'istituzione di Stato, che appartiene al sistema pubblico delle University of California. Per la prima volta ha trapiantato un pezzo di se stessa in Cina, molto più di una testa di ponte: un proprio "clone" a Shanghai.  Non solo per fare insegnamento, perché la logica non è quella di trasformarsi in diplomifici di massa: UC Berkeley va a Shanghai per fare ricerca, con un'intera sezione dei propri dipartimenti più avanzati che si dedicheranno all'innovazione pura. Che Cina e India siano dei formidabili giacimenti di talenti e intelligenze, non è una scoperta di oggi. Più sorprendente è quel che sta accadendo nel Golfo. Qualcosa di positivo sta nascendo, all'ombra delle petro-monarchie più illuminate. È un cambiamento che germina all'incrocio fra due necessità. Per il mondo arabo c'è l'emergenza-giovani, questa nuova generazione irrequieta e spesso disoccupata, non ha ricevuto finora una formazione adeguata per competere con i migliori cervelli che vengono dall'Estremo Oriente, dagli Stati Uniti, dall'Europa. Dall'altra parte ci sono le grandi università, soprattutto americane e inglesi, lanciate in una competizione sfrenata per conquistare quote del nuovo business: l'istruzione globale. In mezzo, per fare da raccordo, ci sono i petrodollari che Qatar, Abu Dhabi e Dubai hanno accumulato nei loro fondi sovrani.  Una delle prime a intuire le potenzialità di quell'area fu la New York University, che quest'estate ha concluso il primo anno accademico completo nel suo nuovo campus di Abu Dhabi, il più ricco degli emirati arabi. La super-università americana accoglie nella nuova sede sul Golfo persico 150 studenti da 39 paesi, secondo criteri squisitamente meritocratici importati dall'America: nelle stesse aule ci sono figli di emiri multimiliardari, e ragazzi venuti da famiglie poverissime che hanno vinto borse di studio. La retta per il campus di Abu Dhabi è alta quanto nelle più esclusive università d'America, 53.000 dollari l’anno. Il successo di N.Y.U. sul Golfo Persico ha accelerato i tempi della competizione. La rivale Doha ha dietro di sé l'emiro "progressista" del Qatar (odiato da tutti i dittatori dell'area per la sua Al Jazeera che fa da cassa di risonanza delle proteste), che nutre progetti ancora più grandiosi. La sua Education City nasce su una scala dimensionale senza precedenti. Non si era mai visto un polo universitario nato dal nulla e capace di attrarre sei università americane di ottimo livello. A differenza che in altre nazioni islamiche, nessuna segregazione tra i sessi, le classi saranno sempre miste. A capo di Education City ci sarà un'istituzione, la Hamad Bin Khalifa University, che è stata copiata fedelmente sul modello di Oxford e Cambridge a garanzia dell'autonomia d'insegnamento. Non è solo il mondo universitario angloamericano a espandersi secondo un'aggressiva strategia globale. I francesi hanno deciso di competere con le stesse armi. Una delle più importanti Business School transalpine, la Hec di Parigi, ha inaugurato a febbraio il suo primo campus a Doha: è la quarta succursale di Hec fuori dalla Francia dopo Pechino, Shanghai e San Pietroburgo.
(Fonte: F. Rampini; La Repubblica 07-12-2011)
 
LA CINA PRIMO DETENTORE DI PROPRIETÀ INTELLETTUALE PDF Stampa E-mail
La «manifattura del mondo» conquista il podio di primo detentore di proprietà intellettuale: secondo uno studio di Thomson Reuters, nel 2011 la Cina è stato il Paese che ha depositato il maggior numero di brevetti, sorpassando gli Stati Uniti e il Giappone. Il trend rispecchia la direzione imboccata dal Paese, la seconda economia al mondo. Il governo cinese punta infatti a incentivare l'innovazione in settori come l'automotive, il farmaceutico e il tecnologico: così, le etichette che contrassegnano le merci che ogni giorno approdano sul mercato mondiale dovrebbero in futuro passare dalla dicitura «Made in China» a «Designed in China». Secondo il report, il numero di brevetti cinesi depositati dovrebbe avvicinarsi a quota 500mila nel 2015, mentre quelli statunitensi saranno 400mila e quelli giapponesi 300mila. Tuttavia, al primato numerico non corrisponde una posizione analoga riguardo alla qualità e alla redditività dei brevetti: su questo terreno lo scettro resta saldamente in mano agli USA, al Giappone e ad alcuni Paesi europei.
(Fonte: m. ver., Corsera 22-12-2011)
 
USA. LA CORNELL UNIVERSITY COSTRUIRÀ IL NUOVO POLO TECNOLOGICO A NEW YORK PDF Stampa E-mail
La Cornell University la spunta nella battaglia tra le grandi accademie scientifiche americane. Sarà lei - che ha battuto Stanford, la Carnegie Mellon e due consorzi di atenei costruiti attorno alla Columbia e alla New York University - a costruire il nuovo polo tecnologico a New York: un ateneo super-specializzato che sorgerà sulla parte meridionale di Roosevelt Island, la sottile isola in mezzo all’East River collegata a Manhattan dal Queensboro Bridge (quello del celebre film di Woody Allen) e da una funivia altrettanto cinematograficamente famosa. Dopo Columbia e New York University, così, la città avrà un terzo ateneo di livello mondiale. L’annuncio l’ha dato ieri il sindaco Michael Bloomberg, che ha parlato di un'impresa destinata a essere un «game changer»: un progetto da due miliardi di dollari capace di cambiare il volto di una parte consistente della metropoli che, come il resto dell' America, comincia a essere segnata pesantemente dalla crisi. L'esito della gara era già scontato almeno da sabato quando aveva gettato la spugna l’altro grande contendente: l' università californiana di Stanford, culla delle tecnologie digitali, accademia nella quale sono cresciuti Bill Gates e i fondatori di Google. Il prestigio tecnologico di Stanford è senza pari, ma l’ateneo di Palo Alto si è reso conto che la distanza fisica e culturale tra la California e New York e gli stretti legami con la metropoli atlantica della Cornell, che qui già possiede grandi ospedali (come il Presbyterian) e accademie mediche, rappresentavano svantaggi incolmabili.
(Fonte: M. Gaggi, Corsera 20-12-2011)
 
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