Home 2012 10 Gennaio RIFORMA. I NUOVI DIPARTIMENTI
RIFORMA. I NUOVI DIPARTIMENTI PDF Stampa E-mail
Per i nuovi dipartimenti e i loro compiti (Legge 240/2010 di riforma del sistema universitario), si rileva innanzitutto che l’attribuzione al dipartimento delle funzioni finalizzate allo svolgimento delle attività didattiche, se letta alla luce dell’appello alla semplificazione, che ne costituisce la premessa, configurerebbe a rigor di logica la simultanea scomparsa non soltanto delle Facoltà, ma anche dei Consigli di Corso di Studi. Ma se l’eliminazione delle Facoltà si inferisce abbastanza facilmente proprio dalla loro surrettizia reintroduzione sotto forma di “strutture di raccordo”, quella dei Consigli di Corso di Studi non si può dedurre dal testo, e anzi il loro mantenimento è legittimato dalla mancata abrogazione dell’articolo del DPR 382/1980 che consentiva la loro istituzione. Facile prevedere che organi dai compiti largamente sovrapposti a quelli ipotizzati dalla legge per i futuri Consigli di Dipartimento si affiancheranno agli stessi dando luogo a permanenti replicazioni di momenti deliberativi (se non addirittura a conflitti di competenze) con il consueto esito del rallentamento delle procedure e dello scarico di responsabilità.
La seconda incongruenza riguarda la mancata esplicitazione del concetto di omogeneità dei settori scientifico-disciplinari, che dovrebbe stare alla base della formazione dei dipartimenti. In effetti si potrebbe cercare di interpretare a tal fine la lettera b) del comma 1 dell’articolo 5, laddove si parla del sistema di valutazione periodica dei risultati conseguiti nell’ambito della didattica e della ricerca dalle università “e dalle loro articolazioni interne”, così come pure la lettera e) del comma 1 dell’articolo 18, e la lettera d) del comma 2 dell’articolo 24, che attribuiscono al Consiglio di Dipartimento (in composizione opportunamente ristretta) il compito di deliberare in merito alle chiamate di professori e ricercatori. In quest’ottica, sempre a rigor di logica, si dovrebbe supporre che l’omogeneità dei dipartimenti dovesse essere di natura eminentemente scientifica, e quindi riconducibile in ultima analisi alla classificazione dei settori scientifico-disciplinari e dei settori concorsuali secondo le cosiddette “aree CUN” e le loro sottoaree o macrosettori, non immaginandosi come possano risultare scientificamente omogenei, se non a prezzo di capriole interpretative, settori appartenenti ad aree diverse, ancorché contigue, se non in pochi casi assolutamente eccezionali relativi a discipline di frontiera (quali la geofisica o la storia della scienza, per intenderci).
Quanto alle strutture di raccordo, mentre nel disegno di legge esse nascevano come organi snelli e funzionali ai propri dichiarati obiettivi, un malinteso desiderio di ampia rappresentatività ne ha fatto, nella versione definitiva, dei farraginosi mostri burocratici di fronte ai quali la più naturale delle tentazioni è quella di evitarne accuratamente la costituzione, con l’effetto di scaricare sul Consiglio d’Amministrazione, laddove i dipartimenti si costituiscano (come dovrebbero) sulla base dell’omogeneità scientifica, lo sgradito compito di predisporre e imporre le mediazioni necessarie affinché non prevalga, nella determinazione dei compiti didattici, la tendenza a favorire i corsi di studio “interni” al dipartimento rispetto a quelli “esterni” ma altrettanto bisognosi dei servizi didattici di cui il dipartimento è disciplinarmente competente. Testo integrale dell’articolo
(Fonte: P. Rossi, www.roars.it 19-12-2011)