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30 Gennaio
INDAGINE SUI NUOVI LAUREATI PDF Stampa E-mail

I nuovi laureati trovano lavoro più facilmente dei loro coetanei diplomati. Peccato però che siano pagati come chi una laurea non la possiede. Nel 2004 un laureato in media guadagnava il 25 percento in più di un diplomato. NeI 2007, appena tre anni dopo la differenza è scesa al 7 per cento. Anche se si deve tener conto di altri cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro come l'introduzione di una maggiore flessibilità e della crisi incombente si tratta comunque di un dato fortemente negativo. Insomma ha ancora un senso prendere il famoso «pezzo di carta»? Sicuramente sì ma le regole vanno cambiate. Proprio mentre il governo sta valutando se abolire il valore legale del titolo di studio, provvedimento che rappresenterebbe una radicale rivoluzione e che potrebbe arrivare già venerdì sul tavolo del Consiglio dei Ministri, la Fondazione Agnelli pubblica un rapporto che analizza i risultati ottenuti dalla riforma universitaria del 3+2, introdotta 12 anni fa. Tra i principali obiettivi c'era quello di alzare il numero dei laureati in Italia, limitando l'altissima percentuale di abbandoni, creando anche un rapporto più virtuoso tra gli Atenei e il mondo del lavoro. Eppure, si osserva nel rapporto, «negli stessi anni in cui aumenta l'immissione di laureati sul mercato del lavoro italiano vi sono segnali di un calo del vantaggio retributivo di chi si laurea nel nuovo ordinamento rispetto a chi ha solo un diploma di scuola media superiore».
Dunque sembra che gli obiettivi non siano stati raggiunti non tanto perché la riforma fosse impostata male ma perché come al solito chi l'ha applicata, ovvero gli Atenei, ha fatto un po' come gli pareva. Un esempio? La moltiplicazione dei corsi di laurea e degli insegnamenti. Nel rapporto si osserva come gli Atenei abbiano sfruttato «ampiamente la possibilità loro riconosciuta di attivare corsi con diversa denominazione all'interno della stessa classe di laurea» e così gli studenti si sono trovati «a poter scegliere entro un panorama vastissimo di corsi, dalle intestazioni spesso fantasiose, pensati più per attirare studenti che per rispondere a un'esigenza di differenziazione dei contenuti formativi e quasi sempre in assenza di attente analisi delle richieste del mondo del lavoro». Insomma sono stati attivati corsi inutili a zero programmazione, infischiandosene del fatto che poi quel corso potesse diventare una fabbrica di futuri disoccupati.
E se è vero che inizialmente le immatricolazioni hanno subito un balzo, il 56 per cento dei diciannovenni nel 2003. Ma ora stanno calando, fino a 147 per cento nel 2010, come a confermare la disillusione rispetto alle possibilità offerte da una laurea. A questo punto, prosegue il rapporto, «viene da domandarsi se non siano state sprecate le ingenti risorse investite in un sistema che tra il 1998 e il 2007 ha aumentato di circa il 50 per cento la spesa per docenze, mentre il reddito nominale complessivamente prodotto in Italia cresceva solo del 7 per cento». Gli anni in cui il divario tra i compensi dei lavoratori laureati e di quelli diplomati si è progressivamente annullato.
(Fonte: Il Giornale 24-01-2012)

 
UN MERCATO DEI CERVELLI NON AUTARCHICO PDF Stampa E-mail

Domanda: Sono numerosi i cervelli italiani che espatriano. Le pongo tuttavia una domanda: i Paesi che «importano» tali cervelli sono così privi di grandi menti da dover ricorrere all'Italia? Se sì, significherebbe che le nostre università possiedono metodologie d'insegnamento veramente al top. (C. Radollovich)
Risposta: Le università italiane hanno parecchi difetti, fra cui quello di accettare studenti mal preparati e poco motivati che riceveranno una laurea caritatevole dopo avere parcheggiato per qualche anno nei cortili e nei corridoi di un Ateneo. Ma non hanno mai smesso di formare contemporaneamente ricercatori e studiosi che sono perfettamente in grado di trovare impiego in istituzioni accademiche, laboratori e aziende straniere. Chi vuole studiare seriamente può trovare nelle nostre facoltà un ambiente favorevole alla sua vocazione e alle sue ambizioni. Negli anni del grande boom finanziario la City londinese aveva un buon numero di giovani italiani che provenivano dalla Bocconi e da altre scuole di economia della penisola. I grandi centri scientifici degli Stati Uniti continuano a reclutare italiani, spesso specializzati nei settori più avanzati della ricerca. Questo non significa tuttavia che i Paesi stranieri in cui gli italiani trovano un'occupazione scarseggino di talenti nazionali. Il «mercato dei cervelli», soprattutto nei maggiori Paesi anglosassoni, non è fondato sul principio autarchico secondo cui lo straniero è reclutato soltanto se non esiste un indigeno idoneo. Quando hanno bisogno di un dirigente, di un esperto o di uno scienziato, le grandi istituzioni e le grandi imprese chiedono ai candidati di provare la loro competenza e la loro buona conoscenza dell'inglese. Ma non sono interessati ai loro passaporti e alla loro nazionalità. Da noi gli incarichi sono generalmente affidati con altri criteri: le amicizie familiari, le clientele politiche, la successione dinastica e, nella migliore delle ipotesi, la cooptazione. E questa una delle principali ragioni per cui molti talenti italiani preferiscono emigrare.
(Fonte: S. Romano, Corsera 11-01-2012)

 
UNA NUOVA UNIVERSITÀ NON STATALE: LINK CAMPUS SEDE ITALIANA DELL'UNIVERSITÀ DI MALTA PDF Stampa E-mail
Con decreto registrato dalla Corte dei conti il 28 ottobre e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 17 novembre, il Link Campus è diventato «università non statale dell'ordinamento italiano». Fondato a Roma nel 1999 con cerimonia solenne e prolusione del Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, Link Campus è la sede italiana dell'Università di Malta e ha come presidente il più volte ministro Vincenzo Scotti. I suoi circa cinquecento iscritti, alla fine del percorso di studio, avranno in mano un pezzo di carta che ora, grazie al decreto di novembre, equivale in tutto e per tutto a una laurea italiana. Il decreto però ha due vistosi difetti: ignora la legge e non dichiara tutta la verità. Per il riconoscimento di nuove università non statali italiane occorrono, si legge in un decreto del 23 dicembre 2010, i pareri dei «Comitati regionali di coordinamento» e «la relazione tecnica dell'ANVUR», la neonata Agenzia nazionale di valutazione delle università. Per il riconoscimento della nuova università italiana Link Campus, la Gelmini non ha chiesto pareri. Né al Comitato regionale di coordinamento del Lazio né all'ANVUR.  Non era necessario, è la risposta di Scotti perché quei pareri erano già stati chiesti e rilasciati nel 2007, quando il CNVSU, precursore dell'ANVUR, «fece due ispezioni, venne da noi a vedere tutte le carte» e diede il via libera al «riconoscimento come università». A quelle due ispezioni fa riferimento anche il decreto del 17 novembre, che «previa verifica del CNVSU» riconosce la Link Campus «quale università non statale dell'ordinamento italiano». Scotti e il decreto tralasciano un dettaglio di non poco conto. Quella verifica - come documenta il sito internet dello stesso CNSVU - aveva l'unica finalità di riconoscere i titoli di studio «rilasciati da Istituti stranieri di istruzione superiore che operano in Italia». Che è ben diverso dal creare una nuova università italiana.
(Fonte: F. Margiocco, Il Secolo XIX 12-01-2012)
 
RECLUTAMENTO. ABILITAZIONI. CONCORSI LOCALI. CHIAMATA DIRETTA PDF Stampa E-mail
Attualmente si prevede un sistema di abilitazioni a lista aperta che, non comportando valutazioni comparative, daranno probabilmente luogo alla concessione a pioggia di idoneità nazionali; gli abilitati potranno poi concorrere a procedure di valutazione comparativa bandite dai singoli atenei per la copertura dei posti di professore sulla base delle loro esigenze. Si tratta di concorsi locali svolti sulla base di regolamenti di ateneo con procedure che si annunciano sin d'ora come assai poco trasparenti. I ricercatori a tempo determinato di tipo B, istituiti con la Riforma, transiterebbero invece per "chiamata diretta" (senza neppure la valutazione comparativa locale) nei ruoli dei professori associati una volta ottenuta l'idoneità. Si rischierà dunque una sovrapproduzione di abilitati a livello nazionale, mentre il sistema locale di reclutamento favorirà la promozione di soggetti predeterminati, a prescindere da criteri di selezione basata sul merito. Tanto più che per i posti di ricercatore tipo B è previsto per legge lo stanziamento da parte dall'ateneo che li bandisce del budget per la loro promozione: si può supporre che solo in rari casi costoro si vedranno negata l'abilitazione. Meglio sarebbe prevedere un percorso chiaro e ragionevole di reclutamento nazionale che si basi su liste chiuse: non abilitazioni ma valutazioni comparative nazionali. Diversamente, il rischio è di arrecare danni irreparabili all'Università, creando da un canto una vasta platea di abilitati che per carenza di fondi non ricoprono il ruolo per cui sono idonei (e che nella speranza di ricoprirlo in futuro, si prestano a bassa manovalanza negli atenei), dall'altro favorendo il reclutamento per nulla trasparente di soggetti per i quali è costruito un percorso ad hoc, tutto interno all'ateneo di partenza senza che costoro si cimentino mai in un vero confronto con altri candidati.
(A. Banfi, Il Riformista 13-01-2012). Le osservazioni di A. Banfi sul reclutamento più in dettaglio.
 
RIFORMA. I NUOVI DIPARTIMENTI PDF Stampa E-mail
Uno degli aspetti della riforma universitaria che sicuramente impatterà sul rapporto tra Università e Territorio è quello della “sparizione” delle Facoltà. Finora, almeno nel sentire comune, le Università erano identificate per le Facoltà che esprimevano, fino a equivocare la terminologia (“Mio figlio è iscritto all’Università di Ingegneria”!). Le imprese avevano, nella Facoltà e nel suo Preside, un “entry point di riferimento” per le relazioni con i Dipartimenti dell’Università. Oggi la Legge richiede che le sedi deputate alla ricerca e anche alla didattica siano i Dipartimenti, e che i Dipartimenti possano esistere se e solo se la loro consistenza è superiore a un minimo prefissato. E’ veramente un cambiamento epocale? Dal punto di vista formale non tanto: i Dipartimenti, secondo la legislazione preesistente alla 240, erano formalmente indipendenti e autonomi, e non sottoposti alle Facoltà. Dal punto di vista della didattica sì: finora era la Facoltà che “prendeva in affitto” dai Dipartimenti il personale docente e organizzava i cosiddetti “Corsi di Studio”. Da oggi non sarà più così: saranno i Dipartimenti a organizzare i curricula gestendo in proprio gli insegnamenti del curriculum e “prendendo a prestito” insegnamenti erogati da parte di altri Dipartimenti. Beh, niente di nuovo sotto il sole: al MIT (dove ancora mi trovo) la didattica è organizzata così da qualche tempo. Semmai, è necessario uno stretto coordinamento tra i Dipartimenti, per esempio tramite un comitato di coordinamento snello ed efficiente e dotato di personale di supporto, che sostituisca la Facoltà.
(Fonte: F. Docchio, www.giornaledibrescia.it 12-01-2012)
 
NO AL PUNTEGGIO MINIMO PER I TEST DI AMMISSIONE ALLE FACOLTÀ A NUMERO CHIUSO PDF Stampa E-mail
Grazie ad un ricorso portato avanti dall'Udu (Unione degli studenti) sono stati ammessi a Medicina 12 extracomunitari rimasti esclusi a causa del provvedimento dello scorso anno della Gelmini che prevedeva un punteggio minimo di 20/80esimi per il superamento dei test di ammissione alle facoltà a numero chiuso. Per il Tar del Lazio è illegittimo. Gli studenti potranno dunque entrare alla Sapienza.  L'Udu, attraverso il suo avvocato, ritiene illegittima questa soglia per almeno due motivi: i test di ammissione prevedono 40 domande, sulle 80 totali, di cultura generale italiana. E gli stranieri sono ovviamente svantaggiati. Ma, soprattutto, gli studenti extracomunitari che si sono rivolti al Tar Lazio hanno presentato la domanda per i corsi di ammissione alla facoltà di Medicina alla Sapienza di Roma prima che fosse pubblicato il decreto che impone lo sbarramento di 20 punti. Inoltre, il limite non ha ragione di esistere perché i posti riservati agli studenti extracomunitari nel 2011 sono stati 1.210, ma le domande appena 859. Secondo l'Udu, non c'era ragione di imporre un limite di punteggio per essere ammessi. Anche perché a superare il test, secondo le regole della Gelmini, sono stati 352. Gli oltre 500 posti non assegnati sono rimasti vacanti, non sono stati rassegnati neppure agli studenti comunitari.
(Fonte: affaritaliani.libero.it/ 16-01-2012)
 
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