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30 Gennaio
PROGRAMMI PER IL RIENTRO DEI CERVELLI PDF Stampa E-mail
L’Italia esporta ogni anno circa 30.000 ricercatori ma ne importa a mala pena 3.000. Un gap che, oltretutto, crea indirettamente un danno economico al sistema Italia di circa 1 miliardo di euro l'anno. Se i programmi del passato hanno funzionato poco o niente, si spera nelle norme per il futuro. La legge Controesodo (238/10) è stata cucita a misura di giovani laureati fuggiti all'estero negli anni scorsi. Promossa inizialmente dal Partito democratico, ha trovato strada raccogliendo sostenitori anche in quella che era la maggioranza del governo Berlusconi. Ha avuto un iter di circa due anni (dal gennaio 2009, data in cui è stata presentata alla Camera, al 30 dicembre 2010 quando è stata promulgata), cui poi è seguito un ulteriore momento di stallo, per i primi sei mesi del 2011, in attesa dei decreti attuativi (arrivati a giugno). È strutturata in modo da rendere fiscalmente vantaggioso per i cervelli in fuga il ritorno in patria. Possono fare domanda i nati dal gennaio 1969, ma solo in possesso della laurea triennale e quinquennale (che sono andati all'estero a lavorare o specializzarsi e chi, invece, si è laureato fuori dall'Italia). Oltre ai cittadini italiani possono fare domanda anche i cittadini degli altri 26 Paesi dell'Unione europea, a patto che prima del 20 gennaio 2009 abbiano risieduto continuativamente per almeno due anni in Italia. Ma a quanto ammonta lo sgravio fiscale? Gli uomini che rientreranno utilizzando Controesodo risparmieranno il 70% sulle tasse, le donne addirittura l'80%. Una condizione di favore dunque che durerà fino al 31 dicembre 2013 cui si unisce l'obbligo di restare obbligatoriamente per almeno cinque anni da quando si è goduta l'agevolazione fiscale. Per il rientro dei giovani cervelli, poi, è stato battezzato il programma Levi Montalcini che, dal 2009, ha sostituito, nella denominazione ma non negli intenti, il Programma sul rientro dei cervelli. La nuova iniziativa per giovani ricercatori, che nel 2009 ha stanziato 6 milioni di euro (si aspetta ora il nuovo bando), si rivolge a studiosi di ogni disciplina e nazionalità che siano in possesso del titolo di dottore di ricerca o equivalente conseguito da non più di sei anni e che siano stabilmente impegnati all'estero da almeno un triennio in attività di didattica. Gli studiosi selezionati stipuleranno un contratto di lavoro a tempo determinato per lo svolgimento esclusivo e a tempo pieno di attività di didattica e ricerca con una delle università indicate al momento della presentazione della domanda. I contratti, possono avere una durata massima triennale, ed essere rinnovati, una sola volta, per una durata complessiva di sei anni. Il ministero dell'università sosterrà integralmente sia i costi dell'attività di ricerca, sia il trattamento economico attribuito allo studioso. Infine la legge Gelmini prevede per le università di procedere alla copertura di posti di professore ordinario, associato e di ricercatore mediante chiamata diretta per tre tipologie di soggetti: studiosi stabilmente impegnati all'estero in attività di ricerca o di insegnamento a livello universitario da almeno un triennio che ricoprono posizioni accademiche equivalenti, giovani che dopo aver partecipato al programma rientro dei cervelli abbiano svolto per almeno un triennio ricerca o didattica negli atenei italiani sempre per il tramite della chiamata diretta oppure studiosi che siano risultati vincitori nell'ambito di specifici programmi di ricerca.
(Fonte: ItaliaOggi 23-01-2012)

 
LA DETRAZIONE DEL 19% DELLE SPESE SOSTENUTE VALE ANCHE PER IL DOTTORATO DI RICERCA PDF Stampa E-mail

Anche il dottorato di ricerca (in Italia o all'estero) gode della detrazione del 19% delle spese sostenute. Le spese sostenute per l'iscrizione al corso di dottorato di ricerca presso l'università sono a tutti gli effetti assimilabili a quelle per la frequenza di corsi di istruzione universitaria. Il Fisco riserva una detrazione del 19% anche alle spese sostenute nel 2009 per frequentare corsi di istruzione secondaria, universitaria, di perfezionamento e/o di specializzazione universitaria, tenuti presso istituti o università italiane o straniere, pubbliche o private, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi degli istituti statali italiani. Le spese possono riferirsi anche a più anni, compresa l'iscrizione ad anni fuori corso. In tale categoria, come chiarito dalla risoluzione n. 11/E del 2010, rientrano anche le spese d’iscrizione a un dottorato di ricerca che possono quindi essere incluse tra quelle che danno diritto alla detrazione.
Il dottorato di ricerca deve essere considerato un vero e proprio corso d’istruzione universitaria, rappresentando un titolo che si ottiene dopo aver seguito un corso specifico previsto dall'ordinamento universitario per preparare i laureati a svolgere attività di ricerca di alta qualificazione. Secondo le indicazioni fornite dall'amministrazione finanziaria, la detrazione è applicabile anche in relazione alle spese sostenute per la frequenza di corsi universitari di specializzazione presso università statali riconosciute in base all'ordinamento universitario, di corsi di perfezionamento, di master che per durata e struttura dell'insegnamento siano assimilabili ai corsi universitari o di specializzazione e sempre che siano gestiti da istituti universitari, pubblici o privati, italiani o stranieri.
(Fonte: ItaliaOggi 23-01-2012)

 
BENE IL GOVERNO SULL’UNIVERSITÀ MA OCCORRE FARE DI PIÙ PER MODERNIZZARLA PDF Stampa E-mail
Alleggerimento del peso del valore legale del titolo di studio, sistema di valutazione per gli atenei, concorsi pubblici centrati su professionalità e conoscenze. Proposte condivisibili e di qualità, da sostenere e sponsorizzare. Generazione Futuro ha sempre avuto le idee chiare in merito: le università devono competere l’una con l’altra, devono avere la più ampia autonomia e responsabilità finanziaria, quelle inefficienti devono chiudere, il valore dei titoli deve essere affievolito per eliminare i diplomifici accademici e i concorsi devono basarsi solo su preparazione e merito del candidato. Sono punti che abbiamo in programma fin dalla nascita del nostro movimento ed è grande la soddisfazione nel vedere un Governo capace finalmente di concentrarsi sulla modernizzazione del sistema universitario. Ci auspichiamo che si prosegua su questa linea ed esortiamo a considerare anche la revisione del sistema di borse di studio, l’introduzione di un serio meccanismo di prestiti d’onore, l’incentivazione dei privati a investire in ricerca e università, il ripristino della chiamata diretta per i docenti universitari e misure che favoriscano l’internazionalizzazione degli atenei.
(Fonte: L. Castellani, www.generazioneitalia.it 23-01-2012)
 
BENE LA DEMOCRAZIA NEL SISTEMA ACCADEMICO, MA NON UN VOTIFICIO INESAURIBILE PDF Stampa E-mail
Faccio molta fatica a spiegare i meccanismi elettorali del nostro sistema accademico ai colleghi stranieri, o almeno a quelli che vivono nei paesi con le Università più avanzate sotto il profilo scientifico e didattico. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, per esempio, tutti i docenti devono fare a turno il Direttore di Dipartimento o il Preside di Facoltà, cariche percepite come un peso perché tolgono tempo a ricerca e insegnamento. Ancora più chiara la situazione del Rettore, che nel mondo anglosassone viene di solito chiamato “President”. Esiste una carriera parallela per docenti che scoprono di amare il lavoro burocratico e amministrativo. Chiunque la intraprenda deve letteralmente “studiare” materie amministrative e giuridiche, dimostrando poi di avere i titoli giusti per gestire un sistema complesso. Quando un President scade o si dimette viene bandito un concorso riservato a persone che possiedono i titoli dianzi citati. La scelta spetta a un comitato (board) che non è composto da docenti. Ecco perché in quel caso è difficile che un ateneo fallisca: è gestito con criteri manageriali. E, se fallisce, nessuno pensa di salvarlo tappando i buchi con il denaro pubblico. Inutile dire che in Italia un sistema simile è tacciato di mancanza di democraticità da parte di politici (accademici) e sindacalisti. Ma – mi chiedo – è veramente democratico costringere i docenti universitari a una serie infinita di primarie, campagne elettorali, riunioni burocratiche di ogni sorta? E, se sì, cosa intendiamo per “democrazia”? Non stiamo forse scordando che l’Università è nata per essere una communitas di professori e studenti, in cui i primi hanno il compito essenziale di impartire ai secondi un’educazione di carattere superiore? A mio avviso la risposta è automatica, e duole costatare che in Italia si procede nella direzione opposta.
(Fonte: M. Marsonet, www.loccidentale.it 23-01-2012)
 
UNO STUDIO DELLA FONDAZIONE AGNELLI SU LUCI E OMBRE DELLA RIFORMA PDF Stampa E-mail
A oltre 10 anni dalla cosiddetta riforma del "3+2" che ha introdotto in Italia la laurea "breve", triennale, seguita da un eventuale biennio di specializzazione, si è allargata la base sociale dei laureati ma negli ultimi anni sono calate anche le immatricolazioni. Lo dice uno studio della Fondazione Agnelli sui "nuovi laureati". Dallo studio - pubblicato da Laterza (vedi Rubrica LIBRI) - risulta che i laureati della "nuova università" trovano lavori più precari e meno pagati rispetto al passato. E l'Italia resta comunque indietro rispetto ad altri paesi occidentali per il numero di adulti in possesso di una laurea. Mentre cala il numero delle "matricole", però aumenta in termini relativi il numero dei docenti, gli atenei continuano a non specializzarsi (tutti, in pratica, offrono corsi di giurisprudenza, economia, lettere, scienze politiche...) e in molte università la maggioranza degli studenti dopo il triennio continuano a studiare. Spesso perché per alcune materie proseguire è quasi obbligatorio, dice la Fondazione. Come dire che si tratta di "falsi" 3+2. I ricercatori non si limitano però a vagliare "le luci e le ombre della riforma” (cui dal 2011 si è aggiunta poi la riforma Gelmini, i cui effetti però non è ancora possibile analizzare). Avanzano anche delle proposte, ricordando che resta l'obiettivo fondamentale, quello di portare - dall'attuale 19% - almeno al 40% la percentuale di laureati sulla popolazione "giovane" entro il 2020.
(Fonte: Reuters 23-01-2012)
 
ALTERNANZA SCUOLA-UNIVERSITÀ-LAVORO PDF Stampa E-mail
Il costante processo d’innovazione del sistema economico e sociale richiede alla scuola e all'università di superare il tradizionale assetto burocratico e autoreferenziale e induce un'evoluzione fondamentale che, come accade nei Paesi Ocse più innovativi, si muove in una prospettiva di bridging e networking con le istituzioni territoriali, le imprese e il mondo del lavoro. E’ perciò necessario che il governo Monti, il ministro Profumo e gli Assessori regionali, per le loro rispettive competenze, intraprendano un percorso che permetta di sperimentare politiche integrate «attivanti», che puntino a coinvolgere responsabilmente le istituzioni educative, il sistema economico e sociale, gli stessi giovani e le famiglie, al fine di perseguire i seguenti obiettivi: a) un maggiore dialogo tra scuole e università, mediante la valorizzazione del principio dell'autonomia, e un migliore raccordo, in funzione dell'elaborazione dell'offerta formativa, con le istituzioni regionali e territoriali, il mondo delle attività produttive, delle professioni e del terzo settore; b) una politica di orientamento allo studio e al lavoro che permetta un coinvolgimento consapevole e responsabile degli studenti e delle famiglie; c) l'obbligo di praticare stage e tirocini lavorativi nell'ambito di tutti i percorsi scolastici e universitari, sviluppo di un ruolo più attivo delle università nell'attività di matching tra domanda e offerta di lavoro; d) sviluppo delle potenzialità del nuovo apprendistato, che disciplina il contratto per la qualifica professionale, quello professionalizzante e quello per l'alta formazione e la ricerca; e) una maggiore diffusione delle esperienze di trasferimento tecnologico tra università e imprese e di progetti di start up ed estensione di progetti formativi tendenti al rafforzamento delle competenze di autoimprenditorialità e il sostegno alla promozione di imprese innovative create da giovani laureati. In questa nuova prospettiva, il ruolo dell'alternanza scuola-università-lavoro diventa strategico, poiché permette al giovane di conoscere il mondo del lavoro e all'impresa di poter orientare la programmazione dell'offerta formativa del sistema scolastico e di quello universitario, in modo tale da renderlo più in linea con la domanda di lavoro.
(Fonte: ItaliaOggi 24-01-2012)
 
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