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18 Marzo
RETRIBUZIONI. RICERCATORI UNIVERSITARI A TEMPO INDETERMINATO NON CONFERMATI. RETRIBUZIONE D’INGRESSO PDF Stampa E-mail

Il Governo è stato delegato dalla legge 240/10 a mettere mano alla retribuzione dei ricercatori universitari a tempo indeterminato non confermati (c.d. RUNC, circa 1700 ricercatori), per porre rimedio a una retribuzione d’ingresso in ruolo molto bassa, per di più “stabilizzata” nel tempo per effetto del blocco degli scatti. Ma il provvedimento del Governo, appena varato (08-03-12), rischia di moltiplicare i problemi, invece di risolverli. Con il varo del provvedimento citato le misure per la “valorizzazione” dei RUNC al primo anno di servizio sono oramai legge dello Stato, ma il testo tradisce molte delle aspettative alimentate in questi mesi, e sembra restringere (di molto) il novero dei “beneficiati” dall’adeguamento della retribuzione. Recita, infatti, l’art. 16 del decreto:
"1. Ai ricercatori universitari non confermati a tempo indeterminato che si trovano nel primo anno di attività alla data di entrata  in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e’ riconosciuto, fin dal primo anno di effettivo servizio, il trattamento  economico  di  cui all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 31  gennaio  2005,  n.  7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43.
2. Il trattamento economico di cui al comma 1 e’ riconosciuto  per la sola parte del primo anno di  servizio  successiva  alla  data  di entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
3. All’onere derivante dall’applicazione del comma  1  si  provvede nel limite massimo di 11 milioni di euro a valere  sulle  risorse  di cui all’articolo 29, comma 22, primo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.”
Dunque, l’adeguamento del trattamento economico sembra spettare ai soli RUNC che si trovavano già in servizio (ma ancora nel primo anno di attività) alla data di entrata in vigore della legge 240/2010 (cioè, il 29 gennaio 2011) [comma 1], e limitatamente ai mesi di servizio successivi a tale data [comma 2]. Niente invece, a leggere la disposizione, per i ricercatori a tempo indeterminato che hanno preso servizio dopo il 29 gennaio 2011 (e sono alcune centinaia). Ma niente nemmeno per chi avesse preso servizio tra il 1° e il 28 gennaio 2010: costoro non hanno potuto maturare lo scattone del 2° anno al 31/12/2010, ma all’entrata in vigore della 240 (29 gennaio 2011) non erano più nel primo anno di servizio.
Si tratta, in altri termini, di un adeguamento stipendiale che opererebbe a macchia di leopardo, in maniera del tutto casuale, e che non solo lascerebbe fuori alcuni soggetti che hanno maturato i medesimi requisiti PRIMA dell’entrata in vigore della disciplina che dispone l’adeguamento stipendiale (il che è spiacevole, sostanzialmente ingiusto, ma che – nel gioco della successione delle leggi nel tempo – ci può stare), ma lascerebbe fuori anche molti soggetti che hanno maturato i medesimi requisiti DOPO l’entrata in vigore di tale disciplina. Il che è francamente sconcertante, privo di logica, e del tutto arbitrario (e costituzionalmente illegittimo, quindi).
Ora la palla passa agli atenei; e non potrebbe passare in mani peggiori, di questi tempi. Molti atenei stanno da qualche tempo negando diritti e riconoscimenti economici oramai pacifici in sede giurisdizionale (come, ad. es., nel caso della ricostruzione di carriera per gli assegni di ricerca, ex art. 103 del D.P.R. 11.7.1980, n. 382), costringendo i diretti interessati a dispendiosi e defatiganti ricorsi. Il timore è che anche questa vicenda possa finire per favorire le pratiche dilatorie di quegli atenei che si sono dimostrati meno propensi ad assecondare la legge (se ciò è finanziariamente sconveniente).
Per altro, il testo del decreto non fornisce indicazioni precise nemmeno per quanto riguarda il blocco dello stipendio. Certo, la disposizione stabilisce che la retribuzione “valorizzata” spetta ai ricercatori interessati “fin dal primo anno di servizio”. Ma, anche qui, non è del tutto scongiurato il rischio che gli atenei si limitino a riconoscere l’adeguamento per i mesi “imposti” dal decreto, salvo però mantenere ferma la retribuzione al livello del 31/12/2010 per tutto il periodo restante (con un curioso effetto di up and down del trattamento economico).
L’applicazione del decreto secondo l’interpretazione fin qui paventata (la più aderente al testo) determinerebbe, dunque, nuove, evidenti disparità di trattamento, senza sanare (se non in minima parte, e solo per alcuni) gli effetti del blocco delle retribuzioni per i ricercatori a tempo indeterminato neoassunti.
Il ministero, in primo luogo, ha a questo punto ha il dovere di chiarire (meglio di quanto abbia fatto il decreto) destinatari, portata ed effetti dell’adeguamento della retribuzione dei ricercatori universitari al primo anno di attività, nel senso di un’applicazione non discriminatoria, ed effettivamente risolutiva dei gravi problemi determinati dal blocco triennale degli scatti. Gli elementi a supporto di una più “sensata” linea di interpretazione non mancano, sia nella legge delega, sia nello stesso d.lgs. n. 19/2012 (che ai sensi dell’art. 2 comma 2, dispone “la valorizzazione della figura dei ricercatori non confermati per il primo anno di attività attraverso la revisione del rispettivo trattamento economico”). Si tratta di darvi seguito. In questo senso, molto dipenderà anche dall’atteggiamento degli atenei: anche qui, l’auspicio è che ragioni di giustizia, di equità e di ragionevolezza, possano prevalere sull’interesse (di corto respiro) al risparmio, tanto più che le risorse per fare fronte a questi adeguamenti retributivi risultano già distribuite alle università nella ripartizione del FFO per il 2011 (cfr. l’art. 13 del DM 439/2011).
(Fonte: B. Ponti, roars 13-03-2012)

 
RETRIBUZIONI. AMBIGUITÀ SU ADEGUAMENTI STIPENDIALI DI RICERCATORI E PROFESSORI PDF Stampa E-mail
“La risposta resa oggi dal Ministero dell'Economia a un’interpellanza da noi presentata riguardo ai ricercatori e professori universitari è elusiva. Reitera, con l'avallo del Governo, un atteggiamento tipicamente burocratico, di inerzia degli interna corporis della Ragioneria Generale. Dal giugno 2011 sono state presentate ben quattro interpellanze urgenti, che hanno sempre ricevuto risposte univoche dal Governo, riguardo alla non applicabilità ai ricercatori e professori confermati nel ruolo dopo i tre anni di prova del blocco stipendiale disposto dal decreto legge n. 78 del 2010. Il Governo, nel dicembre 2011, ha anche emanato un DPR in cui questo principio è ulteriormente sancito. Ma alcuni atenei non si adeguano in attesa che l'ufficio Igop della Ragioneria Generale si esprima. Il Governo, che pure per un verso ha oggi nuovamente confermato la validità degli argomenti da noi sempre sostenuti, alla nostra precisa richiesta di sapere se non intenda sollecitare un definitivo chiarimento della Ragioneria non risponde. In questo modo offende il Parlamento, copre ancora una volta il gioco del rimpallo tra atenei e Ragioneria, legittima un’iniquità nei confronti dei soggetti interessati, consente che alcuni Atenei approvino bilanci falsati dalla mancata contabilizzazione di oneri dovuti e di cui prima o poi dovranno farsi carico, magari a seguito di onerosi contenziosi legali”. Lo dichiarano i deputati democratici Manuela Ghizzoni e Salvatore Vassallo.
(Fonte: AGENPARL 09-03-2012)
 
UNA SANITÀ UNIVERSITARIA RINNOVATA. NE PARLA IL MINISTRO BALDUZZI PDF Stampa E-mail

Ospite d'onore del convegno “Sanità universitaria oggi”, a Napoli, il ministro della Salute Renato Balduzzi ha affrontato il tema caldo della trasformazione delle Facoltà di Medicina secondo la riforma universitaria e il problema più pressante del suo rapporto con le Regioni e con i ministeri. Servono «progetti chiari e definitivi» ha detto il rettore Rossi, nel dare la parola al Ministro.
Il Ministro dedica tutta la prima parte del suo intervento a ripercorrere le misure che ci hanno portato alla condizione attuale. Si è cominciato anche prima del decreto legislativo 517 del '99, la legge Bindi, da molti additata come colpevole della situazione attuale. Una fase «sperimentale» la chiama Balduzzi, che avrebbe dovuto condurre a un regolamento nazionale virtuoso di integrazione di Policlinici nel Sistema Sanitario Nazionale e dello stesso con il mondo della formazione universitaria. «In parte tutto questo è successo, in parte no – dice Balduzzi –, a me piacerebbe che un periodo di quest’anno di governo Monti potesse essere impegnato a sistemare la Sanità Universitaria perché c'è stata un’incompiutezza. Si tratta di un modello normativo che mette a confronto due soggetti particolari: il complesso regionale, di cui le aziende sono una promanazione, e i complessi universitari. Sono due autonomie costituzionalmente garantite, e questo è l'unico campo in cui due autonomie garantite si siano trovate a dover definire i propri rapporti». Il Ministro, inoltre, rileva la necessità di guardare a quella legge del '99 per i suoi effetti concomitanti alla riforma del titolo V della Costituzione. Quella riforma, infatti, determinò un’evoluzione della potestà legislativa in favore delle Regioni. In ambito sanitario quella fu un’intelligente soluzione che permetteva alla Pubblica Amministrazione di essere più vicina alle problematiche locali della Sanità, ma dall'altro produsse la conflittualità di autonomie. Proprio per quella conflittualità non sono mai state realizzate le linee guida di attuazione della legge Bindi, da cui “l'incompiutezza” cui fa riferimento il Ministro. Ma il ministro “tecnico” prende apertamente le distanze da certi metodi politici e dopo aver analizzato il problema espone ciò che andrà fatto. Anzitutto non vuole sentire ragioni sulla riforma Gelmini, dalla quale, invece, non prende le distanze e per la quale esiste uno schema-tipo che è qualcosa di più di una serie di linee guida: «qualcosa di concreto», dice. E aggiunge «quella proposta si è “arenata”, ma all'inizio della prossima settimana io proporrò al collega Profumo (Ministro dell'Istruzione) un percorso che dovrebbe portare in tempi precisi a sciogliere quei nodi che la tengono bloccata». Un percorso per il quale il Ministro non è rimasto sul vago, bensì elencando otto punti concreti di contenuto su cui trovare una base condivisa. Definire con chiarezza il ruolo primario e privilegiato delle università con il sistema sanitario regionale, dare a queste aziende “miste” una governance adeguata, rispettare le indicazioni dell'atto aziendale su organizzazione e funzionamento, non sovrapporre dipartimenti universitari ai dipartimenti ad attività integrata, risolvere le resistenze nella collaborazione e nel coinvolgimento di tutti gli attori, dal personale ai sindacati, la definizione proprietaria di entità sia immobiliari sia mobiliari che devono essere conferite all'Azienda Ospedaliera Universitaria. «Il messaggio dice – conclude Balduzzi – facciamo un passo in più, andiamo avanti. Non pensiamo neanche un momento che abbiamo sbagliato tutto e che è tutto da rifare. Il problema non è il nome, il problema è la cosa. Una nuova Sanità universitaria? No. Una Sanità universitaria nuova, cioè rinnovata. Ci possono essere lamentele giustificate, ma il problema è non morire, oggi, dietro le lamentele. Il problema è che ciascuno, stando al proprio posto, faccia la propria parte».
(Fonte: G. De Stefano, www.italiasudsanita.it 15-03-2012)

 
UN APPELLO: L’UNIVERSITÀ CHE VOGLIAMO PDF Stampa E-mail

Vogliamo un’università che sia uno strumento per ridurre - con una distribuzione socialmente equa degli oneri universitari - l’immobilità sociale che caratterizza la società italiana e che permetta alle comunità scientifiche un’autonoma rielaborazione dei saperi e una sperimentazione di nuove aggregazioni disciplinari. Che si affronti senza pregiudizi il problema del rapporto tra elaborazione disciplinare (science driven) e mondo del lavoro (society driven). A differenza di quanto avveniva nel modello sovietico di derivazione francese con la separazione tra le accademie e l'università, in Italia il modello universitario è misto e le due funzioni devono convivere a pari dignità; sconcerta il disprezzo che alcuni intellettuali hanno per la funzione occupazionale, posto che gli studenti, che pagano, questo legittimamente esigono. Che si affronti, anche qui rifuggendo dagli slogan, il problema della qualità (che va premiata) e della differenziazione tra atenei, e più ancora tra comunità disciplinari e di ricerca a diverso livello. Vogliamo infine che si affronti in modo serio il problema della valutazione sia del "merito individuale" (reclutamento dei nuovi docenti e carriera dei vecchi), liberandolo dai clientelismi, sia del "merito collegiale", cioè della capacità, da parte dei Dipartimenti e dei Corsi di studio, di operare in funzione di obiettivi unitariamente definiti e perseguiti. Questi sono i temi strategici con cui si deve misurare chi vuole ragionare sull'università, perché gli errori del passato sono evidenti e non vanno riproposti come virtù.
(Fonte: G. Anzellotti, L. Benadusl, S. Beffo, G. Capano, A. Cavalli, F. Esposito, G. Luzzatto, G. Martinotti, A. Messid, L.  Modica, R. Moscati, D. Rizzi, M. Rostan, M. Vaira, Il Manifesto 29-02-2012)

 
INDAGINI SULL’ASSENTEISMO DEI DOCENTI IN LIGURIA PDF Stampa E-mail
Nel mirino della Procura della Corte dei Conti della Liguria sono in particolare i professori universitari che non svolgono i loro compiti o che lo fanno pur con incompatibilità professionale acclarata. La linea della procura è emersa dalla relazione del procuratore regionale della Corte dei Conti della Liguria. «È in corso - scrive il procuratore - un'importante indagine su numerose fattispecie di assenteismo e di incompatibilità di professori universitari». C'è il professore straniero che nel corso del suo ciclo di lezioni si è fatto vedere solo per un paio di volte, o il docente assunto dall'università con un contratto a tempo pieno e che invece svolge altre attività fuori dalla facoltà. A «bacchettare» i docenti dell'Università di Genova sono stati per primi gli studenti, stanchi di partecipare a lezioni tenute da assistenti e non dai titolari delle cattedre. Gli alunni hanno segnalato i casi più eclatanti all'ex Garante di ateneo, che a sua volta ha portato la documentazione ai magistrati della Corte dei Conti ligure, facendo così aprire un'istruttoria. Dagli accertamenti è emerso che sono i corsi scientifici ad avere il tasso più alto di professori assenteisti. L'istruttoria è ancora in corso, e i magistrati stanno ancora indagando su quale sia la reale portata del fenomeno.
(Fonte: M. Bottino, http://www.swas.polito.it 25-02-2012)
 
200 ESAMI FALSI NEL CERVELLONE ELETTRONICO DI UN ATENEO PDF Stampa E-mail
Un esame alla facoltà di Economia costava mille euro. Qualcosa in più serviva per una materia ad Architettura o a Ingegneria. A tutto pensavano tre impiegati dell'università, addetti alla segreteria studenti della facoltà di Economia: secondo la ricostruzione della Procura e della squadra mobile, avrebbero inserito quasi 200 esami falsi nel cervellone elettronico dell'ateneo. Agli arresti domiciliari sono finiti due funzionari e un ex studente che avrebbe avuto il compito di avvicinare gli universitari in difficoltà. Due pubblici ministeri contestano a tutti le accuse di accesso abusivo al sistema informatico, frode informatica e falsità ideologica. Al centro dell'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto, c'è l'ex vicaria della segreteria di Economia, che l'università ha già licenziato dopo un'inchiesta interna. Nel registro degli indagati della Procura c’è anche una trentina di ex studenti, che avrebbero beneficiato delle materie comprate conseguendo speditamente una laurea. Irregolarità già emerse anche alla facoltà di Giurisprudenza.
(Fonte: S. Palazzolo, palermo.repubblica.it 02-03-2012)
 
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