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18 Marzo
BORSE DI STUDIO EUROPEAN RESEARCH COUNCIL (ERC) PDF Stampa E-mail
Il Consiglio Europeo di Ricerca (Cer, Cer), che festeggia i cinque anni dalla sua istituzione, punta a finanziare e promuovere la ricerca d'eccellenza in Europa, anche per arginare la fuga dei cervelli verso Paesi extraeuropei e magari attirarne alcuni da fuori. Dal 2007 a oggi il Cer, che ha un bilancio di 7,5 miliardi di euro, per il periodo 2007-2013 ha finanziato con borse fino a un massimo di 3,5 milioni di euro per cinque anni 2.557 ricercatori d'eccellenza di 53 diverse nazionalità in 480 istituzioni in tutta l'Europa. In totale, il Consiglio ha già erogato 3,9 miliardi di euro per progetti in tutta 1'Ue più Russia, Turchia, Croazia, Norvegia, Svizzera e Israele. Anche l'Italia, naturalmente, fa la sua parte, e le eccellenze non mancano. Tuttavia i dati che emergono non sono propriamente esaltanti, almeno in rapporto ai grandi Paesi dell'Europa occidentale. Anzitutto, il Bel Paese ha un record di sproporzione tra gli stranieri che vogliono venire a studiare in Italia e gli italiani che vogliono che i "grant", le borse fornite dal Cer (sono di due tipi: uno per i giovani ricercatori, e un secondo "avanzato" per chi è già avanti nella carriera e si è già fatto un nome), si svolgano presso università straniere: appena 16 i forestieri che hanno chiesto di venire da noi, mentre su 257 italiani vincitori di una borsa Cer ben 106 hanno preferito l'estero. Il Regno Unito - primo in assoluto - ha attirato con queste borse Ue oltre 240 ricercatori stranieri, mentre solo una cinquantina di britannici ha scelto l'estero. Quadro simile in Svizzera, che ha attirato 140 ricercatori mentre solo una decina di elvetici è andato all'estero. Non basta. Tra le 18 università che hanno attirato più ricercatori stranieri con questi fondi comunitari non ce n'è nessuna italiana, ma 6 britanniche, 3 svizzere, 3 israeliane, 2 olandesi, e 1 per Belgio, Germania, Svezia e Finlandia. Né figura alcun organismo di ricerca (tipo il nostro M), ma 4 enti francesi, 1 tedesco e 1 spagnolo. Rimane, poi, un ultimo dato negativo, e cioè la percentuale di successi rispetto alle richieste: mentre la media europea vede un risultato positivo del 9,8%, per l'Italia si scende al 6%. Eppure, sottolineano al Cer, non è che non ci siano italiani di grandi qualità, del resto, finalmente un dato positivo: circa il 10% delle borse Cer sono state assegnate a connazionali.
(Fonte: G. M. Del Re, Avvenire 29-02-2012)
 
ARABIA SAUDITA. SCONTRI ALL' UNIVERSITÀ DI ABHA. ALLIEVE CONTRO POLIZIA RELIGIOSA PDF Stampa E-mail
All'università femminile Re Khaled di Abha, una città che in Occidente quasi nessuno conosce, nel profondo sud-ovest dell’Arabia Saudita, arroccata a 2.200 metri d’altezza sui monti verso lo Yemen, mercoledì si è spinta a sorpresa l'onda della Primavera araba. Una protesta che ha visto 8 mila studentesse affrontare fisicamente la polizia religiosa, le forze dell'ordine. Il ministero della Sanità ha poi ammesso: «Ci sono state 53 ferite, 22 di loro curate in ospedale». Abha è diventata già un simbolo. Non solo perché il Regno ha evitato finora il contagio delle rivolte: solo gli sciiti nell'Est hanno osato tentare una nuova intifada, con scarso successo. Ma perché a sfidare le autorità sono state le donne, nel Paese più maschilista della regione e forse del mondo. «Tutto è partito dalle condizioni misere delle facoltà femminili di lettere e magistero: assoluta mancanza di attrezzatura e di igiene - spiega sul suo blog Wael, fratello di un’allieva contestatrice -. E poi i continui maltrattamenti da parte delle addette alla sicurezza, la pessima gestione del rettore. È arrivata la polizia religiosa, poi le forze dell’ordine». Il governatore della regione principe Faisal bin Khaled, che ha cercato di sminuire la rivolta, ha promesso «un’inchiesta». L’università ha giustificato l’intervento della polizia come «necessario per riportare nel campus la buona condotta». Ma le ragazze non tornano indietro. Spiegano che «non è solo per il degrado della facoltà, ma per la mancanza di libertà» che si sollevano. «Vogliamo usare Internet e i cellulari quando vogliamo, meno limiti per l' abbigliamento».
(Fonte: C. Zecchinelli, Corsera 10-03-2012)
 
TUNISIA. PER IL NO AL VELO PROFESSORI AGGREDITI PDF Stampa E-mail
Ennesima aggressione nei confronti di docenti universitari tunisini che si oppongono alla presenza in aula di ragazze che indossano il velo integrale. Questa volta, a finire nel mirino di decine di studenti salafiti (estremisti islamici), sono stati due docenti della facoltà di Lettere, Arti e Scienze umane di La Manouba, dopo che uno di loro si era opposto - rifacendosi ai regolamenti degli atenei tunisini - alla presenza, durante una lezione, di una studentessa che indossava il niqab. La decisione è stata contestata da un gruppo di giovani salafiti, essi stessi studenti dell'università, che hanno cominciato a protestare all'esterno dell'aula dove il docente stava cercando di tenere la lezione. Vista l'impossibilità di proseguire la lezione, il docente è stato costretto a trasferirsi, con gli studenti, in un'altra sala. Ma i salafiti, dopo avere sfondato la porta, hanno fatto irruzione nell'aula e l’hanno aggredito. Stessa sorte è toccata a un altro docente che aveva cercato di riportare la calma. L'accaduto ha costretto la direzione dell'università a interrompere i corsi.
(Fonte: Il Giornale 01-03-2012)
 
CINA. NEL 2012 PER LA RICERCA DI BASE 26% IN PIÙ PDF Stampa E-mail
All'annuale Congresso del Popolo, il Primo Ministro cinese ha annunciato che il governo aumenterà nel 2012 gli investimenti in ricerca scientifica di base o, come si dice oggi, curiosity-driven, portandoli a 5,16 miliardi di dollari: il 26% in più rispetto al 2011. Con questi nuovi fondi il governo centrale porterà il suo contributo complessivo alla spesa in ricerca e sviluppo a 36,23 miliardi di dollari: oltre il 12% dell'intera spesa cinese in R&S. L'annuncio ha colto di sorpresa gli osservatori per due motivi. Il primo è che la crescita dell'economia cinese rallenterà quest'anno: sarà appena del 7,5%. E anche l'aumento della spesa pubblica sarà limato. Inoltre è noto che la gran parte della spesa cinese in R&S è più verso lo sviluppo economico che non verso la ricerca di base. Wen Jaobao ha voluto smentire, però, le facili previsioni. Dando una concreta dimostrazione che la Cina intende costruire sulla ricerca — su una solida ricerca — il suo futuro, non lontano, di prima potenza economica mondiale. Con questi numeri, sostiene il R&D Magazine, l'Asia continentale è diventata il motore della ricerca planetaria. In termini di risorse umane ha già superato gli Stati Uniti: la Cina conta ormai 1,5 milioni di ricercatori e laurea la metà dei nuovi ingegneri di tutto il mondo. E secondo il R&D Magazine il paese asiatico supererà il paese americano anche in termini di risorse economiche investite in ricerca entro il 2022: tra appena dieci anni. Ma la Cina è la grossa punta emergente dell'iceberg asiatico. I suoi investimenti in R&S sono aumentati al ritmo del 22% annuo tra il 1996 e il 2007. Ma la Malaysia (18%), la Thailandia e Singapore (col 14,5%), Taiwan (11%), Corea del Sud (10%) e India (9%) hanno realizzato performance al cospetto delle quali gli investimenti in R&S dell'Europa (6,5%) e degli Stati Uniti (6,0%) sono assai inferiori.
(Fonte: P. Greco, L’Unità 12-03-2012)
 
I PRIMI 100 ATENEI DEL MONDO NELLA CLASSIFICA “T.H.E.” RESA NOTA IL 15 MARZO PDF Stampa E-mail

Who are the global academic super-brands? Our list of the world’s top 100 universities ranked by reputation, based on the world’s largest academic opinion survey, will be published here on 15th March, 2012. Così il sito del Times Higher Education, World Reputation Rankings, annuncia la sua classificazione dei primi 100 atenei del mondo.
L'indagine si basa su una rilevazione condotta da Ipsos per Thomson Reuters su 17.554 risposte giunte da 137 Paesi rivolte a rappresentanti del mondo accademico. Viene chiesto loro di citare non più di 15 istituzioni tra quelle che rientrano nel loro campo di competenza, spiegandone le ragioni. Il 44 per cento delle informazioni arriva dagli Usa, il 28 dall’Europa e il 25 per cento dall'Asia e dal Medio Oriente.
Nella classifica annuale stilata da Times Higher Education, World Reputation Rankings l'istruzione superiore del nostro Paese ancora una volta non compare tra le prime cento come già negli anni scorsi. Quella di Times Higher Education è una classifica prestigiosa e riconosciuta ma anche molto criticata e, infatti, si discosta per alcuni aspetti da altre classifiche internazionali, come quella Ocse, nelle quali ad esempio gli Atenei italiani ricoprono posizioni più alte. Tra le novità più significative l'ingresso per la prima volta della Turchia con la Middle East Technical University anche se in coda, al 96˚ posto. Non c'è dubbio che gli Usa tengano ancora stretto il primato insieme all'Inghilterra. Harvard confermata al primo posto, seguita dal Massachusetts Institute of technology, poi l'inglese Cambridge, di nuovo gli Usa con Stanford e Berkeley, infine Oxford.
Identiche le posizioni nell'anno precedente, a parte Stanford e Berkeley che si sono scambiate il 4° e il 5° posto. Confermato anche il prestigioso ottavo posto per il Giappone. I ricercatori comunque rilevano una perdita di prestigio per le università americane anche se dominano ancora la scena. Un calo che sarebbe legato al pubblicizzato taglio dei fondi pubblici e che avrebbe ad esempio penalizzato l'università di San Diego, California, scesa di sei posti dal 30° al 36°.
Stesso discorso per il Regno Unito. Anche se istituzioni storiche come Oxford e Cambridge non perdono un colpo altri marchi importanti, invece, segnano il passo come l’Imperial College (da 11° a 13°), l'University College of London (da 19° a 21°) e l'Università di Edimburgo (da 45° a 49°).
Tra le prime cento sono 19 le nazioni rappresentate. Bene il Giappone con Tokio e Kyoto, anche se scende dal diciottesimo posto al ventesimo. Cresce il prestigio dell'Asia. La Cina ha due Atenei nei primi cento: Tsinghua (30°) e Peking (38°). Entrambe in ascesa come Singapore, da 27° a 23° e Taiwan, da 80° a 70°.
Uno dei curatori della ricerca, Phil Baty, redattore di Times Higher Education sottolinea come queste università siano entrate in un circolo virtuoso che permette loro di migliorare.  Grazie al prestigio conquistato possono scegliere tra i professori più richiesti, attraendo così anche gli studenti più motivati e dotati. Ci sono nuove forze che emergono e i segnali sono inequivocabili: l'oriente sta intaccando il predominio culturale dell'occidente.
(Fonte: Il Giornale e timeshighereducation.co.uk 15-03-2012)

 
UNIBO. DOPO UN ANNO OCCUPATO IL 46% DEI LAUREATI TRIENNALI MA IL 69% È PRECARIO PDF Stampa E-mail

Il tasso di occupazione dei dottori che hanno conquistato la laurea triennale nel 2010 all’Universita’ di Bologna è pari al 46%. Si tratta di una percentuale di poco superiore alle media nazionale (44%) e che si conferma analoga a quello della rilevazione sui laureati 2009. E’ quanto emerge dall’indagine condotta dall’Alma Mater che ha intevistato i laureati a un anno dal termine degli studi universitari. Tra gli occupati triennali, il 32% è dedito esclusivamente al lavoro, mentre il 14% coniuga la laurea specialistica con il lavoro. Più in dettaglio, tra chi continua gli studi iscrivendosi alla laurea specialistica (il 55%) il 41% è impegnato esclusivamente nello studio, mentre il 14% studia e lavora. Nove laureati triennali su cento non lavorano e non studiano e si dichiarano quindi alla ricerca di lavoro. Il lavoro stabile (contratti a tempo indeterminato e lavoro autonomo) coinvolge, a un anno dalla laurea, 30 ’dottori’ su cento, meno, quindi, della media nazionale che è del 36%. Per contro è precario il 69%, a fronte di una media nazionale del 64%.
Per quanto riguarda invece i laureati specialistici a un anno dal titolo, risulta occupato più di un laureato su due: 57,5 % rispetto alla media nazionale del 56%. Ma c’e’ anche quasi un quinto dei laureati specialistici (17%) che continua la formazione (a livello nazionale è il 14%). Chi cerca lavoro è quindi il 25,5% dei laureati specialistici, contro il 30% a livello nazionale. Il lavoro è stabile per un quarto dei laureati rispetto alla media nazionale del 33%.
(Fonte: modena2000.it 09-03-2012)

 
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