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29 Marzo
RECLUTAMENTO. VINCOLI NORMATIVI PDF Stampa E-mail

I vincoli normativi sono raggruppati in due grandi categorie: vincoli sulla spesa e vincoli sulla tipologia dei reclutati.
I vincoli sulla spesa sono dettati dal d.lgs. 437 e sono articolati a seconda della situazione finanziaria degli Atenei. Le categorie più popolate saranno molto probabilmente quella degli Atenei che avranno la possibilità di investire nel reclutamento fino al 25% del turnover (largamente maggioritaria almeno nel primo triennio) e quella degli Atenei che potranno investire fino al 50%.Il 25% del turnover potrebbe corrispondere a circa 500 P.O. (punti organico) complessivamente spendibili per ciascun anno. Poiché il costo del personale al momento del reclutamento è all’incirca del 30% inferiore al costo medio, è plausibile stimare che a un risparmio annuo da turnover superiore al 5% della spesa complessiva per personale docente corrisponderà una spesa effettiva per reclutamento inferiore all’1% della spesa complessiva, per cui, fin quando permarrà il blocco degli scatti stipendiali (che corrisponderebbero a un aumento annuo del 2% della spesa complessiva), ossia per tutto il primo triennio, si avrà nello stesso periodo una riduzione importante (superiore al 10%) della spesa per personale docente. Di conseguenza nel secondo triennio, se non diminuiranno i finanziamenti complessivi al sistema universitario, un grande numero di Atenei potrebbe passare alla categoria in cui la spesa per reclutamento è autorizzata fino al 50% del turnover (pari a circa 1000 P.O. annui a livello di sistema)
Il secondo gruppo di vincoli riguarda la distribuzione tra le fasce e la provenienza. In primo luogo il rapporto tra numero degli ordinari e totale dei professori non dovrebbe superare il 40%, obiettivo, come vedremo, facilmente raggiungibile a livello di sistema nell’arco di un triennio, ma che potrebbe risultare anche molto problematico nella situazione particolare di alcuni atenei per i quali tale rapporto è oggi superiore al 50%. Il secondo vincolo riguarda il numero dei ricercatori di tipo b), che non dovrà risultare inferiore al numero dei professori ordinari reclutati nello stesso periodo. Il terzo vincolo limita al 50% del totale dei reclutamenti nella fascia degli associati il numero dei ricercatori che potranno essere reclutati mediante chiamata diretta. Il quarto vincolo riguarda la percentuale di reclutamento da effettuarsi esternamente all’Ateneo, che non dovrà risultare inferiore al 20% del reclutamento (numerico) totale.
(Fonte: P. Rossi, roars.it 23-03-2012)

 

 
RECLUTAMENTO. EFFETTI DEL PIANO STRAORDINARIO PER IL RECLUTAMENTO DI PROFESSORI ASSOCIATI PDF Stampa E-mail

Il piano straordinario di reclutamento ha validità triennale e, prescindendo dai tecnicismi relativi alla distribuzione temporale delle risorse, corrisponde in sostanza alla disponibilità di 80 milioni di euro annui per tre anni da destinarsi al reclutamento di associati. La cifra corrisponde a poco più di 600 P.O. (punti organico) annui. Tenuto conto del fatto che il 20% dei posti deve essere destinato a esterni (costo 0,7  P.O.) e l’80% a interni (costo 0,2 P.O.) il costo medio di ogni promozione è di 0,3 P.O., per cui le risorse disponibili corrispondono a circa 2.000 reclutamenti annui nella fascia degli associati (di cui almeno 400 esterni all’Ateneo reclutante).
Il piano straordinario inciderà significativamente, ma in misura ancora non decisiva, sull’ampiezza numerica della fascia dei ricercatori a tempo indeterminato.  Poiché il numero attuale dei ricercatori (inclusi gli ultimi concorsi ancora in corso) è di circa 25.000, l’effetto cumulativo di pensionamenti e promozioni porterà tale numero nell’arco di un triennio a circa 17.500, una quantità tale da esercitare un condizionamento ancora importante, nel secondo triennio, sulle reali prospettive di reclutamento, nella fascia degli associati, per i ricercatori a tempo determinato di tipo b) reclutati nel primo triennio, il cui numero dovrà quindi necessariamente contenuto per evitare effetti “collo di bottiglia” di cui i ricercatori a tempo determinato sarebbero inevitabilmente le prime vittime, tenuto conto anche del fatto che solo il 50% dei reclutamenti potrà avvenire per chiamata diretta, e per gli altri sarà inevitabile la competizione tra vecchi e nuovi ricercatori.
(Fonte: P. Rossi, roars.it 23-03-2012)

 
RECLUTAMENTO. PROSPETTIVE PER IL TRIENNIO ACCADEMICO 2012-2015 PDF Stampa E-mail

I dati esposti nelle due note precedenti rendono possibile disegnare uno scenario abbastanza realistico per i reclutamenti del prossimo triennio accademico 2012-2015.
I P.O. (circa 500) dovranno essere utilizzati, per i vincoli normativi, per “coppie” ordinario – ricercatore tipo b), al costo di 0,3+0,5 = 0,8 P.O. per “coppia”. Tenuto anche conto dei vicoli sulla chiamata di esterni, si può ipotizzare che saranno reclutati ogni anno, per il triennio 2012-2015, circa 500 professori ordinari e poco più di altrettanti ricercatori di tipo b (un numero che pare abbastanza compatibile con le prospettive di reclutamento degli stessi come associati nel triennio successivo 2015-2018). Nel frattempo, come si è detto, (v. nota precedente) circa 2.000 tra gli attuali ricercatori a tempo indeterminato dovrebbero passare alla fascia degli associati ogni anno. Al termine del prossimo triennio lo scenario della docenza universitaria potrebbe essere quindi il seguente: Professori ordinari circa 13.500. Professori associati circa 19.500. Ricercatori T.I. circa 17.500. Ricercatori T.D.b circa 1.500. Il numero totale dei professori (33.000) sarebbe ancora inferiore a quello ipotizzato a regime sulla base del modello sopra discusso, mentre il rapporto ordinari/totale professori sarebbe già molto prossimo al 40%.
(Fonte: P. Rossi, roars.it 23-03-2012)

 
RECLUTAMENTO. RICERCATORI NON ASSUNTI PDF Stampa E-mail

Sono i cosiddetti "Ricercatori fantasma" giovani che a Bari, L'Aquila, Siena, Urbino, Udine hanno vinto il concorso per ricercatore a tempo indeterminato. Da diversi mesi attendono però l'entrata in servizio ma gli Atenei sono impossibilitati a procedere alla loro assunzione a causa del superamento del limite del 90% nel rapporto tra assegni fissi (AF) e fondo di finanziamento ordinario (FFO). Questo accade nonostante i concorsi siano stati banditi quando gli atenei erano ancora "virtuosi", a valere su risorse finanziarie disponibili in bilancio.
Un gruppo di 19 "Ricercatori fantasma" dell'Universita' degli studi di Bari ha scritto una lettera aperta al ministro dell'Istruzione Profumo perché sblocchi la situazione consentendo in qualche modo a questi Atenei di procedere all'assunzione dei vincitori del concorso. ''Quello che le chiediamo – scrivono i ricercatori nella lettera al ministro – è di restituirci il diritto di poter scegliere della nostra vita dandoci delle risposte chiare e realistiche. Ci rivolgiamo a Lei perché in quest'ultimo anno nessuno è riuscito a darci risposte chiare su quello che realisticamente ci aspetta dopo la legge 1 del 2009''. In totale i ricercatori fantasma nei vari atenei dovrebbero essere circa 80 di cui 30 a Bari, 30 a Trieste, 11 all'Aquila, 1 a Urbino, 2 a Siena, 3 nel Piemonte orientale. I c.d. ricercatori fantasma si chiedono inoltre: ''L'aver vinto un concorso rappresenta ancora un diritto legalmente riconosciuto in questo Paese? E' ontologicamente corretto classificare come virtuoso o non virtuoso un Ateneo solo sulla base di parametri economici? Bloccare l'assunzione di un numero comunque esiguo di ricercatori, per i quali esisteva la copertura finanziaria al momento dell'emissione dei bandi, serve davvero a risollevare i conti dell'Ateneo? E' legittimo e costituzionale bloccare la nostra assunzione senza alcun vincolo temporale”.
(Fonte: www.blitzquotidiano.it 19-03-2012)

 
EVOLUZIONE DEL DOTTORATO DI RICERCA IN ITALIA PDF Stampa E-mail

Il dottorato di ricerca in Italia è istituito tardivamente e dopo lunga attesa nel 1982 con il DPR 382 e si connota per essere un percorso di preparazione alla ricerca con una spendibilità del titolo limitata, di fatto, al solo ambito della ricerca scientifica e in particolare a quella accademica. Il profilo del dottore di ricerca, dunque, all’inizio è abbastanza univoco e interamente proiettato all’interno del mondo accademico.
La prima trasformazione del dottorato avviene 18 anni dopo la sua istituzione con la legge del 3 luglio 1998 n. 210, firmata da Berlinguer, e col decreto attuativo n. 162, pubblicato il 13 luglio 1999. Con questo passaggio legislativo il dottorato cambia pelle. Viene inquadrato, all’interno del più ampio Processo di Bologna di trasformazione della didattica universitaria, come terzo livello di formazione post-laurea. La finalità del dottorato diviene adesso l’acquisizione di competenze necessarie a “saper fare” ricerca e sparisce invece la concezione del dottorato come capacità di sviluppare ricerca originale che aveva caratterizzato la sua istituzione nel 1980. Inoltre i corsi di dottorato sono adesso istituiti anche in convenzione rilasciato con soggetti pubblici e privati in possesso di requisiti di elevata qualificazione culturale e scientifica. Il dottorato diviene dunque un terzo ciclo di studi non più pensato come semplice tirocinio accademico, ma come titolo spendibile sul mercato. E difatti fra i requisiti necessari per l’attivazione dei dottorati, viene anche richiesta la collaborazione con soggetti pubblici o privati, italiani o stranieri, che consenta ai dottorandi lo svolgimento di esperienze in un contesto di attività lavorative.
Il tema del dottorato nell’ultima legge di riforma dell’università è affrontato nell’art.19 introducendo delle modifiche alla già citata legge 210 del 1999, e, in particolare, al comma 2 in cui è disciplinata l’istituzione dei corsi di dottorato. Con la nuova legge i corsi di dottorato sono assoggettati ad una nuova procedura di accreditamento da parte del Ministero, basata su criteri stabiliti dall’ANVUR. La disciplina dell’accreditamento è contenuta in un decreto ministeriale non ancora emanato. Così come non sono ancora noti i criteri e i parametri in base ai quali l’ANVUR farà la valutazione dei corsi ai fini dell’accreditamento.
Tuttavia nel mese di novembre il Ministero ha reso nota una prima versione di decreto sulla quale il CUN e il CNSU hanno espresso il parere di competenza. Nel gennaio scorso il Consiglio di Stato ha emesso il proprio parere sul decreto, in cui si suggerisce un ripensamento del testo per renderlo maggiormente conforme al testo della legge 240. Il Consiglio di Stato ha dunque sostanzialmente bocciato il dettato del decreto suggerendo la riscrittura di intere sue parti e in particolare dell’art. 2. Da questi primi documenti è possibile tracciare una prima e preliminare analisi delle trasformazioni che subirà il dottorato di ricerca in Italia.
(Fonte: G. Caputo, menodizero.eu 15-03-2012)

 
IL NUOVO DOTTORATO DI RICERCA PDF Stampa E-mail

Lo schema del nuovo decreto (versione 16-09-11) stabilisce che per attivare un corso di dottorato sono necessari 15 professori (ordinari e associati). Tali disposizioni combinate insieme con quelle sulla disponibilità di finanziamento da parte degli atenei determineranno una stretta fortissima sul numero di corsi di dottorato che potranno essere attivati dagli atenei italiani. Considerando che attualmente sono in servizio circa 32000 fra professori associati e ordinari, nel caso puramente ideale in cui si potesse ottimizzare la distribuzione dei docenti in gruppi di 15 per massimizzare il numero di corsi, si avrebbero circa 2100 corsi attivabili. Inoltre, poiché nel corso dei prossimi anni si stima una riduzione del numero di associati e ordinari, il numero di corsi idealmente attivabili diminuirà ulteriormente.
In realtà i corsi saranno molti meno. La distribuzione non “ideale” dei docenti fra le discipline, l’inattività scientifica di una parte dei docenti, il vincolo della disponibilità di almeno 6 borse per corso, più gli altri vincoli legati all’accreditamento porteranno, già quest’anno, all’istituzione di poco meno di 1000 corsi. In un anno si passerebbe dunque dagli attuali 1886 (se poi si considera la suddivisione in curricula di alcuni corsi, il numero odierno sale a circa 3000, dati 2009/2010 CNSVU) a poco meno di 1000 corsi di dottorato che potrebbero poi diminuire ulteriormente nel tempo. Si prospetta in breve una contrazione del 50% dell’offerta di corsi dottorali, che oltretutto non sarà uniforme fra le aree scientifiche e fra gli atenei: in certe realtà e in certe discipline non sarà possibile attivare corsi, in altre si avrà una concentrazione maggiore. Le nuove norme sul dottorato porteranno dunque a una contrazione dell’offerta formativa e a una concentrazione nelle aree scientifiche e negli atenei più attrezzati rispetto ai criteri ministeriali.
Anche attraverso il nuovo dottorato si rafforzerebbe quindi una tendenza già in atto, attraverso la quale si vuole ridisegnare il sistema universitario spaccandolo in teaching and research universities. Al riguardo basti pensare che già oggi il 70% dei corsi di dottorato è localizzato in atenei del centro-nord i quali, a loro volta, attraggono il 73% del numero di studenti iscritti. Per quanto riguarda le discipline, il 63% dei corsi è offerto dalle scienze di base, scienze della vita e ingegneria. Il restante 37% dalle scienze umane e scienze economico-giuridico-sociali.
Alcune considerazioni possono indurre a ritenere che a fronte della contrazione dell’offerta di corsi di dottorato e alla loro ridistribuzione territoriale, si avrà anche un minore numero di iscritti.
In tal senso interessante e dirimente può essere la lettura dei dati forniti dal CNVSU nell’XI rapporto. Come mostrato nei grafici riportati in figura 1, al trend di diminuzione del numero dei corsi che, con alcune oscillazioni, si è registrato negli ultimi sette anni monitorati, si è accompagnata anche una diminuzione del numero di studenti che decidono di iscriversi al dottorato.

Figura 1. Andamento del numero di corsi di dottorato e del numero di nuovi iscritti
al primo anno nel settennio 2003/2004-2009/2010. (Fonte: XI rapporto CNSVU).

La nuova normativa è centrata su un programma di riduzione del numero dei corsi e di conseguenza dei dottori di ricerca. A ciò si potrebbe accompagnare anche una riduzione dell’investimento in borse di studio. Si tratta di una politica di contenimento dei costi incomprensibile per un settore della spesa pubblica quantitativamente marginale (il finanziamento del MIUR per le borse di dottorato è di circa 135 milioni di euro l’anno), ma strategico per la formazione della classe dirigente del paese. Per centrare gli obiettivi europei, ribaditi in più occasioni dai ministri dell’istruzione, andrebbe semmai sviluppata una politica di allargamento del numero di laureati e dei dottori di ricerca e d’incremento del finanziamento delle borse di studio.
(Fonte: G. Caputo, menodizero.eu 15-03-2012)

 

 

 
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