Home 2012 12 Aprile VALUTAZIONE DELLA RICERCA. DA DOVE VIENE LA CENTRALITÀ DELLA VALUTAZIONE
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. DA DOVE VIENE LA CENTRALITÀ DELLA VALUTAZIONE PDF Stampa E-mail
Sono da poco usciti, per le varie aree in cui è stata "spaccata" la ricerca, i Criteri cui si atterranno i Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV) del VQR. Ovunque si vuole ridurre al minimo la discrezionalità dei valutatori. Nelle discipline economico-statistiche si privilegiano criteri bibliometrici, con cui si pretende di misurare la qualità e l'impatto della ricerca con tecniche matematico-statistiche. Al primo posto ci sono gli ordinamenti delle riviste secondo graduatorie per classi stabiliti da sottogruppi del GEV. Un ruolo parziale ha la peer review (il giudizio dei pari mediante revisori anonimi) effettuata in sede dello stesso VQR. Si promette una considerazione di volumi e capitoli secondo rilevanza, originalità, internazionalizzazione, diffusione, prestigio accademico dell'editore. Nelle discipline umanistiche e giuridiche i libri hanno un ruolo più centrale, e vengono valutati in base alla casa editrice. Burgio e Marella (“Università, la valutazione sbagliata”, A. Burgio e M. R. Marella, Il Manifesto 21-03-2012) insistono sulle conseguenze a danno della piccola e media editoria. Hanno molte ragioni. Pensiamo sia però sbagliato tacere che qui c'è una distorsione grave. L'editoria accademica italiana è sovvenzionata: chi pubblica deve pagare l'obolo di destinare i propri fondi di ricerca alla pubblicazione del proprio libro. Vale per i piccoli editori, ma non di rado anche per i medi e grandi. Il mercato è drogato: chi ha più fondi (dunque, chi ha più potere dentro le varie sedi universitarie) è avvantaggiato. Pensare di risolvere questo problema stilando una graduatoria delle case editrici è illusorio, esattamente per le ragioni addotte da Burgio e Marella: la scarsa trasparenza, la spuria gerarchia tra ricercatori e case editrici, l'impoverimento del panorama culturale, la colonizzazione del privato. La medicina aggrava la malattia, non la cura. Le discipline economiche sono paradigmatiche per quel che riguarda il ruolo delle riviste nel VQR. La valutazione indiretta tramite indici bibliometrici richiede grande cautela, perché lo strumento è fallato all'origine, e dovrebbe svolgere un ruolo secondario. Gli ordinamenti qualitativi delle riviste sono costruiti sulla base dell'idea che vadano valorizzate quelle che garantiscono una "valutazione diretta" (l'effettiva lettura) per il tramite della peer review. Ciò presuppone quanto si fa innocentemente finta di non sapere. Che nelle scienze sociali e umanistiche (ma nelle scienze "dure" è davvero poi tanto diverso?) non esista una scissione radicale tra "stili di ragionamento scientifico", o se preferite "paradigmi", in conflitto tra di loro e in qualche misura incommensurabili. La valutazione, pretendendo che quel conflitto e quella incommensurabilità non esistano, privilegerà i vari mainstream. Inoltre, la peer review penalizza per costituzione ogni pensiero originale e innovativo all'interno delle diverse scuole. Non vi è sostituto alla responsabilità di un giudizio personale (non anonimo) e motivato (dunque disteso). Tutto il contrario del VQR, dove i giudizi sono anonimi, vincolati a un numero limitato di parole. Il nodo di fondo è semplice. Va garantita la pluralità, non il pluralismo. Il pluralismo è l'atteggiamento mendicante delle eterodossie che supplicano di non essere cancellate. La pluralità impone il riconoscimento di visioni, paradigmi, stili in radicale lotta per l'egemonia. Un mondo dove non si può dare per principio "consenso unanime": dove anzi il dissenso è un valore e le minoranze una risorsa. La conseguenza è doppia. Nella valutazione, non è possibile costruire alcun meccanismo che non discenda da un progetto culturale.
(Fonte: R. Bellofiore e G. Vertova, Il Manifesto 22-03-2012)