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12 Giugno
GRADUATORIA DEGLI ATENEI DI VIA-ACADEMY BASATA SU TOP ITALIAN SCIENTISTS PDF Stampa E-mail
L’Università Magna Graecia di Catanzaro è il primo tra gli Atenei Meridionali nella graduatoria, pubblicata dal Via-Academy, che classifica le Università italiane sulla base del numero di ricercatori con H-Index superiore a 30 (Top Italian Scientists). Tale valutazione, basata appunto sul H-Index, un parametro che tiene conto del numero di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali e del numero di citazioni sulle stesse, premia l’Università di Catanzaro, che risulta prima nel Mezzogiorno e seconda in Italia immediatamente a ridosso dell'Università di Ferrara. Nell’Università di Catanzaro i “Top Scientists” individuati sono 14 su 233 docenti totali (6,01%) L’Università Magna Graecia ha ottenuto un risultato davvero straordinario: il rapporto raggiunto dall’alta densità di “TIS” presenti rispetto al numero totale di docenti (pari al 6,01%) è, infatti, il doppio del valore medio nazionale. L’H-Index” si sta affermando nella Comunità Scientifica internazionale come un utile parametro di valutazione quantitativa della bontà della produzione scientifica di singoli ricercatori e di Istituzioni scientifiche. Per consultare la speciale classifica è possibile collegarsi al sito internet del Via-cademy a questo link .
(Fonte: uninews24.it 01-06-2012)
 
LA DIDATTICA NEI RANKING PDF Stampa E-mail

A oggi non esistono metodi efficaci per misurare la capacità dei professori di sfornare studenti competenti. Non è una lotta di retroguardia contro la meritocrazia. È un dato di fatto. Sono gli stessi parametri usati dal THE (Times Higher Education) nel World University Rankings a dimostrarlo. Il 15% della valutazione degli atenei – la metà del giudizio sulla didattica – dipende dall'Academic Reputation Survey. In pratica, un grande sondaggio di opinione tra docenti realizzato dalla Thompson/Reuters. Il resto dei parametri c'entrano molto con i soldi e poco con lo studio. A determinare il punteggio finale concorre (per il 2,25%) il rapporto tra professori e budget dell'ateneo, che dovrebbe dare un'idea del denaro a disposizione per infrastrutture e servizi amministrativi. Poi, ci sono due indicatori che di fatto misurano la quantità di dottorandi. Cose che si possono ottenere in un modo solo: pagando. E comunque hanno un impatto sulla didattica molto indiretto. L'ipotesi di chi stila la classifica è che in un ambiente confortevole, con tanti giovani dall'intelletto brillante, gli studenti siano più stimolati. Ha senso, ma ci si aspetterebbero elementi di giudizio più concreti. Meno fumosa è la scelta di misurare il rapporto tra il numero di professori e quello degli studenti. Anche in questo caso, guadagnare punti è una questione di soldi. E poi, non è un segreto che il sistema scolastico italiano sia basato su una scarsa frequenza alle lezioni ed esami preparati a casa o in biblioteca. Il numero di docenti, a queste condizioni, è meno importante che in altri Paesi.
Non c'è nulla nel Times Higher Education Ranking che possa aiutare a capire se sia meglio il modello anglosassone - che punta sulla partecipazione, su laboratori, progetti, test a risposta multipla (cioè a crocette), ed esami scritti spesso abbastanza brevi -, oppure quello italiano, che per molte facoltà ruota ancora intorno a lunghi esami orali e migliaia di pagine da capire e memorizzare. Un sistema forse vecchio. Ma se gli atenei stranieri sono invasi dai nostri cervelli in fuga, qualcosa di buono deve averlo. Il THE, purtroppo, non aiuta a sciogliere il dubbio.
(Fonte: P. Frediani, linkiesta.it 08-06-2012)

 
UN CLASSEMENT MONDIAL DES «JEUNES» UNIVERSITES PDF Stampa E-mail
Classer les universités âgées de moins de 50 ans: à première vue, l'idée paraîtra saugrenue. C'est pourtant l'expérience que tente le QS, un organisme britannique spécialisé dans les études sur l'enseignement supérieur. A bien y réfléchir, la démarche permet pourtant de repérer ces «nouveaux lieux» de la connaissance dans le monde - ceux où l'on investit massivement sur l'enseignement supérieur et la recherche. Et c'est clairement l'Asie qui domine, avec six universités dans les dix premières, Hong Kong raflant même les deux premières places. La Chine a, par exemple, doublé son budget de recherche scientifique entre 2009 et 2011, alors que l'Europe, engluée dans la crise, se serre la ceinture. «Les nouvelles institutions à dominante scientifique ont été créées pour doper la croissance dans des économies en plein essor telles que Hong Kong, la Corée et Singapour», note Ben Sowter, directeur de QS Intelligence Unit. En Europe, l'Allemagne et l'Espagne ont chacune trois jeunes universités parmi les cinquante, l’Italie deux (Trento et Milano-Bicocca). Dauphine est l'unique représentante française du palmarès.
(Fonte: Les Echos 05-06-2012)
 
RANKING DELLE UNIVERSITÀ E PRODUTTIVITÀ SCIENTIFICA DELLE NAZIONI PDF Stampa E-mail

Le classifiche internazionali degli atenei, per quanto si prestino molto bene a diversi usi retorici, non hanno validità scientifica e, in particolar modo, sono inadatte a misurare la produttività scientifica delle nazioni. Come ha spiegato David King:  «The Shanghai Institute of Education has recently published a list of the top 500 world universities. The order is based on the number of Nobel laureates from 1911 to 2002, highly cited researchers, articles published in Science and Nature, the number of papers published and an average of these four criteria compared with the number of full-time faculty members in each institution. I believe none of these criteria are as reliable as citations.” (D. A. King, “The scientific impact of nations – What different countries get for their research spending”, Nature, vol. 430|15, July 2004, www.nature.com/nature).
Le classifiche delle università sono dei cocktail in cui diversi ingredienti vengono mescolati in proporzioni empiriche. Al contrario, un’analisi scientifica della produttività scientifica deve basarsi sui dati bibliometrici originali, non contaminati da pesature arbitrarie. Chi fosse interessato a una brillante spiegazione divulgativa dei trabocchetti e delle inconsistenze delle classifiche accademiche, può leggere “The order of things – What college rankings really tell us” di Malcolm Gladwell, famoso editorialista del New Yorker. Chi invece fosse interessato ad aspetti più tecnici può leggere “Higher Education Rankings: Robustness Issues and Critical Assessment – How much confidence can we have in Higher Education Rankings?” di M. Saisana and B. D’Hombres. Si tratta di un documento di un centinaio di pagine che utilizza metodologie statistiche per valutare la robustezza della classifica di Shanghai (Jiao Tong) e di quella del Times Higher Education Supplement (THES). Le risultanze tecniche non sono favorevoli a queste classifiche:
«Robustness analysis of the Jiao Tong and THES ranking carried out by JRC researchers, and of an ad hoc created Jiao Tong-THES hybrid, shows that both measures fail when it comes to assessing Europe’s universities (pag. 3). »
(Fonte: G. De Nicolao, roars 15-05-2012)

 
STIPENDI. SMONTATE LE INESATTEZZE DI ALCUNI QUOTIDIANI PDF Stampa E-mail
Il 26 maggio 2012, il Giornale scrive che i professori universitari italiani «con 13.667 euro mensili lordi al mese sono proprio i più pagati dell’Unione Europea, seguiti dai britannici, che incassano 12.554 euro e dagli olandesi che guadagnano 10.685 euro.». L’articolo su quattro colonne denuncia il primato degli stipendi lordi dei professori universitari Italiani. La “notizia” è basata su un’indagine – “condotta con meticolosità”, si precisa – da parte del quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ). Il Giornale seguiva a ruota ItaliaOggi che il giorno prima aveva pubblicato un articolo dai toni meno gridati, ma altrettanto chiaro nei contenuti. Ma c’è un modo semplice per capire in trenta secondi come stanno veramente le cose: la Banca Dati Economica del MIUR liberamente consultabile a questo link . Per chiarezza, l’autore dell’articolo fonte di questa nota ne riproduce una versione semplificata, che contiene solo le informazioni che interessano (1). Rispetto al sito originale, nella figura che segue si sono solo aggiunte le cifre in rosso e l’ultima riga “Totali professori e ricercatori“.

Che cosa dicono queste tabelle? L’ultima colonna fornisce il valore medio della retribuzione lorda annuale per ciascuna categoria. Concentriamoci su alcuni casi:

■90.970 €: Professori Ordinari a tempo pieno

■62.980 €: Professori Associati confermati a tempo pieno

■75.920 €: Totali Professori

■41.200 €: Totali Ricercatori

■60.730 €: Totali Professori e ricercatori

Questi sono gli stipendi lordi effettivamente erogati dal ministero. Troppo alti rispetto alle retribuzioni di altre categorie in Italia? Troppo bassi rispetto alle retribuzioni universitarie di altre nazioni? In questa sede, ci limitiamo a notare la distanza abissale tra questi numeri (la realtà) e il dato iperbolico pubblicato da Il Giornale: 164.004 € annui per un professore ordinario.
A titolo informativo stimiamo anche i corrispondenti valori netti mensili (13 mensilità, calcolo tramite irpef.info per Regione Lombardia, al netto dei contributi sociali):

■4.021 €: Professori Ordinari a tempo pieno

■2.920 €: Professori Associati conf. a tempo pieno

■3.434 €: Totali Professori

■2.059 €: Totali Ricercatori

■2.830 €: Totali Professori e Ricercatori

È bene ricordare che, se si volessero effettuare delle comparazioni con altre professioni o con gli universitari di altre nazioni, bisognerebbe tener conto che l’età media degli universitari italiani è particolarmente elevata (Fonte: CNVSU – Undicesimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, p. 153):

■59,2 anni: Professori Ordinari

■53,2 anni: Professori Associati

■45,5 anni: Ricercatori

■51,6 anni: Professori e Ricercatori.

(1) Rispetto alla tabella originale, sono state omesse le indennità accessorie (arretrati e indennità accessorie ospedaliere).
Per comprendere la genesi della notizia inesatta si veda a questo link l’articolo integrale fonte di questa nota.
(Fonte; G. De Nicolao, roars 29-05-2012)

 

 
ALL’ORIGINE DELLA MANCATA ISTITUZIONE DI UN SISTEMA UNIVERSITARIO “DUALISTA” PDF Stampa E-mail

Selezionare un numero più o meno ristretto di università “di serie A” dove sarebbe incentivata, e ben finanziata, la ricerca scientifica (“research universities”) lasciando che le altre università si dedichino prevalentemente all’insegnamento (“teaching universities”) è da tempo l’ipotesi di un sistema universitario “dualista” che ha molti oppositori.  La scelta “dualista” è stata adottata, a suo tempo da molti paesi con i quali ci confrontiamo: in particolare, in forme diverse, dalla Gran Bretagna e dalla Francia, ma anche da molti stati americani ed in particolare dalla California che possiede un solido ed esteso sistema universitario statale. Anche in Italia, negli anni sessanta, alla vigilia dell’espansione del sistema universitario, questa scelta trovò posto nel disegno di legge di riforma del sistema universitario presentato dal Governo, ma destinato a naufragare sugli scogli della contestazione studentesca del 1968 (il disegno di legge prese il nome del suo proponente, il Ministro Luigi Gui, o, talvolta dal numero, 2314, che gli fu assegnato alla Camera). Ricordiamo che il DDL 2314 conteneva le proposte di riforma suggerite da una Commissione di indagine sullo stato della pubblica istruzione in Italia istituita per legge nel 1962. Questa commissione nota come “Commissione Ermini” dal nome del suo presidente il senatore Giuseppe Ermini, riferì al Parlamento nel 1963 alla vigilia dello scioglimento delle Camere. La Commissione proponeva (nel 1963!) un sistema del tipo 3+2 o, più precisamente 2+2+3, con tre diversi titoli accademici: il diploma universitario, la laurea e il dottorato di ricerca. Proponeva anche che accanto alle vere e proprie università fossero previsti i cosiddetti “istituti aggregati” che avrebbero rilasciato i diplomi universitari ma non le lauree e tanto meno il dottorato. Si proponeva quindi un sistema analogo a quello della California dove le varie sedi della University of California rilasciano il “Bachelor’s degree” il “Master’s degree” ed il Ph.D. mentre le “State Universities” possono rilasciare solo il “Bachelor’s degree” e solo in qualche caso il “Master’s degree”.
La proposta di istituire gli “Istituti aggregati” fu la prima a cadere tra le proposte del Disegno di Legge Gui. Le motivazioni per il rigetto di queste proposte furono certamente ideologiche, ma valsero anche gli interessi corporativi del personale docente che non occupava posizioni “apicali”.  Infatti, se la proposta fosse stata accolta allora, la prevista espansione del sistema di istruzione terziaria sarebbe avvenuta, in gran parte, attraverso gli “Istituti aggregati”, e solo in queste istituzioni avrebbero potuto far carriera molti degli assistenti e professori incaricati di allora, i quali invece riuscirono a far carriera in un sistema indifferenziato, dove ogni università si può autodefinire “di serie A”.  Assieme alla diversificazione tra le sedi universitarie, fu rigettata, anche l’ipotesi di differenziare i titoli accademici. Questa ipotesi fu, infatti, bollata come un tentativo di consolidare un ordinamento gerarchico della società ed impedire il ricambio sociale. Si dovette attendere il 1980 per l’istituzione del dottorato di ricerca, il 1992 per l’istituzione del diploma universitario, ed infine il 1998, per arrivare con il 3+2 ad un assetto simile a quello prospettato dalla Commissione Ermini.
(Fonte: A. Figà Talamanca, roars 29-05-2012)

 
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