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12 Giugno
I POVERI PAGANO L'UNIVERSITÀ AI RICCHI PDF Stampa E-mail

L'università, com’è strutturata oggi, è un regalo dei poveri ai ricchi e se la scuola è per tutti, l'università è solo per i capaci e i più meritevoli. Su questo principio si basa una proposta concreta, innovativa, che farà sicuramente discutere, soprattutto per alcuni concetti cardine su cui verte e che sono oggi considerati veri e propri "tabù". Ad esempio, tasse universitarie più alte e maggior autonomia degli atenei. Quella spiegata oggi, nell'incontro "Facoltà di scelta", tenutosi a Palazzo Calepini, nell'ambito del Festival dell'Economia, dal professor Andrea Ichino dell'Università di Bologna, è la sua proposta concreta contro quello che egli ritiene il sistema iniquo dell'università italiana, un sistema di tassazione regressivo, ovvero sono i ricchi che pagano di meno.
Gli obiettivi della proposta di Ichino sono incardinati su un corretto uso delle risorse all'interno dell'università: reperire nuove risorse per il sistema universitario italiano senza aggravare i conti pubblici, dare gradualmente agli atenei l'autonomia gestionale e organizzativa per far un buon uso delle nuove risorse, aumentare la capacità di scelta degli studenti e rendere equo e sostenibile il sistema di finanziamento degli studi universitari. "Sostanzialmente", spiega il professor Ichino, "bisogna porre fine all'iniquità per cui oggi i poveri pagano l'università ai ricchi, facendo pagare chi se lo può permettere e aiutando chi è meritevole ma senza sostegno non riuscirebbe a frequentare l'università. La proposta è interessante soprattutto per gli strumenti che intende mettere in campo: prestiti condizionati al reddito (Incombe Contingent loans), finanziamenti che consentono di affrontare l'università senza l'ansia che un debito tradizionale genera; maggiori tasse universitarie per portare più risorse all'università attraverso chi da esse trae benefici e maggior autonomia per gli atenei per usare le risorse portate dagli studenti e costruire un'offerta formativa che giustifichi le scelte degli studenti.
(Fonte: news.giudicarie.com 02-06-2012)

 
PROFESSIONI SANITARIE E UNIVERSITÀ PDF Stampa E-mail

I testi di legge citati escludono la professione medica dalle disposizioni in essi contenute relative alla formazione permanente dei professionisti ed escludono tutte le professioni sanitarie anche dalle nuove disposizioni relative ai tirocini abilitanti, confermando al riguardo alla normativa vigente. Le professioni sanitarie sono state interessate negli ultimi anni da molteplici cambiamenti che configurano un processo di riforma parallelo, che procede autonomamente. Negli anni passati, sull’onda della legge di riforma degli studi superiori, in particolare il dm 270/2004, si è accentuato il processo di professionalizzazione delle occupazioni sanitarie, grazie anche all’inserimento nel corso di studi universitari di un’elevata quota di crediti formativi riservati ad attività’ professionalizzanti (tirocini, etc.). Tutto ciò vale per le lauree sanitarie (infermieristica, fisioterapia, etc.), in cui la laurea è anche professionalizzante con conseguente possibilità’ per il laureato di iscriversi immediatamente agli albi o alle associazioni professionali; ma questo processo sta interessando anche la laurea in medicina, che al momento non è professionalizzante in quanto l’iscrizione all’albo prevede un tirocinio post-laurea e il superamento dell’esame di stato.
Oggi il mondo sanitario è attraversato da progetti di riforma resi necessari soprattutto dal progressivo invecchiamento della popolazione e da costi sanitari diretti ed indiretti sempre più’ elevati. Questi fattori inducono a una valutazione complessiva sulla tenuta del sistema sanità’, anche attraverso la proposizione di nuovi modelli organizzativi, e quindi di diverse o differenziate professionalità. La necessità di creare professionisti spendibili in un mercato del lavoro costantemente in evoluzione comporta però’l’identificazione di quali soggetti debbano garantire la formazione, in particolare quella post-laurea. La recente proposta di accordo Stato-Regioni per rivalutare il rapporto tra la professione medica ed alcune professioni sanitarie (in particolare quelle dell’infermiere), ha aperto un acceso dibattito relativo non solo alla definizione degli specifici ambiti professionali, ma anche alla attribuzione delle responsabilità’ formative. La proposta che un apposito tavolo tecnico sta elaborando ridisegna il rapporto tra medici e infermieri attribuendo a questi ultimi competenze ed atti oggi effettuati dai medici, pur lasciando ai primi la titolarità di queste competenze. La preparazione per queste nuove funzioni avverrebbe attraverso una formazione post-laurea svolta dal SSN, riconoscendo in tal modo una funzione didattica e di ricerca alle aziende sanitarie. La proposta ha suscitato un forte scontento all’interno delle associazioni professionali sanitarie e al momento ha subito una battuta d’arresto.
La normativa sui tirocini e i nuovi progetti di professionalizzazione che circolano in ambiente sanitario chiamano in causa l’università’ ad un duplice livello. L’anticipazione dei tirocini è un’occasione per colmare quelle lacune che sono imputate all’università, alla quale si rimprovera di non preparare adeguatamente al mondo del lavoro. Il tirocinio semestrale abilitante può essere un’opportunità per gli studenti e per gli stessi corsi di laurea per costruire uno scambio tra università e mondo del lavoro che funzioni in entrambe le direzioni.  Alcuni atenei si sono mossi già da qualche tempo in questa direzione. Ad esempio il corso di laurea in Economia e professioni della facoltà di Economia di Bologna è riuscita a costruire un percorso integrato tra laurea specialistica/magistrale e svolgimento del tirocinio post-laurea, facendo coincidere il biennio universitario con due dei tre anni di tirocinio allora previsti per diventare dottori commercialisti; la facoltà di Medicina di Bologna ha dal canto suo stipulato un accordo con l’Ordine dei medici di Bologna per far effettuare agli studenti un tirocinio pre e post- laurea presso gli ambulatori dei medici di famiglia. In entrambi i casi i corsi di laurea hanno svolto un’azione propositiva gestendo l’accordo con gli ordini provinciali e monitorando l’efficacia del tirocinio.
Per le professioni sanitarie la posta in gioco è ancora maggiore perché il rischio che si prefigura è quello di una delega dell’università ad altre agenzie dei compiti formativi che dovrebbero esserle propri. Entrambi i casi possono rappresentare un’opportunità solo se l’università’ sarà’ in grado di far valere le sue competenze, sviluppando sinergie con il mondo delle professioni da un lato e con il SSN dall’altro in modo organizzato e strutturato. Qualora questo non avvenisse, lo spazio della formazione universitaria verrebbe progressivamente a ridursi. L’università’ non può essere responsabile di tutti i livelli della formazione; ciò non toglie che debba essere un interlocutore autorevole e credibile con il mondo del lavoro e delle professioni in quanto garante della qualità formativa nei confronti degli studenti.
(Fonte: D. Festi, M. Malatesta, nelmerito.com 30-05-2012)

 
ALTRATV.TV® PDF Stampa E-mail
Altratv.tv® è il primo osservatorio sulle web tv italiane e sui media locali posizionati in Rete. Fondato a Bologna nel 2004 da Giampaolo Colletti su ispirazione di Carlo Freccero, oggi coinvolge ricercatori italiani ed esteri che analizzano le evoluzioni del citizen journalism e della “cittadinanza attiva digitale”. Attualmente mappa 642 web tv, oltre 30 media universitari e 815 media locali. È una meta-tv: direttamente dall'home page si possono navigare le web tv italiane geolocalizzate. I ricercatori di Altratv.tv curano due ricerche ogni anno: il rapporto Netizen (dedicato agli Internet Citizen, ovvero ai cittadini videomaker creatori di web tv, la ricerca esce ogni fine anno) e il rapporto Watchdog (dedicato ai canali di denuncia “dal basso”, la ricerca esce ogni metà anno).
 
IL PROFESSORE SOSPESO SI PUÒ ESCLUDERE DA INCARICHI DI VERTICE PDF Stampa E-mail
Anche se il docente universitario è sospeso da stipendio e insegnamento per meno di un anno, il rettore può escluderlo dagli incarichi di vertice per 10 anni. La Corte di cassazione, con la sentenza 8404, "boccia" il ricorso di un professore (responsabile di avere falsificato un verbale per attribuirsi una carica) contro due decreti del rettore. Uno riguardava l'allontanamento dall'insegnamento e la sospensione dallo stipendio per sei mesi, l'altro la sanzione accessoria dell'interdizione per 10 anni dalle funzioni direttive e di coordinamento riservate ai professori ordinari. Contro la "doppia punizione" era insorto il docente, contestando il potere del rettore di impedirgli l'accesso a incarichi prestigiosi per un periodo così lungo in funzione di una sospensione di soli sei mesi.
(Fonte: P. Maciocchi, IlSole24Ore 04-06-2012)
 
2013. UN ANNO CRITICO PER I TAGLI AI FINANZIAMENTI E IL CALO DEI DOCENTI PDF Stampa E-mail
Il presidente della Conferenza dei rettori (CRUI) prospetta che il 2013 sarà un anno a rischio per l'università ed esprime tutto il suo apprezzamento per le parole che il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha usato nei giorni scorsi affrontando a più riprese le questioni riguardanti formazione e ricerca. «Pensare di uscire dalla crisi togliendo linfa vitale alle sorgenti dell'innovazione - afferma Mancini - è un controsenso rischioso e inaccettabile». Secondo il presidente dei rettori, le cifre parlano chiaro. «Il 2013 si prospetta per l'ennesima volta come un anno a rischio: se il sistema universitario tra il 2009 e il 2012 ha subito una diminuzione del 7,2% (-523 milioni di euro), il taglio che si prospetta fra quest'anno e il 2013 da solo - fa notare - è quasi pari a quello patito nell'intero quadriennio precedente, -6,2% (-437 milioni di euro). E ciò in un contesto di drammatica diminuzione dei docenti (che ci colloca agli ultimi posti in Europa per rapporto docente-studente) passati in tre anni da 64.000 a 54.000. Nessun comparto della Pubblica Amministrazione ha subito tagli di questo tipo. Dunque ben vengano le parole del presidente: occorre tamponare la falla che si è aperta per il 2013. Come ha sottolineato lo stesso ministro Profumo alla CRUI, è indispensabile non andare oltre i tagli già subiti e guardare a una prospettiva pluriennale, quella che ci permette di stare in Europa. Prima che sia troppo tardi». Ma pare poi che il ministro Profumo voglia mettere mano con vari ritocchi alla riforma Gelmini. Si rischia, fra l'altro, di smontare gli incentivi introdotti da quella legge, ponendo un limite a quanti fondi pubblici un ateneo può perdere se risulta fra i peggiori: l'opposto di ciò che si dovrebbe fare. Finché le università non pagheranno di persona per le scelte non meritocratiche che effettuano, ma saranno sempre e comunque salvate dal contribuente, non c'è ritocco che quadri il cerchio.
(Fonti: Il Giornale di Brescia e il Corsera 06-06-2012)
 
RIFLESSIONI SUL RECLUTAMENTO DEI DOCENTI UNIVERSITARI PDF Stampa E-mail

Negli anni precedenti la massificazione degli studi universitari e il necessario aumento degli organici un po’ ovunque nel mondo occidentale le ammissioni ai ruoli erano il frutto della scelta di un piccolo numero di specialisti, che si conoscevano più o meno tutti personalmente, quindi un sistema di reclutamento valeva l’altro, e si risolveva in una cooptazione per lo più accettata. Però, a differenza di altri modelli (che pure hanno i loro problemi, non crediamo sempre che all’estero sia il paradiso) quello italiano non si è adattato ai profondi mutamenti nel ruolo sociale dell’università avvenuti negli ultimi 40-50 anni. In sostanza, i (poco) diversi sistemi di reclutamento che si sono succeduti nelle varie riforme e riformine dell’ultima trentina d’anni hanno mantenuto intatto un equilibrio che i docenti universitari hanno gelosamente custodito chiudendosi a riccio verso qualunque tentativo di modifica: dal punto di vista funzionale, il sistema dei concorsi garantisce il massimo di discrezionalità ai docenti, con il minimo di responsabilità delle scelte. Da un lato con un concorso a un posto si potrà scegliere chiunque, inventando i criteri giusti ex post; dall’altro, se i propri dipendenti lavorano male il dipartimento non ha alcuna responsabilità nella propria scarsa qualità, visto che non ha direttamente assunto nessuno. La ragione per cui si riesce a mantenere un equilibrio così favorevole verso la corporazione universitaria è la stessa per cui in Italia gli ordini professionali, nati per controllare la qualità dei loro aderenti e quindi per rendere la loro vita lavorativa più difficile, diventano inevitabilmente strumenti di protezione degli iscritti rispetto a chi non lo è e di promozione familiare al loro interno: lo stato italiano, pur costruito nel corso del tempo su un modello accentratore e “interventista” in tutti i campi, è sostanzialmente debole, e non riesce a imporre alle corporazioni e ai gruppi di potere la propria autorità. Peggio, per sopravvivere elemosina il loro consenso divenendo il luogo di espressione della loro volontà e di tutela dei loro interessi.
In conclusione, dal punto di vista strettamente interno agli ordinamenti universitari si deve agire imponendo un nuovo ordinamento per il reclutamento, o minimizzando la discrezionalità dei selezionatori (in una parola, col modello dei “concorsoni” per coorti annuali alla francese), o massimizzando la responsabilità dei dipartimenti, cui sarebbe lasciata più o meno mano libera per le assunzioni ma che poi dovranno rendere conto della loro efficienza al momento di chiedere i soldi per sopravvivere, e chiudere se non saranno sufficientemente affidabili per l’investimento (in breve, con il modello inglese, per restare nell'ambito di un sistema in cui il ruolo dello stato nell'istruzione superiore resta centrale). Entrambi i sistemi, come dicevo, hanno comunque dei difetti. Il primo è molto macchinoso e spesso troppo rigido nei criteri di scelta, perché si propone di individuare nei candidati in forma quasi assoluta un "merito" di cui non esiste alcuna giustificazione teorica. Il secondo è sempre esposto al rischio di nuove derive dirigiste per la tendenza a stabilire per decreto graduatorie e classifiche di qualità che scarichino sul "sistema" le responsabilità delle scelte dei dipartimenti peggiori, oltre che difficile da applicare in un paese dove buona parte del mercato del lavoro intellettuale o amministrativo è iperprotetto e quindi inaccessibile come ripiego a chi fallisce la carriera accademica. Però l’emersione di questi difetti non dovrà essere ragione sufficiente per una restaurazione dell’antico, come quelle cui periodicamente guarda chi non è soddisfatto dell’università di oggi, senza pensare che se oggi le cose vanno male è proprio perché la nostra università è ancora quella di ieri.
(Fonte: A. Mariuzzo, linkiesta.it 20-03-2012)

 
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