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25 Giugno
STUDENTI. CAUSE DEL CALO DELLE IMMATRICOLAZIONI PDF Stampa E-mail
In otto anni le immatricolazioni all'università sono calate del 15%. Le cause sono diverse: il calo demografico, meno studenti adulti, meno passaggi dalla scuola secondaria all'università (nel 2003 si era raggiunta quota 72,6%, nel 2009 era il 63,3%), il minor interesse dei diciannovenni per gli studi universitari, con solo il 29,4% che s'iscrive a un ateneo, complice la crescente difficoltà di molte famiglie a coprire i costi degli studi. Tale scenario non è destinato a cambiare a breve, e da qui al 2020, nonostante il contributo dell'immigrazione, i diciannovenni non aumenteranno. Al netto del ritardo all'immatricolazione l'età di laurea passa da 27 a 25 anni (24 primo livello; 25 specialistica; 26 specialistica a ciclo unico). Inoltre la regolarità è quasi triplicata dal 2004 al 2011: da 15,3 a 39,0 laureati su 100 iscritti (su valori molto confortanti quella dei laureati di secondo livello: 47,2%). In forte crescita la frequenza alle lezioni anche in facoltà tradizionalmente poco seguite (rispetto ai laureati pre-riforma del 2004, sono aumentati del 27% fra i laureati di primo livello del 2010, e più del 30% fra i laureati specialistici).
(Fonte: ItaliaOggi 14-06-2012)
 
LAUREATI E STUDENTI. ANCORA POCHI A STUDIARE ALL’ESTERO PDF Stampa E-mail
Studiare all'estero amplia il bagaglio formativo personale, consente di conoscere altre realtà, e avere di conseguenza più opportunità di lavoro sia nel Paese di origine che altrove. Ma quanti laureati italiani hanno avuto un'esperienza del genere? Pochi, stando ai risultati del rapporto AlmaLaurea: solo il 7% del totale, in maggioranza nel settore linguistico (19,8%) e medico (11,9%). Ma anche le altre professioni, come l'insegnamento (2,7%) o la psicologia (4%), si attestano su percentuali modeste. Poi le percentuali calano fino ad arrivare, con educazione fisica, al 2,1% e alle professioni sanitarie (infermieri, ostetrici, fisioterapisti ecc.) con 1'1,6%. Prima del 2004 le percentuali erano ancora più basse e la maggior parte delle esperienze rientrava nel programma Erasmus, attivo dal 1987, voluto dalla Commissione Ue per incentivare la mobilità degli studenti universitari. La percentuale degli studenti italiani che attualmente partecipa a questi programmi non raggiunge il 7% (6,9). Il Paese di destinazione più gettonato è la Spagna, scelta dal 34% dei laureati, seguita da Francia, Germania e Regno Unito.
(Fonte: ItaliaOggi 14-06-2012)
 
L’ATTRATTIVA DELLE NOSTRE UNIVERSITÀ PDF Stampa E-mail

La tabella elaborata su dati Ocse e presentata giorni fa dalla Fondazione Moressa a un convegno a Ca' Foscari sull'attrattiva dei nostri atenei è sconfortante: in coda a una classifica che vede svettare la Nuova Zelanda (26,5% di iscritti stranieri alle università locali), l'Australia (24,4%), la Svizzera (21,2%), la Gran Bretagna (20,7%), l'Austria (19,4%) e giù giù Canada, Francia, Belgio e tutti gli altri noi siamo davanti solo a Slovacchia, Corea, Polonia e Turchia. E con quell'umiliante percentuale del 3,3 siamo a poco più di un terzo della media Ocse (8,7) e a meno della metà di quella dell'Europa, che sta al 7,7%. Sono 3 milioni e 700 mila, in giro per il mondo, i ragazzi che frequentano l'università in un paese che non è il loro. Di questi, un milione e 200 mila studiano nei paesi dell'Europa. Mezzo milione circa in Gran Bretagna, 64.704 in Italia. Vale a dire che solo uno su 57 dei ragazzi che vanno all'estero a laurearsi sceglie il paese dell'Alma Mater Studiorum di Bologna, la più antica università occidentale, e dell'ateneo di Padova dove insegnarono Galileo Galilei o Nicolò Copernico.
La tabella sui dottorandi dell'ultimo Annuario Scienza e Società non è meno impietosa: la Nuova Zelanda svetta ancora col 49,8% davanti a Regno Unito (47,5%), Svizzera (47,0%), Francia (40,9%) e noi stiamo all'8,2%, meno della metà della media Ue (17,9) e dietro anche Portogallo, Cile, Repubblica Ceca, Finlandia e Slovenia. Umiliante.
Ma non basta. Stando all'indagine della Fondazione Moressa, gli stranieri iscritti alle nostre università (che spendono complessivamente in tasse, libri, vitto e alloggio 711,5 milioni di euro e appartengono a 125 nazionalità) vengono soprattutto da Albania (21,5%), Cina (9,6%) e Romania (9%). Per capirci, sono spessissimo figli di immigrati che non hanno scelto affatto la nostra università: se la sono trovata sotto casa. Altrimenti la nostra percentuale sarebbe ancora più miserabile.
(Fonte: G.A. Stella, Corsera 13-06-2012)

 
FUORICORSO E SALARI PIÙ BASSI PDF Stampa E-mail

Gli anni di ritardo nel laurearsi aumentano la probabilità di essere overeducated e nel contempo determinano salari più bassi. In particolare, l’effetto dell’essersi laureato con oltre tre anni di ritardo raddoppia il rischio medio di svolgere un lavoro che non richieda la laurea e comporta una retribuzione salariale di circa il 17 per cento inferiore a quella di chi ha completato gli studi universitari nei termini previsti. Il ritardo alla laurea è un fenomeno assai comune fra i laureati italiani e persistente nel tempo. L’esistenza di una penalità salariale associata al fuoricorsismo può dunque contribuire alle spiegazioni esistenti dei bassi rendimenti dell’istruzione tipici dell’Italia, arricchendo in particolare quelle dal lato dell’offerta. In altri termini, secondo questa interpretazione, i bassi rendimenti dell’istruzione terziaria sarebbero in parte una conseguenza della sua bassa qualità e dell’inefficienza del sistema d’istruzione nel generare un’offerta di capitale umano – nella quantità e qualità – che sia effettivamente richiesta dal mercato del lavoro. Ciò fa sì che il mercato remuneri meno di quanto potrebbe questo capitale umano.
I risultati dell’indagine degli autori dell’articolo suggeriscono che gli anni persi all’università sono sostanzialmente inefficienti, in quanto non accrescono la dotazione di capitale umano né tantomeno le performance nel mercato del lavoro. La ragione risiede probabilmente nel fatto che quando si ritarda la laurea (e non perché si stia svolgendo in contemporanea un’attività lavorativa), non c’è alcuna garanzia che quegli anni siano stati spesi studiando e approfondendo ulteriormente i concetti relativi alle varie discipline oggetto del corso di studi prescelto, ovvero aumentando il proprio capitale umano. In effetti, la gran parte degli studenti cerca di superare l’esame ripetuto anche quando presenta ancora marcate lacune nella preparazione, semplicemente perché si attende che i professori li promuovano dopo averli riprovati già un certo numero di volte.
Tutto ciò suggerisce che la rimozione o almeno una riduzione significativa dei fuoricorso consentirebbe un miglioramento per tutti, sia all’interno del sistema universitario sia nel mercato del lavoro. Proviamo a suggerire alcune regole che potrebbero ridurre il fenomeno del fuoricorsismo senza alterare la qualità della formazione universitaria: a) stabilire un limite al numero di volte in cui si può sostenere un esame; b) calibrare il programma degli esami in base a oggettive considerazioni in merito alla possibilità dello studente di poterlo preparare nei termini previsti; c) dare la possibilità al docente di assegnare un pass, ovvero un voto inferiore alla sufficienza in caso di bocciature ripetute; d) consentire la bocciatura dell’intero percorso (e quindi impedire di laurearsi) se la media dei voti finale non raggiunge la sufficienza oppure se c’è un numero troppo alto di pass.
(Fonte: C. Aina     e F. Pastore, lavoce.info 19-06-2012)

 
UNITE. PROBLEMI PER IMMATRICOLAZIONI E FRAMMENTAZIONE DELLE SEDI PDF Stampa E-mail

Nell’anno accademico che volge al termine il numero degli iscritti è crollato dagli 8mila del 2006-2007 ai 6489, ultimo dato aggiornato, fornito dal Ministero. L’Università di Teramo, con le sue cinque sedi distaccate, le sue cattedrali nel deserto e i suoi servizi è ultima nella classifica degli Atenei statali. La superano, addirittura (senza offesa, naturalmente, ma solo perché temporalmente più giovani), l’Università del Sannio, quella del Molise e di Foggia. Non va certo meglio sul fronte delle immatricolazioni, ferme ad 880 nuovi iscritti. A voler fare confronti. Camerino: su 7135 abitanti, 6905 sono studenti. Urbino: su poco più di 15mila abitanti, gli iscritti all'università sono 13423.
All’origine del problema, secondo l’Unione degli Universitari, ci sarebbe proprio l’eccesiva frammentazione delle sedi distaccate. Due esempi: ad Atri ci sono solo 72 iscritti, poco più di cento a Giulianova. E a Teramo? La segreteria studenti è lontana dalla facoltà, così come la mensa e la casa dello studente, mai aperta e già vecchia. "Dicevano che i lavori sarebbero stati conclusi entro l'anno accademico 2013-2014” spiega la coordinatrice dell'Udu Teramo, Monia Flammini. “A oggi, però non sono ancora stati appaltati perché, come confermato dai vertici Adsu, la Regione non ha mai dato il mandato per la gara. L’apertura, quindi, continuerà a slittare, ma forse questo è un bene. Rischieremmo, infatti, di avere l'ennesima cattedrale nel deserto".
(Fonte: M. Serra, cityrumors.it 11-06-2012)

 
LA QUOTA "PREMIALE" (MA NON TROPPO) DEL FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO 2012 PDF Stampa E-mail

Da ormai tre anni il MIUR distribuisce il Fondo di finanziamento ordinario in modo particolare: c'è una quota "base", che dipende da parametri come il numero di studenti iscritti e di docenti, e poi c'è una quota "premiale", che varia in base ai risultati conseguiti dall'ateneo. Il Politecnico di Torino ha ricevuto il contributo più consistente se parametrato alle sue dimensioni: 124 milioni in tutto, di cui 26 sotto forma di premio. Significa che quasi il 21 per cento dei finanziamenti che riceve dipende dai propri meriti. La parte «premiale» del Fondo, che inizialmente era del 7%, negli anni è aumentata arrivando, nel 2012, al 13,90% del totale. In tutto dunque, le Università più meritevoli si dividono quest'anno un premio di circa 910 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere a una quota base di Fondo di circa 5 miliardi e 300 milioni, per un totale di 6 miliardi e mezzo circa. Gli oltre 26 milioni di euro assegnati al Politecnico di Torino rappresentano il 20,90% in più dei finanziamenti che le sono stati assegnati dal Fondo nel 2012. E, in termini percentuali, questa cifra lo mette al di sopra anche di Università che hanno ricevuto più soldi in termini assoluti, come La Sapienza di Roma (67 milioni) e l'Università di Bologna (63 milioni): la percentuale sul totale dei soldi assegnati ammonta, nel primo caso, al 13% e al 16,30% nel secondo. Al secondo posto della classifica «premiale» c'è un altro Politecnico, quello di Milano: anche in questo caso, in termini assoluti i soldi sono di più (oltre 165 milioni), che però incide per il 16,75% sull'ammontare del finanziamento totale. L'ateneo veneziano Ca' Foscari è al terzo posto per il terzo anno consecutivo. Nella top-ten, subito sotto il podio, ci sono Bologna (16,3%), Tor Vergata-Roma (15,96%), Ferrara (15,79%), Pavia (15,70%), Verona (15,63%), Udine (15,60%) e Milano (15,60%). In coda a questa classifica dei premiati c'è l'Università di Messina: quasi 14 milioni di euro di premio, il 9,03% del totale dei finanziamenti (154,7 milioni).
E qui interviene una precisazione. A rigor di legge, grazie all’ottima qualità della sua ricerca, al Politecnico di Torino spetterebbero 26 milioni. “Spetterebbero”. Ma un decreto del ministro Profumo l’ha decurtato. Un decreto che, applicando alcune formule matematiche, finisce col premiare le università in coda - come quella di Messina, 49esima (su 58) nella classifica del Sole 24 Ore – penalizzando le migliori. La ragione sta all’articolo 4 del decreto del ministro: «A ciascun ateneo non potrà comunque essere disposta un’assegnazione del FFO superiore a quella dell’anno 2011». Dunque, poiché non può ricevere un’«assegnazione del FFO superiore a quella dell’anno 2011» e siccome nel 2011 aveva ricevuto un FFO di 2,7 milioni inferiore a quello che le spetterebbe di diritto nel 2012, il premio non sarà di 26 milioni, ma di 26 meno 2,7 = 23,3. Vale anche la regola inversa. Le università con ricerca e didattica meno brillanti anziché essere penalizzate - come sarebbe logico - finiscono per essere premiate. L’ateneo di Messina, ad esempio, non ha brillato per qualità di ricerca e didattica. Ma il suo rettore è soddisfatto. Il motivo è anche questa volta racchiuso nell’articolo 4 del decreto di Profumo: «A ciascun ateneo è comunque assicurata un’assegnazione del FFO tale da ricondurre l’entità delle eventuali minori assegnazioni rispetto all’anno 2011 entro un intervallo compreso tra il -3,9% e il -3,5%». Traduzione: nessuna università può ricevere meno del 96,5% di quanto ricevuto nel 2011.
A rigor di legge, per colpa della scarsa qualità della sua ricerca, l’Università di Messina dovrebbe essere penalizzata. Ma siccome riceverebbe così un FFO inferiore alla soglia del 96,5%, il ministro Profumo, applicando il suo decreto, le regala un premio di 700mila euro.
(Fonti: La Stampa e AGI 16-06-2012; Il Secolo XIX 18-06-2012)

 
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