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16 Luglio
RIFORMA UNIVERSITARIA. LO STATO D’ATTUAZIONE DELLA L. 240/10 AL TEMPO DEL GOVERNO MONTI PDF Stampa E-mail

Da metà novembre 2011, lattuazione della legge n. 240 del 2010 è stata presa in carico dal neo Ministro Francesco Profumo. Considerato che lautonomia universitaria ha dato luogo ad un sistema obiettivamente molto complesso e tuttaltro che lineare, a causa delle normative introdotte per successive approssimazioni, modifiche, ed integrazioni, la prova odierna dellattuazione dell’indirizzo politico in materia di alta formazione e ricerca, realizzato dal precedente governo Berlusconi, fa riemergere schemi tradizionali e forse qualche fragilità in più.
Se la “gestazione, l’approvazione e la fase della prima applicazione della legge n. 240 del 2010 sono risultate complesse e molto criticate in particolare per la concreta difficoltà a comporre ad unità il variegato e spesso aspro dibattito tra i molti soggetti sociali ed istituzionali attori della vicenda, la fase attuale di attuazione della legge mi sembra caratterizzata, non solo (e forse non tanto) dal perdurare dei ritardi e delle inadempienze, ma dalla preoccupante mancanza di certezze rispetto ai contenuti ed ai tempi dei provvedimenti ed al persistere di molti dubbi di legittimità, anche costituzionale, evidenziati anche dagli organi di controllo o in fase di consultazione istituzionale. Si pensi, solo per un esempio, ai criteri in base ai quali il docente vedrà valutata la propria passata produzione scientifica, sia ai fini della valutazione sia ai fini delleventuale progressione di carriera, che ad oggi sono suscettibili di continue modifiche o, semplicemente, ignoti. La presente ricognizione intende evidenziale i principali nodi applicativi circa lo status del personale docente, relativi all’attuazione, allapplicazione ed alle modifiche poste in essere (in particolare a seguito del’entrata in vigore della legge 4 aprile 2012, n. 35, che ha convertito il D.L. semplificazioni del 9 febbraio 2012, artt. 31, 49, 54 e 55) o solo annunciate rispetto alla riforma del 2010. Riguardo agli altri temi della riforma, a conclusione si riporta lelenco dei provvedimenti attuativi e dei principali documenti correlati, rinviando a successivi approfondimenti.
(Fonte: Premessa alla monografia di P. Marsocci, Rivista AIC n. 2, 19-06-2012). Link al testo completo.

 
PROPOSTA DI LEGGE DI RIFORMA DELL’ORGANIZZAZIONE UNIVERSITARIA PER VALORIZZARE INSIEME DIDATTICA E RICERCA PDF Stampa E-mail
Una proposta di legge intitolata “Per la valorizzazione della responsabilità educativa e sociale, della capacità e del merito nell’università e nella ricerca”, spedita al Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo, è adesso presentata alle “adesioni”, ma anche alle “critiche” – come precisano gli estensori  – delle componenti coinvolte, in primo luogo docenti, ricercatori e soprattutto studenti, della cui figura viene ribadita la centralità nel sistema universitario. Oltre ad Emanuele Rossi il testo è firmato da Giampaolo Azzoni (Università di Pavia, Collegio “Borromeo”), da Paolo Leonardi (Università di Bologna, Collegio Superiore), da Stefano Semplici (Università di Roma “Tor Vergata”, Collegio “Lamaro Pozzani”). Nell’intervista a uno degli autori si sottolinea “la necessità di una revisione urgente delle procedure di selezione del personale accademico, perché stanno partendo le procedure per formare le commissioni per abilitare i docenti e andare a formare le liste da cui attingere i professori ordinari. Oggi non c’è limite al numero delle abilitazioni, per cui sa come finirà? Si abiliteranno tutti e poi siccome ogni università può chiamare chi vuole, in autonomia, di fatto non cambierà nulla. Secondo noi due cose vanno fatte assolutamente: mettere un tetto al numero di abilitazioni e far tenere ai candidati una lezione pubblica, davanti alla commissione ma anche agli studenti.” E la precarietà senza speranza? “I contratti a tempo determinato dei ricercatori oggi producono questo. Ovvio che non possono esserci garanzie automatiche di scorrimento verso l’alto nella carriera universitaria, però non si può nemmeno lasciare a piedi un ricercatore a 35 anni, magari con una famiglia. Per questo suggeriamo una riserva del 10% nei concorsi a cattedra per le scuole primarie e secondarie.”. Testo integrale della proposta .
(Fonte: S. De Carli, vita.it 22-06-2012)
 
OSSERVAZIONI AL PROGETTO DI RIFORMA DI QUATTRO COLLEGHI PDF Stampa E-mail

Ha avuto risonanza la presentazione di una bozza di disegno di legge elaborata da G. Azzoni, P. Leonardi, E. Rossi e S. Semplici al fine di rivedere e rilanciare il decreto sul merito del ministro Profumo. I quattro colleghi hanno ripreso quasi per intero il testo ministeriale, innestandovi alcune proposte di esponenti del Pd e qualche soluzione originale. In primo luogo il documento propone espliciti passi verso l'abolizione del valore legale del titolo di studio. Perderebbe di conseguenza significato il voto di laurea, e al tempo stesso decadrebbe l'obbligo di possedere un titolo in una classe di laurea specifica quale requisito per la partecipazione a concorsi pubblici; ci si affiderebbe invece all'iscrizione ad un albo professionale o al numero minimo dei crediti formativi universitari conseguiti «nei settori considerati essenziali». Già il ministro Profumo aveva tentato nei mesi scorsi di sondare l'opinione degli italiani su questo tema, attraverso la realizzazione di un'indagine on-line. Nonostante l'uso di un questionario giudicato dagli esperti ideologicamente fazioso, metodologicamente capzioso e con alcuni gravi vizi di forma, dalla rilevazione è emerso con chiarezza che oltre i tre quarti dei partecipanti si sono pronunciati contro l'ipotesi di abolire il valore legale del titolo di studio e il valore legale e uniforme del voto di laurea. Inoltre la bozza di disegno di legge suggerisce di abolire, di fatto, le abilitazioni nazionali, proponendo che per ciascun settore scientifico-disciplinare non vi sia un numero di abilitati maggiore del 15% del totale dei docenti in servizio nella fascia alla quale la procedura si riferisce, inclusi gli studiosi già in possesso di abilitazione e non ancora chiamati.
È del tutto evidente a chi abbia una minima conoscenza dell'andamento dei concorsi universitari che l'abilitazione si trasformerebbe, ipso facto, da controllo di idoneità e di capacità effettiva dei candidati in «valutazione comparativa».
Ancora, il documento attribuisce alle Università la possibilità di prevedere per gli assegnisti di ricerca lo svolgimento di attività didattica integrativa (in aggiunta a quella di ricerca) in misura non inferiore a 30 ore e non superiore a 60 ore per anno.
L'idea è a modo suo geniale, in un contesto nel quale non si assumono più docenti universitari e si costringono i professori di ruolo, tramite il meccanismo delle 100 ore obbligatorie di didattica frontale, a tenere corsi per i quali a volte sono scarsamente competenti. In questo modo non si pagheranno più supplenze e si potrà procrastinare all'infinito il blocco del turnover. Ma se poi non si troverà un professore minimamente competente, come fare per i corsi fondamentali? Semplice, si ricorrerà ai ricercatori a tempo determinato e agli assegnisti obbligandoli per legge a conferire didattica!
(Fonte: S. Brasini, M. Matteuzzi, G. Tassinari, Il Manifesto 02-07-2012)

 
NUOVO ORDINAMENTO FORENSE. CONTRASTI CON LA COSTITUZIONE E CON LA DIRETTIVA 98/5/CE PDF Stampa E-mail

La riforma sta per raggiungere il traguardo: due settimane fa la commissione Giustizia della Camera ha acceso il verde del semaforo, adesso tocca all’Aula, poi il timbro finale del Senato. Il nuovo testo ridisegna la professione d’avvocato, sotto lo sguardo compiaciuto del Consiglio nazionale forense e dei 133 avvocati eletti in Parlamento. Una lobby? No, una corporazione, che rischia suo malgrado di riesumare la Camera dei fasci e delle corporazioni. Non a caso la nuova legge, per aggiornare la vecchia disciplina brevettata dal Regime nel 1933, assegna ai Consigli locali e a quello nazionale una funzione di «rappresentanza istituzionale». L’espressione è copiata per l’appunto dalla dottrina fascista delle corporazioni, e non era mai stata usata prima d’ora nell’ordinamento repubblicano. Perché la Carta del 1947 colloca la dimensione associativa in uno spazio di libertà, rigettando l’idea di rappresentanza necessaria, nonché uno Stato nei panni del tutore rispetto alle formazioni sociali. Succede tuttavia l’opposto, con buona pace della Costituzione. Mentre la crisi economica ci morde alle caviglie, mentre l’unità degli italiani è lacerata da congreghe e camarille armate l’una contro l’altra, avremmo bisogno come l’aria di liberalizzazioni autentiche, energiche, efficaci. Ma per ottenerle è necessario tagliare un po’ le unghie agli ordini professionali, lascito imperituro del fascismo. Che invece con la riforma prossima ventura avranno il loro nuovo campione: il Consiglio nazionale forense.
Quest’ultimo somma, infatti, funzioni normative, consultive, di proposta, giurisdizionali. È legislatore e giudice: il vecchio Montesquieu, padre della separazione dei poteri, finirà per rivoltarsi nella tomba. Vigila sull’esame di Stato, che peraltro non ha mai impedito l’elefantiasi del sistema (l’Italia ha 5 volte gli avvocati della Francia). Bacchetta i reprobi, anche se poi cane non mangia cane: nel 2010, su 230 mila avvocati, i procedimenti disciplinari pervenuti al Consiglio nazionale forense sono stati 334. Impartisce lezioni di diritto, dato che la riforma obbliga i tirocinanti a frequentare corsi gestiti dal Cnf, anziché dalle università. Infine tiene chiusa a chiave la cassaforte del tesoro. Dove la riforma deposita tre nuove perle, per la gioia degli italiani.
Primo: agli avvocati viene riservata l’esclusiva sulle attività di consulenza legale, anche fuori dal processo. Insomma Clinton e Blair possono redigere un parere, Monti no. Un giro di vite sulla libertà di concorrenza, nonostante la segnalazione dell’Antitrust nel settembre 2009, le raccomandazioni del Fondo monetario internazionale, la lettera della Bce inviata nell’agosto 2011. Secondo: limiti agli avvocati stranieri, ancora una volta in contrasto con la direttiva 98/5/Ce, che invece facilita l’esercizio della professione forense negli Stati europei diversi da quello d’origine. Terzo: obbligo di esercizio continuativo della professione. Significa – verosimilmente – fatturato minimo da garantire, altrimenti l’ordine forense ti sfila la toga. Tuttavia il governo deve ancora esercitare una delega sugli ordinamenti professionali, i cui principi sono l’opposto del testo di riforma. Sicché delle due l’una: o la disciplina parlamentare entrerà in vigore prima di quella predisposta dall’esecutivo, e allora verrà abrogata dopo qualche settimana; oppure succederà il contrario, saranno gli avvocati in Parlamento ad abrogare i tecnici al governo.
(Fonte: M. Ainis, Corsera 19-06-2012)

 
LO SCHEMA DEL DPR SULLA RIFORMA DEGLI ORDINI. INTERVENTI TROPPO BUROCRATICI E MACCHINOSI PDF Stampa E-mail
Lo schema del DPR sulla riforma degli Ordini professionali approvato dal CdM, e diffuso 'sotto banco' in rete, ha scatenato reazioni a catena da parte di molti professionisti che hanno bollato gli interventi come troppo burocratici e macchinosi. Non piace la norma sul tirocinio. «Lo schema di DPR prevede un percorso tortuoso e a dir poco irragionevole – dice il Presidente dell'Ordine degli Architetti Leopoldo Freyrie - i primi sei mesi di tirocinio posso essere fatti presso l'università, ma nel caso degli architetti, vista la complessità degli studi, sarà assai difficile individuarli nell’ambito dell’ultimo anno. Poi ci vogliono altri sei mesi in uno studio professionale e a questi si aggiunge un ulteriore semestre di corso universitario (molto probabilmente a pagamento), fino ad arrivare alla valutazione del tirocinio prima di accedere all’esame di stato – conclude Freyrie - Insomma, nessuno snellimento ma una vera e propria corsa ad ostacoli con un aggravio di costi appesantito dalla mancanza di qualsiasi riferimento ad un equo compenso per il tirocinante, rispetto alle prime versioni del provvedimento». Scettico Armando Zingales, Presidente del Consiglio Nazionale dei Chimici, di fronte alla norma sul tirocinio obbligatorio anche per chi prima non lo prevedeva: «Tutto questo non fa altro che spostare ancora più in avanti l’inserimento nella vita sociale e produttiva dei giovani creando un gap difficile da colmare». Bocciata anche la parte dello schema del DPR che prevede almeno cinque anni di anzianità per i professionisti iscritti all'albo che possono concedere il tirocinio: «Oltre a ridurre notevolmente le possibilità per i praticanti di trovare uno studio questa norma è discriminatoria per i più giovani» aggiunge Claudio Siciliotti.
(Fonte: C. Barone, repubblica.it/economia/affari-e-finanza 25-06-2012)
 
IL CONSIGLIO DI STATO AFFONDA LA RIFORMA DELLE PROFESSIONI PDF Stampa E-mail

Il Consiglio di Stato (Parere 10 luglio 2012, n. 3169) ha bocciato la riforma delle professioni. Nonostante si sia pronunciato nel complesso favorevolmente allo schema di regolamento di attuazione dei principi dettati dall'articolo 3, comma 5, del Decreto Legge n. 138 del 2011 in materia di professioni regolamentate, approvato dal Consiglio dei Ministri n. 35 del 15 giugno 2012, ha espresso non poche osservazioni che, di fatto, bloccano la riforma rimettendola ad una modifica sostanziale da parte del Ministero di Giustizia.
I giudici di Palazzo Spada, con parere n. 3169 del 10 luglio 2012, dopo una disamina normativa che ha condotto all'emanazione dello schema di regolamento, hanno voluto esprimere nelle premesse un apprezzamento verso la scelta di procedere all'emanazione di un unico regolamento per tutte le professioni regolamentate e hanno ammesso che il criterio principale che deve costituire la guida per ogni scelta interpretativa è l'affermazione secondo cui "gli ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti".
Ricordiamo che il provvedimento di riforma riguarda tutte le professioni ordinistiche escluse quelle sanitarie.
Ecco i punti in cui lo schema di DPR risulta essere stato "bocciato":

1. L'art. 1 va riscritto perché ampliava all'infinito la definizione di "professione intellettuale".

2. Viene ripristinata la capacità negoziale di Consigli Nazionali professionali in materia assicurativa che il Ministero aveva cancellato.

3. Sono salvi i tirocini inferiori a 18 mesi, come quelli semestrali a cui sono tenuti i laureati in agraria per iscriversi all'Albo degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati.

4. Salta l'obbligo del tirocinio generalizzato per tutti, anche per quelle categorie che non lo avevano.

5. Ripristinata l'autonoma capacità dei Consigli Nazionali professionali di stipulare in proprio Convenzioni con le Università per lo svolgimento dl tirocinio durante il corso di studi.

6. Eliminato il divieto del limite di non più di tre tirocinanti ogni professionista (ciascun albo deciderà quanti).

7. Salta il divieto per i pubblici dipendenti di svolgere l'attività professionale, che sarà libera per i dipendenti in regime di part-time, esattamente come è stato fino ad ora.

8. Salta anche l'obbligo di ripetere il tirocinio se lo si sospende per più di sei mesi; al Ministero dovrà essere indicato un termine diverso e più lungo.

9. Salta infine l’obbligo del corso di formazione semestrale a cui erano costretti i tirocinanti; il corso sopravvive ma come alternativa al tirocinio, non più come ulteriore gravame.
(Fonte: lavoripubblici.it 12-07-2012)
 
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