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16 Luglio
RICERCATORI. INTERROGAZIONE PARLAMENTARE SU ATTIVITÀ DIDATTICHE PDF Stampa E-mail

Per sapere - premesso che:
la riforma Gelmini ha privilegiato il modello di «teaching university» piuttosto che quello di «research university» ed il modello spagnolo piuttosto che il modello franco-tedesco di università; infatti, la Spagna ha circa 11.000 ordinari e 40.000 associati e non ha ricercatori di ruolo, la Francia ha circa 20.000 ordinari e 37.000 ricercatori di ruolo e la Germania ha circa 37.000 ordinari e 131.000 ricercatori di ruolo (e non hanno Associati);  l'Italia ha 17.880 ordinari, 17.567 associati e 25.435 ricercatori (censimento 2009): mettendo ad esaurimento gli oltre 25.000 ricercatori di ruolo, la riforma universitaria ha ridotto drasticamente gli organici delle università; le università italiane - è cosa nota - sono spesso rette dai ricercatori universitari, di fronte alla massiccia messa a riposo di professori ordinari e professori associati e alla contestuale limitazione delle naturali progressioni di carriera per la carenza di concorsi universitari e di «chiamate» per rimpiazzare i pensionamenti (in molti atenei il rapporto è ogni 5 uscite di ruolo una sola chiamata); l'articolo 6, comma 4, della legge n. 240 del 2010 (cosiddetta riforma universitaria «Gelmini»), stabilisce che ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati (di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, che hanno svolto tre anni di insegnamento ai sensi dell'articolo 12 della legge 19 novembre 1990, n. 341), nonché ai professori incaricati stabilizzati, siano affidati, con il loro consenso e fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curriculari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici; ai suddetti soggetti è attribuito il titolo di professore aggregato per il periodo di durata degli stessi corsi e moduli. …omissis… se, il Ministro interrogato, ai fini dell'applicazione del «vero tenure-track» e non piuttosto di una sorta di «precariato mascherato», spesso accompagnato dal citato e discutibile titolo di «professore aggregato», non ritenga opportuno assumere iniziative dirette a rivedere la normativa vigente assicurando in fase di prossima programmazione triennale la disponibilità finanziaria, per l'inquadramento dei ricercatori universitari nel ruolo di professore di seconda fascia, purché in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale, nonché titolari del secondo contratto triennale, e infine previa valutazione positiva del dipartimento dell'ateneo interessato; se il Ministro interrogato non ritenga altresì urgente e opportuno adottare adeguati provvedimenti per prevedere a favore dei ricercatori che svolgono moduli o corsi curriculari un minimo retributivo - omogeneo per l'intero sistema universitario. (5-07174)
(Fonte: P. Goisis e M. Fugatti, interrogazione a risposta in commissione VII Camera 5/07174 del 21-06-2012)

 
DATI SULLA REALTÀ UNIVERSITARIA IN ITALIA PDF Stampa E-mail

I consistenti finanziamenti che lo Stato destina al funzionamento dell’universo accademico e le regole che governano il loro utilizzo contribuiscono a valorizzare la qualità dell’insegnamento e della ricerca italiani? La dimensione e l’impiego dei trasferimenti finanziari sono adeguati al livello raggiunto dall’offerta formativa dei nostri atenei? Il nostro quotidiano ha preso spunto da tali interrogativi per promuovere una ricerca sul sistema universitario nazionale, abbracciando, in una prospettiva temporale, problematiche come la diffusione degli atenei nelle diverse regioni, le statistiche sulla popolazione studentesca, il numero del personale docente e dei ricercatori, l’ammontare degli investimenti e della spesa per le attività educative e di ricerca, il costo del loro funzionamento per i contribuenti.
I risultati dell’analisi delineano un panorama che presenta elementi di dinamismo, in primo luogo la spinta alla fondazione di nuovi atenei, ben 14 negli ultimi 25 anni, con una forte impennata nel 1998. Altro fattore significativo emerso nell’indagine è l’andamento altalenante degli stanziamenti pubblici a favore delle università: se dal 2008 al 2010 il complesso dei finanziamenti statali ha registrato una riduzione netta di 800 milioni di euro, negli ultimi tre anni la curva ha segnato una sensibile inversione di rotta, con un incremento che sfiora i 300 milioni. In aumento anche il livello di investimenti destinati dagli atenei alla ricerca scientifica. Appaiono discordanti invece le rilevazioni relative al numero dei professori, in diminuzione dal 2005 al 2009, e quello dei ricercatori, in crescita nello stesso periodo.
Ma il dato che accomuna tutte le statistiche esaminate è di natura politica. Il problema che penalizza la realtà accademica italiana e ne impedisce lo slancio in una dimensione globale non è tanto nell’entità delle risorse pubbliche stanziate. La questione tuttora aperta è rappresentata dall’uso e destinazione di quei fondi, da regole e meccanismi che tendono a uniformare e appiattire anziché premiare sul piano economico le eccellenze.
(Fonte: E. Petti, linkiesta.it 26-06-2012)

 
LA RESPONSABILITÀ POLITICA NEL DECLINO DELLE UNIVERSITÀ PDF Stampa E-mail
Ciò che non si è sufficientemente sottolineato, a mio avviso, è la responsabilità politica che permette e favorisce il declino delle nostre università, con la silente complicità di almeno due tipi di docenti: quelli che, assorbiti dai compiti della ricerca pensano che la questione delle politiche universitarie non rientri nei loro compiti, e quelli che in Università hanno trovato posto come secondo lavoro, impegnati a dare il meglio di loro stessi nei loro studi privati. Gli altri, che ricercano e non si disinteressano, si trovano spesso nella condizione di non essere mai considerati reali interlocutori del balletto di Ministri che, con tutto il rispetto che si deve alla carica, spesso non sanno nulla di ciò a cui mettono mano, governati da apparati inamovibili che sono poi la vera anima dei ministeri. L’università si qualifica per la ricerca, ma poi assume le persone soltanto per soddisfare le esigenze della didattica: ci si lamenta che i professori fanno poche ore di lezione, che ci sono corsi che hanno pochi studenti e perciò si tagliano i posti (e questo certo non favorisce la permanenza dei “cervelli”). Ma mentre è legittimo buttare i corsi inventati dai giochetti di basso profilo dell’università di massa, si buttano anche quelli che rispondono alla natura di un’eccellenza che a volte richiede l’esiguità dei numeri e la raffinatezza delle menti. Ci si lamenta che il corpo docente è composto da troppi “vecchi” (e per di più baroni), ma non si fanno concorsi (ci si limita a prometterli). Si vuole l’eccellenza, ma si promuove un’università di massa e ci si lamenta se i laureati sono troppo pochi e non tutti trovano il lavoro corrispondente al titolo di studio rilasciato. Ben venga un processo di razionalizzazione, un impegno di valutazione seria e documentata: ma è assurdo che per valorizzare il nuovo sistema di reclutamento dei docenti e i nuovi criteri di valutazione della ricerca, si  insista in un’opera di generica e gratuita denigrazione dei precedenti procedimenti concorsuali e dell’attuale classe docente: forse sarebbe anche giusto ricordare che tutti coloro che partecipano al nuovo sforzo di razionalizzazione del sistema, Ministro e Presidente ANVUR compresi, sono stati selezionati con i precedenti criteri e non penso che si ritengano frutto del semplice potere baronale e del nepotismo di cui sarebbe afflitta l’intera università. Trovo imbarazzante il fatto che nessuno corregga le bordate giornalistiche e le loro generalizzazioni, che nella loro genericità risultano offensive e ingiuste.
(Fonte: A. Pessina, filosofionline.com 26-06-2012)
 
475 PROFESSORI VINCITORI DI CONCORSO NEL 2008 NON ANCORA ASSUNTI PDF Stampa E-mail

Sono 475 i professori universitari di 16 università "non virtuose" (tutte del CentroSud, solo Modena-Reggio Emilia, Udine e Trieste al Nord) che si trovano in un limbo: nel 2008 hanno vinto un concorso con una commissione estratta a sorte, ma poi c'è stato il blocco delle assunzioni decretato dal governo per gli atenei che presentavano una spesa per il personale superiore al 90 per cento del Fondo di funzionamento ordinario.
«In realtà», scrivono in un appello, «nessuno di noi chiede di essere promosso ordinario: è un diritto che abbiamo pienamente acquisito, con le nostre forze, nei concorsi che abbiamo vinto. I 475 docenti di prima fascia disseminati in tutta Italia hanno i medesimi titoli giuridici dei loro 942 colleghi che hanno già preso servizio».
(Fonte: L’Espresso 05-07-2012)

 
RIORGANIZZZAZIONE DELLE STRUTTURE. COME SI ATTREZZANO GLI ATENEI PDF Stampa E-mail
Una sfida che le università stanno affrontando è quella della riorganizzazione prevista dalla riforma Gelmini, che, di fatto, cancella le facoltà, e trasferisce la responsabilità didattica ai dipartimenti. «Al di là della drasticità della riforma che cancella del tutto le facoltà, il problema sta nel fatto che la sua attuazione procede a macchia di leopardo — sottolinea Zaccaria dell’Università di Padova — circostanza rende meno omogeneo il panorama universitario italiano». In effetti, dalle indicazioni degli atenei intervistati emerge un quadro differenziato, non solo sul piano del completamento della riorganizzazione, ma anche su quello delle scelte organizzative, con alcuni atenei che prevedono un maggior ricorso alle scuole, che sostituiscono, di fatto, le facoltà. Per esempio l’ateneo ferrarese prevede una sola scuola, ed un numero limitato di dipartimenti (12), mentre l’Università di Padova potrà contare su 32 dipartimenti, ed un numero di scuole (ancora da costituire), che si aggirerà intorno alle 8-9 unità. Se da una parte l’Università di Palermo ha da poco presentato il proprio statuto al Ministero, premessa per la riorganizzazione, l’Università di Ferrara è ormai pronta con il nuovo assetto, come chiarisce il rettore Nappi: «Il 1° settembre di questo anno completeremo il passaggio alla nuova organizzazione, per cui dal prossimo anno accademico gli studenti che si immatricoleranno avranno come riferimento il corso di laurea ed il dipartimento che lo organizza». A buon punto si trovano le Università di Padova e di Roma 3: «Dopo la pubblicazione del nostro statuto in Gazzetta ufficiale — sottolinea Morganti di Roma 3 — stiamo lavorando per passare da 8 facoltà e 32 dipartimenti ad una struttura basata su 12 dipartimenti e 3 scuole, queste ultime in sostituzione delle facoltà di Economia, di Matematica, Fisica e Scienze, e di Lettere e Filosofia, mentre le altre facoltà verranno rimpiazzate dai dipartimenti».
(Fonte: M. Di Pace, La Repubblica 01-07-2012)
 
IL FOCUS SULL’UNIVERSITÀ DELL’STITUTO DI RICERCHE SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (IRPA) PDF Stampa E-mail
Nel Focus sono riportati i principali atti normativi, commenti e letteratura grigia in materia di riforma universitaria. Il Focus cerca di offrire un quadro d’insieme, costantemente aggiornato, delle profonde trasformazioni che stanno interessando l’Università, dall’attuazione della legge Gelmini, dalla valutazione degli scritti scientifici ai criteri per la selezione del personale, dalle misure volte a favorire la ricerca e l’inserimento dei giovani nel mondo accademico ai metodi di distribuzione delle risorse. Chiunque può inviare contributi al focus, all’indirizzo redazione@irpa.eu. Sono particolarmente graditi interventi su dimensione, autonomia e governo degli atenei, finanziamento (pubblico e privato), tasse universitarie e borse di studio, valutazione della didattica, valore legale del titolo di studio, concorsi, figura dei ricercatori, carriere e stato giuridico dei professori universitari e relativi doveri, trattamento economico, merito e valutazione della ricerca. Gli interventi devono essere firmati, devono indicare a quale dei temi elencati si riferiscono, e di regola non devono superare i 5000 caratteri.
(Fonte: Rivista telematica giuridica "Irpa Studi" 01-07-2012)
 
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