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23 Agosto
INVESTIRE SUL RAFFORZAMENTO DI ALTE SCUOLE E DI UN NUMERO LIMITATO DI UNIVERSITÀ DI RICERCA RITORNANDO ALLE FONDAMENTA DEL MODELLO HUMBOLDTIANO PDF Stampa E-mail

Il monito di Popper («È impossibile escogitare istituzioni per la selezione dei migliori») è, prima di ogni altra cosa, un monito sulla necessità che le istituzioni educative evolvano come società aperte, evitando che regole troppo rigide le trasformino, nel tempo, in entità chiuse, dogmatiche, tribali. In questa prospettiva, la prima dimensione rilevante per la selezione dei professori universitari diviene quella dei modi attraverso cui si conquistano la legittimazione e la leadership scientifica. Specie nelle fasi più avanzate del percorso educativo, nei dottorati di ricerca, la lezione frontale deve lasciare il passo al seminario, alla bottega artigiana rinascimentale, in cui maestro e allievo esercitano e rafforzano lo spirito critico, mentre l'acquisizione di responsabilità si realizza nel dibattito aperto e nel confronto delle argomentazioni. Uno schema, questo, che bene ha funzionato come fucina di pubblicazioni scientifiche, di brevetti e di professori, fino circa alla fine degli anni Sessanta. Da allora, il rapido aumento delle dimensioni del sistema universitario e l'incapacità dell'attore pubblico di regolarlo promuovendone la stratificazione e la differenziazione, hanno determinato una rottura che non si è più ricomposta e che rimane oscurata dal dibattito sul concorso perfetto.
Si è finto di credere che lo scoglio della selezione dei docenti potesse essere risolto compiutamente con le regole dei concorsi. L'esito è stato il succedersi incessante, in una rivisitazione del mito di Sisifo, di procedure di selezione che, di volta in volta, dovevano introdurre correttivi risolutivi rispetto alle distorsioni generate dalle regole previgenti e, invece, finivano per generare nuove fonti d'incertezza, ritardi, sanatorie.
Ne è discesa una doppia chiusura: quella indotta dall'abbandono del modello maestro-apprendista e quella determinatasi per un progressivo isolamento dai centri che, a livello internazionale, quello stesso modello venivano potenziando, perfezionando e diffondendo, su basi competitive.
L'avvio delle abilitazioni nazionali per la docenza rappresenta oggi un passaggio positivo, anche se diverse sono le insidie da cui guardarsi in fase di attuazione.
Ma, anche in caso di pieno successo del nuovo sistema, ai nuovi concorsi - torna il monito di Popper - non si dovrà chiedere di ricomprendere in sé tutte le fonti di legittimazione della nuova élite scientifica. E se la stampa internazionale, buon ultimo ieri il New York Times, ci ricorda le difficoltà dei nostri atenei nell'attrazione di ricercatori dal resto del mondo, bene si comprende la necessità di agire su più fronti, accettando che le università non siano tutte uguali. E’ necessario investire con coraggio sul rafforzamento di istituzioni - le Alte Scuole e un numero limitato di università di ricerca - deputate a realizzare compiutamente il ritorno alle fondamenta del modello Humboldtiano. Luoghi, questi, di ricerca e d'insegnamento cui sia chiesto - e non concesso quasi fosse un privilegio di cui non render conto - di non inseguire a qualunque costo la metrica del numero degli studenti. Di questo coraggio il Paese ha bisogno, per produrre conoscenza e per formare con orgoglio una propria élite professionale internazionale, legittimata dai metodi e dalle sfide delle società aperte.
(Fonte: F. Pamolli, Corsera 14-08-2012)

 
FINANZIAMENTI. IL FFO ARRIVA PRIMA MA LE PENALIZZAZIONI FRENATE ABBASSANO LA QUOTA PER IL MERITO DAL 13 al 10% PDF Stampa E-mail

Con un’accelerazione rispetto agli anni scorsi, quando gli stanziamenti arrivavano sotto Natale, il MIUR ha già varato il decreto che assegna agli atenei il grosso del Fondo di finanziamento ordinario per il 2012. Sulla carta, in base al «merito» degli atenei, è stata distribuita una «quota premiale» pari al 13% dell'assegno complessivo, cioè 910 milioni (contro gli 830 dello scorso anno). In realtà, al netto degli interventi perequativi, la quota effettiva scenderebbe intorno al 10%, ma a pesare davvero sull'effettiva distribuzione sono le clausole di salvaguardia. Nel 2011, per tranquillizzare i rettori (soprattutto del Sud) sul piede di guerra per la perdita di risorse, l'allora ministro Mariastella Gelmini fissò una rete di protezione con cui si stabiliva che nessun ateneo avrebbe potuto prendere più fondi rispetto al 2010 o perderne più del 3,2%. Lo stanziamento complessivo per gli atenei statali, però, ha subito l'anno scorso una flessione analoga, per cui la clausola ha finito per ingessare tutto il sistema. Il nuovo decreto la ripropone, impedendo flessioni superiori al 3,5%. Il finanziamento «premiale», insomma, c'è, ma è ingabbiato.
(Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 16-07-2012)

 
LA PROROGA DEI RETTORI PDF Stampa E-mail

La riforma imponeva agli atenei la modifica degli statuti entro sei-nove mesi dalla sua entrata in vigore e attribuiva la predisposizione delle modifiche a un “apposito organo istituito con decreto rettorale” (art. 2 commi 1, 5, 6). “Lo statuto contenente le modifiche statutarie – la legge stabiliva poi – è adottato con delibera del senato accademico, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione” (art. 2 comma 6). Tenuto conto delle date e dei tempi, entro fine ottobre 2011 i nuovi statuti avrebbero dovuto essere “adottati”. La legge stabiliva infine che “il mandato dei rettori in carica al momento dell’adozione dello statuto di cui ai commi 5 e 6” – è la procedura appena descritta – “è prorogato fino al termine dell’anno accademico successivo” (art. 2 comma 9). In un modo che appare inequivocabile se le parole hanno un senso, la legge prevedeva una proroga per il mandato rettorale fino all’ottobre 2012, ossia alla chiusura dell’anno accademico 2011-2012.
Questa chiarezza della legge è stata posta in discussione da alcuni rettori e dal Ministero. Sintetiche note ministeriali hanno formulato un’interpretazione della legge che fissa il termine per la concessione della proroga del mandato dei rettori non dall’adozione dello statuto da parte del Senato Accademico al termine della procedura descritta, ma dal recepimento o meno del Senato dei rilievi fatti dal ministero nel “controllo” previsto dalla legge del 1989 che ha introdotto l’autonomia universitaria. Lo stato di agitazione e concomitanti azioni giudiziarie si legano alle contrapposte interpretazioni dei commi sopra riportati e ai prolungamenti in corso della proroga prevista dalla riforma. Fino ad oggi, vi è un solo pronunciamento di merito in sede giudiziale: il Tar dell’Umbria ha accolto il ricorso di un docente di Diritto Costituzionale dell’Università di Perugia e annullato la nota del Decano contenente il diniego alla richiesta di indizione delle elezioni del nuovo rettore. Il pronunciamento è ampiamente motivato con considerazioni che suffragano la fissazione del termine per la proroga dall’adozione da parte del Senato.
(Fonte: P. Potestio, roars 21-07-2012)

 
LA DISCUSSA PROROGA DEI RETTORI. NELLA SPENDING REVIEW SPUNTA UNA NORMA A FAVORE DELL’INTERPRETAZIONE MINISTERIALE PDF Stampa E-mail

Il punto, su cui si discute in parecchi atenei, è quello della scadenza del mandato dei rettori «pre-riforma» Gelmini. La nuova legge introduce il mandato unico di sei anni non rinnovabile (prima si poteva andare avanti per decenni), imponendo ai vecchi rettori, con l'eccezione di quelli al primo mandato, di lasciare libero il campo nell'anno successivo all'adozione dei nuovi statuti. Ad accendere il dibattito è che cosa si intenda per «adozione»: il via libera del Senato accademico (come sostiene tra gli altri il Tar di Perugia) o la pronuncia successiva, dopo che il ministero ha approvato o chiesto di emendare gli Statuti (come sostengono i diretti interessati)? Profumo, che prima di essere chiamato da Mario Monti al ministero era rettore del Politecnico di Torino, sposa la seconda tesi, e per sostenere quest'impostazione annuncia il ricorso contro la sentenza dei giudici amministrativi. La risposta ministeriale non piace a Paola Binetti che, ricalcando il ragionamento alla base della sentenza umbra, ricorda che la legge Gelmini non fissa un termine ultimo entro cui si deve chiudere la procedura di controllo ministeriale, con il risultato che potremmo assistere a una lunga catena di Sant'Antonio, lungo la quale i rettori potrebbero allungare ad libitum la durata del loro mandato. Dalla parte del "rinnovamento veloce", poi, ieri è scesa in campo la stessa Mariastella Gelmini, al cui nome è legata la riforma universitaria al centro del dibattito: secondo l'ex ministro serve «definitiva chiarezza», sul fatto che il termine si calcola dall'approvazione dello Statuto in Senato accademico, a prescindere dal successivo controllo ministeriale. «Indietro non si può tornare», chiosa Gelmini, sostenendo che interpretazioni diverse rischierebbero di «vanificare una delle principali conquiste della riforma». Invece nella conversione in Senato del decreto c.d. spending review sui tagli del Governo Monti, spunta una norma che di fatto è un'interpretazione della riforma Gelmini sulla questione tanto discussa della proroga dei rettori. Precisamente: «La proroga si applica a partire dall'approvazione definitiva dei nuovi statuti. Esattamente il contrario rispetto alla tesi messa nero su bianco dai giudici del Tar di Perugia nella sentenza dello scorso 9 luglio. Quella che aveva accolto il ricorso del professor Mauro Volpi, intimando di fatto a Palazzo Murena di attrezzarsi per organizzare entro ottobre nuove elezioni. Per chi si oppone resta la carta del ricorso alla Corte Costituzionale: "Perché la proroga dei rettori non era argomento da poter inserire nel testo della spending review".
(Fonti: G. Trovati, IlSole24Ore 20-07-2012; Il Messaggero Umbria 02-08-2012)

 
LAUREATI. I FRENI ALL’INGRESSO NEL MERCATO DEL LAVORO PDF Stampa E-mail

Rispetto ai coetanei inglesi o statunitensi, i ragazzi italiani più virtuosi e veloci hanno già accumulato un anno di ritardo: noi, per laurearci in economia, impieghiamo almeno cinque anni; all'estero spesso ne sono sufficienti quattro: tre per le materie fondamentali, più un breve e intenso master. Entriamo nel mercato del lavoro molto più tardi di quanto non facessero i nostri stessi genitori: perché questi freni? L'accesso a tante professioni, poi, per i giovani, è sbarrato da una burocrazia che ha raggiunto una dimensione elefantiaca e sin quasi opprimente; la laurea oramai non basta più per partecipare ad alcuni concorsi pubblici: sono indispensabili ulteriori e spesso costose scuole post universitarie o tirocini che dilatano i tempi all'infinito e frenano il nostro entusiasmo, la nostra speranza. Ma se l'università non torna ad essere il vero baricentro della nostra formazione, il più stimolante ed efficiente traghetto verso il mondo del lavoro, come è possibile, oggi, festeggiare ancora quando ci si laurea?
(Fonte: G. Cardaci, Corsera 21-07-2012)

 
COME RAFFORZARE IL SISTEMA UNIVERSITARIO: CREARE POCHE UNIVERSITÀ «SPIN-OFF» IN CUI CONCENTRARE I MIGLIORI TALENTI PDF Stampa E-mail

Il sistema universitario italiano si è sviluppato in un contesto normativo privo di quei meccanismi competitivi che, da una parte, stimolano il miglioramento e la differenziazione qualitativa e, dall’altra, rappresentano un antidoto alle pratiche clientelari. Il modo più efficace e rapido per rafforzare il sistema universitario italiano sarebbe quello di creare poche università «spin-off», distribuite uniformemente per area geografica, in cui concentrare i migliori talenti oggi dispersi nell'intero sistema ricerca. Come accade in altri Paesi, queste «università top» potrebbero sviluppare in breve tempo una reputazione in grado di calamitare altri docenti di talento, i migliori studenti, il management più capace e abbondanti risorse, dall'Italia e dall'estero. I risultati della ricerca e la qualità dei laureati attirerebbero sul territorio imprese high-tech e capitale di rischio in misura molto maggiore di quanto non accada al momento con le università indifferenziate, inducendo così tassi di sviluppo economico che studi su casi stranieri dimostrano nettamente superiori alla media nazionale. Abbiamo simulato la creazione di un'università «spin-off», costituita dagli accademici più produttivi delle tre maggiori università romane - Roma La Sapienza, Roma Or Vergata e Roma Tre - e con le facoltà di matematica, fisica, chimica, scienze della Terra e ingegneria: questa istituzione si classificherebbe al primo posto in Italia per produttività di ricerca, tra le 83 attive nelle medesime discipline, con un valore superiore del 75% rispetto a quello delle prime università pubbliche e pari al triplo della media nazionale. La produttività media dello staff di ricerca (su una scala da O a 100) sarebbe 89 contro 70 delle migliori università italiane e 49 della migliore romana. Il 59% dei 247 accademici della nuova università si collocherebbe al top 10% per produttività scientifica, mentre nella migliore università pubblica (una delle sei Scuole Superiori) la percentuale non supera il 32%. Il costo di un'operazione simile sarebbe minimo, trattandosi di meri trasferimenti, che permetterebbero, quindi, l'utilizzazione di infrastrutture che sono già esistenti.
(Fonte: G. Abramo e C. A. D'Angelo, La Stampa 25-07-2012)

 
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