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18 Novembre
DIDATTICA INTEGRATIVA. BANDO ''MESSAGGERI'': 350 PROGETTI DIDATTICI PDF Stampa E-mail

Sono 350 i progetti didattici presentati da ricercatori all'estero nell'ambito del bando ''Messaggeri'', l'iniziativa promossa dai ministri per l'Istruzione, l'Universita' e la Ricerca, Francesco Profumo, e della Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Finanziato nell'ambito del Piano di azione per la coesione (Pac), il bando consente ai dipartimenti universitari di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia di attivare iniziative di didattica integrativa svolte da ricercatori affiliati a università o centri di ricerca non italiani. Le 350 proposte didattiche sono arrivate da 324 i ricercatori. Di questi, il 61% lavora in Europa, ma non mancano candidature da Stati Uniti, Cina e India. Importante la risposta delle universita' del Meridione, con 141 dipartimenti che hanno dato la disponibilita' ad aprire l'iniziativa ai propri studenti, per un totale di 403 richieste: di questi, 54 sono in Campania, 42 in Sicilia, 28 in Puglia e 17 in Calabria. L'iniziativa si articola in tre linee di attività: la prima prevede che uno o due ''Messaggeri'' svolgano un programma di lezioni presso ognuna delle università interessate. I cicli di lezioni dureranno da 20 a 45 ore, comprensive di attività di laboratorio per piccoli gruppi di 25-30 studenti; la seconda fase consiste nella partecipazione di alcuni studenti, selezionati nell'ambito dei corsi, a stage presso le università o i centri di ricerca di provenienza dei docenti; il progetto si conclude con la terza fase, durante la quale gli studenti, al loro ritorno dall'estero, dovranno ''contaminare'' i propri colleghi, svolgendo una serie di attività per trasferire le conoscenze acquisite. Si prevede di concludere entro il 15 dicembre la valutazione dei progetti presentati, seguita dall'abbinamento fra domanda e offerta didattica; il periodo previsto per le attività è quello compreso tra marzo 2013 e luglio 2014.
(Fonte: ansa.it 13-11-2012)

 
DIDATTICA. UN APPELLO PER RIPENSARE LE MODALITÀ DI INSEGNAMENTO DELLA DISCIPLINA ECONOMICA PDF Stampa E-mail

Diversi esponenti del mondo accademico hanno manifestato enormi criticità rispetto al dibattito economico e alle scelte di politica economica adottate negli ultimi anni, ne sono esempi la Lettera degli economisti contro le politiche europee di austerity e il Manifesto della libertà del pensiero economico. Come studenti, soggetti sociali e cittadini, crediamo sia assolutamente necessario all’interno delle Università, a partire dalle facoltà e dai dipartimenti in cui essa è insegnata e studiata per promuovere un processo dialettico che, anche attraverso il superamento dell’asimmetria tra studenti e docenti, garantisca un reale pluralismo di idee.
Negli ultimi anni il movimento studentesco ha posto al centro il tema dei finanziamenti per l’università pubblica. Crediamo che una riflessione sul carattere pubblico dell’università non possa prescindere da un ragionamento sul suo ruolo sociale e su ciò che è insegnato nelle sue aule. L’univocità che contestiamo nell’insegnamento dell’economia non è un caso isolato: le università possono essere sia un luogo dove si perpetuano le dottrine funzionali al mantenimento dell’attuale modello sociale ed economico che, invece, un luogo in cui il sapere si esprime liberamente. Crediamo che la funzione dell’università pubblica sia proprio quella di garantire l’esistenza di un sapere critico e funzionale al progresso sociale.
Tutelare il pluralismo nella docenza: la giusta valutazione delle attività didattiche e di ricerca e il rigore nel reclutamento dei nuovi docenti devono svolgersi nel rispetto del pluralismo e della legittimità scientifica dei diversi filoni di pensiero economico.
Adeguare la struttura didattica: un corso introduttivo all’“economia politica” deve consentire agli studenti di analizzare i modelli che sono loro presentati, evidenziando l’oggetto sociale e politico del loro studio, spesso nascosto da un’eccessiva formalizzazione matematica e dal ricorso a schemi che rappresentano l’individuo come essere razionale trascurando la sua natura di essere storico-politico.
Siamo convinti che l’economia non possa essere considerata una “materia tecnica”, ma debba tornare a essere una scienza sociale. Vogliamo che quest’appello rappresenti lo stimolo per avviare una discussione dentro e fuori i nostri atenei sul rapporto tra economia e democrazia a partire dalla didattica. Siamo convinti infine che sia necessario aprire oggi un dibattito sulla ripubblicizzazione dei saperi, come strumento attraverso il quale ricercare un’altra idea di sviluppo e una via di uscita alternativa dalla crisi che sembra oggi ancora mancare.
(Fonte: Appello della Rete della Conoscenza 08-11-2012)

 
DIDATTICA. VA RIORGANIZZATO IL CORSO DI STUDI IN GIURISPRUDENZA PDF Stampa E-mail

Gli avvocati italiani (233mila, troppi) fungono da capro espiatorio del malfunzionamento della giustizia. In realtà all'origine delle inadeguatezze di molti dei nuovi avvocati sono le incongruenze della riforma universitaria (3+2) varata nella XIII legislatura che ha disarticolato cicli di studio e soppresso percorsi formativi affinati nel tempo. Così l'abolizione della laurea quadriennale in Giurisprudenza e delle 21 scuole di specializzazione, sostituite da 2 lauree triennali, poste in sequenza con una laurea specialistica biennale, e da un'unica scuola per le professioni legali, ha gravemente depauperato la formazione scientifica, professionale e culturale dei giuristi. Riduzione dei canali di studio, frantumazioni disciplinari e menomazioni nei programmi di insegnamento hanno provocato disorientamento negli studenti con il progressivo calo dei laureati e della loro preparazione. Dal picco dei 25.204 laureati quadriennali nel 2004 si è scesi nel ton a 3.130 laureati specialistici e ad appena n.793 con la laurea quinquennale in Giurisprudenza varata nel 2005. Rigidità e squilibri nell'ordinamento didattico di questa nuova laurea hanno dilatato le carenze formative dei giuristi: molti posti di uditore giudiziario restano scoperti nonostante la numerosità dei candidati che poi ripiegano verso la sempre più «abbordabile» avvocatura. Per arginare questa deriva dequalificante il ministro della Giustizia pensa al numero chiuso. Occorre, invece, tornare alla tradizionale laurea quadriennale ma a frequenza obbligatoria e potenziata da insegnamenti innovativi (analisi economica del diritto, economia della giustizia) e riaprire tutte le scuole di specializzazione. Parità di trattamento e selezione dei migliori richiedono poi, come per notai e magistrati, di centralizzare l'esame per l'abilitazione alla professione forense vietando l'uso di codici annotati e introducendo un tetto alle nuove iscrizioni. Non vanno ignorate, però, le spinte per la liberalizzazione delle professioni che puntano su lauree abilitanti e abolizione degli ordini.
(Fonte: A. Monti, Corsera 10-11-2012)

 
FINANZIAMENTI. UNA NOTA DEL CUN AL MINISTRO PROFUMO SUL FFO PDF Stampa E-mail

Il Consiglio Universitario Nazionale ha approvato il 7 novembre una nota indirizzata al Ministro Profumo in cui si chiede che siano reintegrati i 400 milioni di euro sottratti al Fondo di Finanziamento Ordinario del 2013. E’ particolarmente allarmante, si legge nella nota, la previsione di un’ulteriore riduzione di 400 milioni di euro a carico del Fondo di Finanziamento Ordinario 2013, condividendo perciò le medesime istanze poste a contenuto della mozione CRUI del 25 ottobre 2012. Tale riduzione, continua la nota, genera una situazione di crisi irreversibile, condizionando negativamente la capacità degli Atenei di attivare processi di riorganizzazione e di gestione delle proprie risorse, anche umane, a fronte di spese fisse non riducibili nel breve termine, fino a metterne a rischio le prospettive di funzionamento e sviluppo.
Alla stessa riunione del 7 novembre ha partecipato il direttore generale Livon (direzione generale per l'università, lo studente e il diritto allo studio universitario del MIUR), il quale, a una domanda sulla spendibilità delle risorse 2011 e 2012 del piano straordinario per i professori associati, ha risposto che se tali fondi dovessero essere utilizzati nel 2013 “non si opporrà”.
(Fonte: CUN 13-11-2012)

 
FINANZIAMENTI. SVILUPPI DELLA LEGGE DI STABILITÀ PER IL 2013. PDF Stampa E-mail

Lunedì sera (12-11-12) la situazione è precipitata in Commissione Bilancio. Dopo una sequela di promesse, presenti nella prima versione del DDL, agli Atenei nulla è stato dato.
È del tutto evidente che quando in Europa si spende mediamente il 2,1 del Pil in ricerca (il 2,2 in Francia, il 2,8 in Germania) si sta finanziando lo sviluppo. Dalla crisi si esce solo favorendo l'innovazione e investendo in quel capitale d'intelligenze che dell'innovazione è l'asse portante. Ma le risorse per ricerca e sviluppo in Italia sono appena l'1,26% del Pil, la metà della media europea. Dobbiamo competere nel mercato internazionale. E a questa competizione ci arriviamo già in crisi profonda. Con meno risorse, meno personale, docenti più anziani e meno studenti. Nel 2008 l'allora Ministro delle Finanze pianificò un taglio progressivo pluriennale del Fondo per le Università. Siamo passati dai 7,5miliardi di euro del 2009 ai 7miliardi del 2012. Sulla quota fissata da Tremonti per il 2013, il governo non intende intervenire: dai 7miliardi del 2012 precipiteremo a 6,5 con un calo di più del 6% rispetto al 2012 (e del ben -13% rispetto al 2009). Una vera e propria catastrofe, insostenibile per il sistema universitario, già duramente provato da provvedimenti restrittivi e da tagli su borse post lauream, borse di studio, fondi per la ricerca, fondi per l'internazionalizzazione, tagli sull'acquisto di materiali e attrezzature. Questo è ciò che si annuncia in Commissione Bilancio. L'unico segnale, certo apprezzabile, è che si sia ritagliata dal «fondo Catricalà» una piccola quota per il diritto allo studio pari a 50mln di euro. Ma alle Università nulla. E così, per la prima volta nella storia degli atenei italiani, le spese stipendiali saranno pari al 95% dei trasferimenti dallo Stato. Con conseguenze facilmente immaginabili sui beni intermedi che nell'Università significano servizi, infrastrutture per la ricerca e la didattica: non solo molti bilanci non si chiuderanno ma formazione e ricerca ne risentiranno in modo esiziale. È stato più volte detto che servono 400 milioni di euro per riallineare il finanziamento universitario del 2013 al 2012. Non per incrementarlo - si badi - ma solo per riallinearlo all'anno corrente. Niente. Da questa situazione occorre trarre le debite conseguenze: il problema non è più di numeri, ma schiettamente politico. Non si vuole assegnare a Università e Ricerca il ruolo che altrove nel mondo industrializzato gli compete? Non si vuole favorire il ricambio dei giovani ricercatori?
(Fonte: M. Mancini, presidente CRUI, L’Unità 14-11-2012)

 
LAUREATI. QUELLI ITALIANI SONO I MENO CHOOSY PDF Stampa E-mail

Secondo Bankitalia, che ha diffuso nel rapporto sulle economie regionali, circa il 40% dei giovani tra i 24 e i 35 anni in possesso di una laurea almeno triennale svolge un lavoro a bassa o nessuna qualifica. Quelli italiani sono i giovani meno choosy (schizzinosi) d'Europa, accettano di lavorare in settori che non hanno alcun rapporto con la laurea, i tirocini o gli stage svolti durante il periodo della formazione universitaria. Nulla a confronto con la Germania dove i giovani overeducated che accettano mansioni inferiori rispetto agli studi compiuti sono solo il 18%. I meno choosy, e i più flessibili, sono insospettabilmente i laureati nelle discipline umanistiche. Dopo la laurea il 67,5% di loro trova un lavoro, ma quasi il 40% si mette sul mercato del lavoro informale, nero, vive insomma in quella fascia che lo studio di Bankitalia definisce «di bassa o senza nessuna qualifica professionale». Il 70% di loro svolge comunque impieghi diversi da quelli per cui ha studiato. Quindi niente scuola, ricerca o università. Si lavora nelle attività commerciali e nei servizi, nell'agricoltura o nella pesca, di sceglie di fare l'operaio, oppure i «conduttori di impianti» e gli «addetti al montaggio». In altre parole, vanno a ingrossare le professioni che non hanno nome, ma sono fondamentali perché sorreggono un mercato del lavoro sempre più disarticolato e frammentato. Tecnicamente, rilevano gli esperti di Bankitalia, questo fenomeno si chiama «disallineamento» e riguarda tutti i laureati che accedono al mercato del lavoro, i quali non sempre riescono a trovare un lavoro che corrisponde esattamente alle aspirazioni personali o alla tipologia di laurea posseduta. Dal 2009, il «disallineamento» sembra essersi allargato al punto da assomigliare à un baratro. Tutti i laureati, e non solo quelli umanistici, si sono ritrovati nella terra oscura che gli studiosi hanno perimetrato con le categorie di overeducation e mismatch. Il primo indicatore si riferisce ai laureati occupati che svolgono mansioni a bassa o nessuna qualifica. Il mismatch segnala le mansioni diverse da quelle per cui hanno studiato ed è un indicatore che si calcola solo per i laureati e non per i diplomati. Nel rapporto il tasso di overeducation è stato più alto al Centro (il 29,7%) e nel Nord Est (26,3% degli occupati laureati) e inferiore nel Nord Ovest (23,3%) e nel Mezzogiorno (22,9%). In tutte le regioni del paese, il fenomeno degli overeducated ricorre più spesso tra gli occupati laureati nelle discipline umanistiche (39%) e nelle scienze sociali (34%). Coloro che invece svolgono la professione medica, fanno gli architetti o gli ingegneri hanno la vita relativamente più semplice: il loro tasso di occupazione è più alto, mentre quello di overeducation è più basso. Non poteva essere più clamorosa la smentita della posizione della ministra del Welfare Elsa Fornero secondo la quale, invece, i laureati italiani «non devono essere troppo choosy, meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale».
(Fonte: R. Ciccarelli, Il Manifesto 10-11-2012)
TABELLA

Tasso di occupazione, overeducation e mismatch dei laureati occupati nel triennio 2009-2011 per tipo di laurea (valori percentuali)
. Elaborazioni su dati Istat da Il Manifesto 10-11-12.
(2) Tasso di overeducaton. Quota di laureati occupati (che hanno terminato gli studi) che svolgono mansioni a bassa o nessuna qualifica sul totale degli occupati laureati in una data classe.
(3) Tasso di mismatch. Quota di laureati occupati (che hanno terminato gli studi) che svolgono mansioni diverse dall'ambito tematico di laurea sul totale degli occupati laureati in una data classe.
(4) Include i corsi di laurea in scienze della formazione, agraria, veterinaria e le lauree nei servizi.

 
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