Home 2012 18 Novembre
18 Novembre
IL NUOVO SISTEMA DI VALUTAZIONE DEI DOCENTI E DEI CORSI PDF Stampa E-mail

L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) è sul punto di varare le novità per la valutazione dei docenti e dei corsi, che riguarderanno le modalità di raccolta dei dati e i soggetti interpellati. Il nuovo sistema di valutazione prevede un aumento del numero dei questionari somministrati agli studenti e la compilazione di una scheda anche da parte dei professori. Fino all’anno scorso agli studenti era richiesto solo di compilare alla fine del corso una scheda con domande a risposta multipla, attraverso la quale potevano esprimere il proprio parere sulla qualità della didattica e sull’adeguatezza delle strutture in cui si erano svolte le lezioni. Quando entrerà in vigore in nuovo sistema di valutazione predisposto dall’ANVUR i questionari diventeranno sette, da distribuire in diversi momenti e diretti a differenti categorie di soggetti. Inoltre, anche i docenti dovranno compilare una sorta di scheda di autovalutazione. Nelle intenzioni dell’ANVUR, superati i due terzi di ciascun corso gli studenti che hanno frequentato almeno il 50 per cento delle lezioni dovrebbero compilare un questionario. Una seconda scheda di valutazione sarebbe destinata ai non frequentanti o a quanti hanno preso parte a meno del 50 per cento delle attività didattiche. A inizio anno dovrebbero essere interpellati quelli che l’anno precedente hanno avuto una frequenza pari ad almeno il 50 per cento dei corsi, mentre un diverso questionario sarebbe destinato a quelli che sono stati presenti in misura minore o che non lo sono stati per niente. Poi ci sarebbe la scheda per i laureandi e altri tre moduli di valutazione rivolti ai laureati da uno, tre e cinque anni. Infine, anche la novità del questionario per i docenti.
(Fonte: università.it 05-11-2012)

 
RADIO UNIVERSITARIE. RIBALTA INTERNAZIONALE AL COLLEGE RADIO DAY PDF Stampa E-mail

Sono 584 le radio universitarie in rappresentanza di 29 Paesi, che hanno partecipato il 2 ottobre al College Radio Day - CRD, evento che celebra questi media e li porta alla ribalta, oggi internazionale. Il CRD nasce con l'intento di celebrare i valori di cui le radio universitarie sono un baluardo e una testimonianza preziosa: la libertà di pensiero e di espressione, la pluralità nel sistema dei media, il confronto come principio democratico per la crescita e l'arricchimento di una comunità. Incubatori di creatività, laboratori di comunicazione, canali di servizio, le radio universitarie formano ogni anno decine di migliaia di studenti (oltre mille in Italia), mettendo al centro delle proprie attività la didattica e la promozione della cultura in tutte le sue espressioni e declinazioni possibili. Nell'arco delle 24 ore, nelle 3 ore dedicate all'Italia, sono state protagoniste tutte le 23 radio universitarie tricolori aderenti al CRD e parte del network Ustation/Raduni. A guidarle, in rappresentanza, gli speaker di Unis@und, la web radio dell'Ateneo di Salerno e RumoreWeb, dell'Università di Modena - Reggio Emilia.
(Fonte: T. Cavallo, rivistauniversitas 08-11-2012)

 
VALUTAZIONE. L’IMPEGNO DEL DOCENTE NELL’AUTO-MISURAZIONE NELL’UNIVERSITÀ VALUTATA PDF Stampa E-mail

La valutazione implica un processo continuo di controllo – che va dal micro al macro (dagli atti quotidiani e più semplici che vanno continuamente documentati ai grandi esercizi periodici di valutazione). I criteri non sono mai definitivi, ma in continuo mutamento. Una volta che il principio secondo cui il finanziamento è subordinato alla valutazione (e la valutazione al finanziamento) è introdotto, allora il criterio valutativo diventa non solo la misura delle risorse da allocare, ma anche la direzione dei percorsi di ricerca e insegnamento. Non si tratta ovviamente di un mero comando lineare che definisce in maniera preordinata i campi e gli scopi del sapere, ma di un processo molto più indeterminato, in cui agiscono molti attori, ma che indubbiamente fa pesare le esigenze di generare valore economico nel governo dell’alta formazione e della ricerca. Il risultato è che il docente dell’università valutata esprime una soggettività che è impregnata di calcolo. Il docente o aspirante tale è impegnato in un continuo processo di auto-valutazione che determina il suo rapporto con l’istituzione e con se stesso. Il suo valore non è solo rilevabile periodicamente attraverso gli esercizi di valutazione, ma continuamente dentro e fuori l’istituzione. É parte, infatti, di una network culture in cui in ogni momento è possibile misurare la propria popolarità: come va il mio libro nella classifica di amazon.com? Quanto volte secondo Google Scholar sono citato? Quanti siti con il mio nome compaiono quando faccio una ricerca su di me con Google? Qual è l’impact factor registrato da varie agenzie online delle riviste in cui ho pubblicato? Posso aumentare l’impatto della mia ricerca misurato appunto in termini di citazioni scrivendo un blog per esempio o anche creando un seguito su twitter attorno a nuove parole d’ordine in grado di catalizzare l’attenzione? Inoltre, l’imposizione recente da parte del governo inglese dell’open access, cioè della gratuità dell’accesso ai risultati di ricerche direttamente finanziate dal governo stesso, si annuncia avere importanti ripercussioni sull’editoria accademica con ricadute sull’accesso alla pubblicazione degli stessi ricercatori. Se le riviste accademiche per esempio non potranno più far pagare per i propri prodotti, come potranno realizzare un profitto? A questo proposito, l’editoria anglofona più avanzata comincia a pensare di fare pagare agli autori stessi per la pubblicazione, introducendo anche un sistema di micropagamenti per citazioni etc. (secondo un modello recentemente definito ‘pay per sentence’ o paga per frase).
Questa interiorizzazione del calcolo auto-valutativo per cui il docente è impegnato in una continua auto-misurazione del valore del proprio operato può operare solo all’interno di un mercato del lavoro estremamente mobile come quello anglofono. Non avrebbe senso cioè senza una mobilità molto diffusa di lingua anglofona, ma spesso anche plurilinguistica, che apre la possibilità di lavorare presso un numero molto alto di istituzioni non solo in aree storicamente anglofone (dal Regno Unito al Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda), ma anche in Asia e in Africa. Si tratta cioè di un vero e proprio movimento diasporico del lavoro accademico, caratterizzato spesso dall’incessante migrare di più o meno giovani docenti e ricercatori su tre continenti alla ricerca di reddito. Già questo marca una distanza incolmabile con l’università italiana, dove l’introduzione della valutazione avviene in un sistema nazionale sostanzialmente chiuso: molto si parla della fuga dei ricercatori italiani all’estero, ma poco della pressoché totale chiusura dell’università italiana allo ‘straniero’, della sua scarsissima internazionalizzazione, della sua rigida segmentazione in confini disciplinari che facilitano la riproduzione generazionale delle scuole.
(Fonte: T. Terranova, uninomade.org 06-11-2012)

 
LE PROFESSIONI DELLA TUTELA IN EMERGENZA PDF Stampa E-mail

Un convegno organizzato dall’Associazione Bianchi Bandinelli ha da poco richiamato l’attenzione sull’emergenza in cui versano le professioni della tutela. Scavi archeologici e campagne di catalogazione sono affidate a giovani precari mentre crescono collaborazioni esterne con società prive di personale qualificato. Si moltiplicano i manifesti per “sviluppo e cultura” ma lo Stato taglia le cattedre di storia dell’arte negli istituti tecnici e perfino in quelli turistici. A che pro, deve avere pensato il legislatore, insegnare chi fossero Veronese, Palladio o Valadier a futuri geometri, progettisti di servizi culturali per la Rete o guide? “Impresa innanzitutto”, stabiliscono gli esperti del Sole 24Ore nel ripresentare il “Manifesto della cultura” in edicola. “La cultura ha bisogno di uno spirito imprenditoriale nuovo capace di superare vecchi steccati e vecchie ideologie”. Concordiamo. Ma la domanda è: innovazione, efficienza o “spirito imprenditoriale” coincidono necessariamente con “privato”? Potremmo supporre che non sia sempre così. Esiste un modello politico-istituzionale specificamente italiano, esemplificato dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro e dall’Opificio delle Pietre Dure, che ha riscosso nei decenni il più ampio riconoscimento internazionale: un’agenzia tecnica centrale a finanziamento pubblico capace di porre in connessione ricerca, conservazione e didattica. Questo stesso modello oggi è in crisi perché sottofinanziato: per incuria o ostilità politico-ideologica, in altre parole, non per impasse interna.
Il dibattito sulla trasformazione di Brera in Fondazione di diritto privato oppone storici dell’arte a storici dell’arte, responsabili della tutela a “decisori” e economisti. Con l’attribuzione alla Fondazione della duplice competenza su beni immobili e collezioni il governo è apparso consolidare la fuorviante distinzione tra “tutela” e “gestione” e svilire le funzioni pubbliche di custodia, pure previste dalla Costituzione. Esistono garanzie che gli obiettivi scientifici e didattici risultino vincolanti anche in futuro? Inoltre: è ammissibile che il problema della riqualificazione delle competenze pubbliche sia ancora una volta tralasciato?
Sul tema del decentramento degli enti di tutela si sono recentemente espressi in modo assai negativo Ernesto Galli della Loggia, Il paesaggio preso a schiaffi, in: Corriere della Sera, 27.8.2012, pp. 1, 30; Antonio Paolucci, Il federalismo irresponsabile che devasta il nostro paesaggio, in: Corriere della Sera, 28.8.2012, p. 24. Per un inquadramento complessivo della questione con particolare riferimento agli aspetti politici e storico-giuridici (preunitari e unitari) della questione cfr. Salvatore Settis, “Italia S.p.A.” (2002) e “Paesaggio Cemento Costituzione” (2010). Cfr. anche Luigi Piccioni, “Un punto d’arrivo, un punto di partenza”. Discutendo di “Paesaggio Costituzione cemento”, in Storica, XVIII, 52, 2012, pp. 86-111.
(Fonte: M. Dantini, roars.it 09-11-2012)

 
AICUN (ASSOCIAZIONE ITALIANA COMUNICATORI D'UNIVERSITÀ) CELEBRA IL VENTENNALE PDF Stampa E-mail

La CRUI il 5 e 6 novembre ha celebrato il ventennale dell'AICUN (Associazione Italiana Comunicatori d'Università), nata il 6 novembre 1992 mediante sottoscrizione di un atto notarile, con un Forum sul tema "Le università che comunicano: vent'anni di esperienza le sfide per il futuro". È stata l'occasione per fare un bilancio delle esperienze acquisite dal 1992 a oggi, ma anche per proporre alcune linee guida per il futuro. A tale proposito, al termine del Forum, il presidente onorario dell'AICUN, Edoardo T. Brioschi, ha letto il Manifesto della comunicazione universitaria. Questo documento propone alcuni punti rilevanti «per il proficuo sviluppo della comunicazione universitaria, in quanto strumento strategico al servizio delle singole istituzioni come pure dell'intero sistema universitario nazionale». Dato che la realtà universitaria è in costante cambiamento, nel Manifesto si riconosce il ruolo fondamentale della comunicazione perché l'università possa «confermare la sua identità e il suo ruolo» e migliorare presso l'opinione pubblica la propria reputazione, talvolta un po' "appannata". Il comunicatore universitario deve aggiornare le sue competenze e potenziare la sua formazione anche in chiave europea, ha sottolineato nel suo intervento Paolo Pomati, vice presidente dell'EUPRIO (European Universities Public Relations & Information Officers): dal confronto con altre realtà, infatti, possono derivare preziose fonti d’ispirazione e di metodo per una professionalità di cui non sempre è riconosciuto il giusto valore, ma che può fare la differenza nella realtà aziendale in generale e universitaria in particolare.
(Fonte: I. Ceccarini, rivistauniversitas 09-11-2012)

 
COME TRASFORMARE IL PRIMO LAVORO IN CREDITI UNIVERSITARI. LEGGE SULL’APPRENDISTATO (DLGS 167/2011) PDF Stampa E-mail

Come trasformare il primo lavoro in crediti universitari (in pratica in esami dati) e raggiungere più velocemente la laurea o il master? Adesso si può. Anzi è una delle grandi novità della nuova legge sull’Apprendistato (il Dlgs 167/2011 entrato in vigore il 26 aprile scorso, qui la scheda con tutte le novità).
La formula si chiama “Alto apprendistato” ed è riservato a giovani ricercatori iscritti a facoltà o master universitari. Il concetto? Una volta ottenuta un’assunzione (anche a termine) con un contratto di apprendistato, si può trasformare in “Alto Apprendistato”. A quel punto si può contemporaneamente lavorare, frequentare corsi e didattica esterna (è la cosiddetta “formazione” sempre prevista nei contratti da apprendisti) e intanto acquisire crediti validi per una laurea, un master, un dottorato. In ogni caso i settori dove operare sono tanti: commercio nelle grandi catene per esempio, turismo e industria. I percorsi devono essere costruiti insieme da aziende, università e pubblica amministrazione. In genere le imprese interessate sono quelle che hanno deciso di assumere un giovane brillante. Il neoassunto può così già entrare in azienda e non lasciare da parte gli studi, ma al contrario sfruttare il lavoro per accelerare il percorso canonico. L’azienda da parte sua ha sgravi fiscali.
Dove informarsi e soprattutto metterlo in pratica? La legge è nuovissima, Ma è già applicata con le prime esperienze negli atenei di Bologna, Reggio Emilia, Modena, Cattolica di Milano e Roma tre. Per avere informazioni ci si può rivolgere all’Ufficio Master presente in ogni ateneo. Sul sito della Regione Emilia Romagna c’è una sezione corretta.
(Fonte: D. Amboni, ilsalvagente.it 13-11-2012)

 
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