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18 Novembre
ALLARME SUI TAGLI E SUL CALO DELLE MATRICOLE AGLI “STATI GENERALI DELLA CULTURA” PDF Stampa E-mail

Gli “Stati generali della Cultura”, organizzati oggi a Roma da IlSole24Ore, dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, hanno avuto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica. Presenti cinque ministri, Profumo, Ornaghi, Barca, Severino e Cancellieri e Marco Mancini, presidente della Crui (Conferenza dei Rettori Italiani) che ha ribadito con forza l’assoluta necessità di un adeguato sostegno alle strutture Universitarie: ''L’1,26% del Pil destinato alla ricerca e allo sviluppo è poca cosa. Appena la metà di quello che investono altre nazioni europee. Se è vero come ha detto lo stesso Presidente della Repubblica che “l’intervento pubblico e privato in tutti i settori della ricerca è una priorità da far valere ancora di più in tempi di crisi come quella attuale”, è pur vero - ha commentato Mancini - che l’attesa è durata troppo e dopo consistenti tagli l’Università è al collasso. Malgrado l’impegno del ministro Profumo, non tutti nel Governo cercano di salvarla''. Parole gravi che trovano riscontro nelle cifre. Dai 7 miliardi del 2012 si scende vertiginosamente ai 6,5: -13% rispetto al 2009. In soli 4 anni i docenti sono diminuiti del 10%. ''Attenzione - commenta Mancini -, le famiglie si sono accorte degli attacchi agli Atenei e rispondono con un calo dell’11% del numero di matricole. Occorrono almeno 400 milioni di euro per riallineare il finanziamento universitario del 2013 al quello del 2012 ed evitare gravi ripercussioni sulla ricerca e formazione''.
(Fonte: viterbooggi.it 15-11-2012)

 
POLITICHE PUBBLICHE E FORMAZIONE – PROCESSI DECISIONALI E STRATEGIE PDF Stampa E-mail

Curatori: Renata Viganò, Cristina Lisimberti. Vita e Pensiero, Milano 2011, pp. 216.
Perché molti tentativi di riforma non sono efficaci? Come mai scuola e università appaiono sovente segnate dall'inerzia più che da reale spirito d’innovazione? Sono davvero plausibili e perseguibili le attuali sinergie fra organi di governo, pubbliche amministrazioni, istituzioni, enti locali, interlocutori pubblici e privati, forze sociali, civili, economiche, imprenditoriali? E quali lezioni si possono trarre dall'esperienza, nazionale e internazionale? Soprattutto: in che modo si può rendere la formazione una leva realmente strategica per lo sviluppo dei singoli, dei Paesi e delle comunità? Tali interrogativi percorrono i saggi che compongono questo libro, nel quale sono riuniti i contributi di autorevoli esperti e protagonisti nazionali e internazionali intervenuti nel Corso di “Alta Formazione Politiche pubbliche e formazione. Processi decisionali e strategie”, ideato, progettato e sviluppato da ASERI -Alta Scuola in Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
La crisi dell’università è affrontata da Giuseppe Molinario, che vede una soluzione nella qualità dei manager. Ma qual è il manager che sa prendere le giuste decisioni? Quello che sa individuare la missione dell’ateneo e garantire coerenza, elaborare una pianificazione strategica, mettere a punto un piano di azione, con la definizione dei progetti. Un manager professionalmente formato e che sappia trasmettere entusiasmo, essere un modello di comportamento, garantire qualità e propositività. Per creare una scuola pubblica in grado di competere con le scuole straniere è importante per l’Italia garantire l’accesso a tutti i giovani, in particolare ai più meritevoli. Si deve garantire la possibilità di scelta per i ceti meno abbienti tra scuola pubblica, parificata e privata con una politica fiscale di detrazioni e defiscalizzazione. Cosa che purtroppo non esiste. Sarebbe utile per la formazione di studenti meritevoli con un reddito minimo e per la scuola che – grazie alla concorrenza della privata – migliorerebbe la sua offerta.
Renata Viganò, curatrice del volume, è convinta dell’urgenza di questo lavoro di formazione per i decisori delle politiche formative. Affronta l’emergenza educativa e sostiene che la formazione è centrale per la persona, e non deve essere strumento di logiche di business. Non è utilitaristica, ma ha un fine più vasto collegato al bene comune, per questo deve essere difesa e rafforzata. È essenziale tornare al ruolo educativo della scuola che, insieme alla famiglia, costruisce il futuro di un Paese.
(Fonte: ibs.it )

 
PIETRO BUCCI, UN PONTE VERSO IL FUTURO PDF Stampa E-mail

Autore: Alessandro Pagano. Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2012, 168 pp.
Pietro Bucci (1932-1994), chimico di origini napoletane, fu un grande innovatore dell’università italiana. Diede una spinta propulsiva alla costruzione e all’internazionalizzazione dell’Università della Calabria di cui fu rettore, ruolo che ricoprì anche nell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Nel 2004 – a dieci anni dalla scomparsa – l’Università della Calabria gli dedicò un convegno; in quell’occasione gli fu intitolato il ponte che collega le palazzine della città universitaria, da cui il titolo del presente volume.
Un titolo non solo per indicare fisicamente quel ponte, ma anche tutti i ponti che Bucci ha tracciato: con gli studenti, con le università straniere, con i suoi colleghi, con la politica, con le amministrazioni locali, trasformando l’Università della Calabria in un campus modello di ricerca e didattica.
Giuseppe Chidichimo, sottolineando il ruolo di Bucci nel progresso della Calabria, afferma che il ponte che ci ha lasciato è «concepire la vita come servizio agli altri per il progredire della società tutta»; per lui, la figura di Bucci dovrebbe essere conosciuta non solo in Calabria, ma nel mondo universitario italiano e in particolare dai ricercatori, come esempio di ottimismo e di capacità di orientare l’intelligenza verso mete scientifiche nuove.
Tutti lo ricordano con nostalgia: amici, professori, colleghi e allievi. Dalle parole dei suoi amici, riportate da Alessandro Pagano, emerge un uomo di grande apertura mentale, di onestà intellettuale, umile (un docente si stupì nel vederlo al bar a giocare a tresette con i camionisti), e con la capacità di rimanere calmo di fronte alle mille difficoltà che ostacolavano i suoi progetti grandiosi su università e ricerca.
(Fonte: M. L. Viglione, rivistauniversitas novembre 2012)

 
A EUROPEAN PERSPECTIVE ON NEW MODES OF UNIVERSITY GOVERNANCE AND ACTORHOOD PDF Stampa E-mail

Occasional paper del CSHE - Center for studies in Higher Education dell'Università di Berkeley, dicembre 2011, a cura di Georg Krücken (International Center for Higher Education Research - INCHER - Università di Kassel, Germania).
Abstract: Higher education systems in Europe are currently undergoing profound transformations. At the macro-level, there is an increase in the number of students enrolled, subjects of study offered, and university missions that have gained legitimacy over time. At the second level changes are evident at the level of university governance. New Public Management reforms have put into question the traditional mode of governance that was based on the interplay of strong state regulation and academic self-governance. Under the current regime, new actors like accreditation and evaluation bodies or boards of trustees are emerging. At a third institutional level, profound changes can be observed at the university level itself. The university as an organization is transforming into an organizational actor, i.e. an integrated, goal-oriented, and competitive entity in which management and leadership play an ever more important role. In the following paper empirical evidence for social inclusion, new modes of governance and the organizational actor hood of universities will be presented. Furthermore, I will outline an agenda for comparative research. Although the United States is in all three respects a forerunner of what we are observing in Europe, the label “Americanization” is misleading. Instead, a global frame of reference as well as national path-dependencies need to be taken into account.
Scarica il paper sulla pagina web del sito del CSHE.

 
JÜRGEN HABERMAS. LEZIONI SULL’UNIVERSITÀ PDF Stampa E-mail

Rivistauniversitas ha dato inizio a una serie di piccoli saggi su alcuni intellettuali che hanno scritto di università. Il primo riguarda Jürgen Habermas (Düsseldorf 1929). Habermas ha lavorato nell’Istituto per la ricerca sociale fondato da Horkheimer, dapprima sotto la sua guida e poi sotto quella di Adorno. Dopo soggiorni a Marburgo e Heidelberg, ha insegnato filosofia e sociologia a Francoforte. Ha diretto l’Istituto Max Planck di Stranberg dal 1971 al 1983. In seguito è tornato a insegnare a Francoforte nella Goethe Universität. Da profondo e attento conoscitore del mondo accademico, Habermas riserva una parte non trascurabile della sua attività di ricerca sociologica all’analisi dei mutamenti succedutisi nel sistema universitario tedesco in una fase storica del tutto particolare, all’alba del Sessantotto, quando l’avanzare della protesta studentesca poneva una serie di importanti problematiche legate ai processi di cambiamento in atto nella società tedesca e, più in generale, europea. Quella di Habermas (J. Habermas, L’Università nella democrazia, De Donato, Bari 1968) è una vera e propria lezione sull’università che cambia, fotografata in un momento cruciale per il destino delle democrazie europee. L’università nella democrazia prospettata da Habermas sarebbe pertanto vocata a innalzare il grado di coinvolgimento didattico e scientifico degli studenti, cui la società deve affidarsi per affrontare le nuove sfide della modernità alle porte. Non è un caso che le parole chiave della riflessione habermasiana siano democrazia, informazione, coesione, apertura, autonomia, collaborazione. La lezione per un’università nella democrazia si sostanzia appunto nella difesa della cultura del dialogo, dell’intesa, dell’interazione tra gli attori universitari coinvolti direttamente nell’attività di ricerca: professori, ricercatori, studenti. Una lezione che, allo stesso tempo, prende corpo nell’appello a contrastare i «poteri illegittimi», portatori di interessi esterni non sempre congruenti con la mission culturale dei sistemi di alta formazione. Una lezione che impone agli atenei di guardare al mondo produttivo, ma senza invasioni o limitazioni di campo. Un’università che guarda al futuro nel segno della tradizione, in grado di interpretare il mutamento socio-culturale e promuovere il rinnovamento delle conoscenze. Una lezione quanto mai d’attualità oggi, nella fase delle riforme permanenti e delle criticità croniche, acuite da un deficit di rappresentatività sociale e di risorse.
(Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas ottobre 2012)

 
VENTI ANNI DOPO. IL PERCORSO DELLA VALUTAZIONE DELL’UNIVERSITÀ IN ITALIA E ALCUNE PROPOSTE PER IL FUTURO PDF Stampa E-mail

Autore: Gianfranco Rebora. Liuc Papers n. 257, Serie Economia aziendale 38, novembre 2012
Lo scritto analizza criticamente venti anni di esperienza della valutazione nel sistema universitario italiano. Quattro distinte fasi possono essere individuate nell’ambito del percorso compiuto, riferito sia al sistema universitario sia ai vari atenei: avvio, diffusione di iniziative e informazioni, stasi, accelerazione impressa dall’Agenzia nazionale (ANVUR).
L’uso degli esiti della valutazione costituisce il fattore cruciale per comprendere il significato e l’efficacia dei sistemi di valutazione. Nel sistema italiano, gravi problemi hanno interessato (e continuano a interessare) l’utilizzo degli esiti della valutazione al fine di migliorare le attività accademiche e di rendere le università responsabili delle proprie scelte. In particolare, emerge la difficoltà di limitare gli effetti inappropriati o indesiderati delle pratiche valutative e la diffusione di comportamenti opportunistici da parte dei soggetti valutati. In conclusione l’articolo delinea una serie di proposte per il futuro.
Questo scritto rientra nei contributi elaborati nell’ambito del PRIN sul tema “Governance e valutazione dell'università: politiche pubbliche e strumenti di management” (“University governance and evaluation: public policies and management tools”) co-finanziato dal MIUR (Anno 2008 - prot. 2008P7STNX). Si riporta di seguito la conclusione dello scritto.
La presente disamina dell’esperienza italiana, in conclusione, conferma che la valutazione costituisce un potente fattore che orienta il comportamento degli accademici, come emerge del resto dalle ricerche internazionali disponibili (Bridges, 2011); coloro che definiscono le modalità di valutazione influenzano fortemente i modelli di comportamento di docenti e ricercatori; maggiore riflessione e confronto sono necessari a tutti i livelli del sistema, se non si vuole che il futuro dell’università italiana sia definito da forze impersonali, oppure sia delegato alle idee personali di pochi tecnici, o ancora all’opportunismo e all’inerzia di oscuri burocrati.
(Fonte: biblio.liuc.it novembre 2012)

 
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