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31 Dicembre
STUDENTI. NUMERO CHIUSO. IL MIUR PENSA ALLA GRADUATORIA NAZIONALE PDF Stampa E-mail

Per l'accesso alle facoltà a numero chiuso, come medicina e chirurgia, il ministero dell'Istruzione sta pensando a un «ulteriore perfezionamento del sistema che potrebbe avvenire con la formazione di una graduatoria unica nazionale». «Tale innovazione - ha detto il ministro Profumo - deve essere tuttavia introdotta gradualmente; lo svolgimento della procedura selettiva richiederebbe, infatti, tempi più lunghi che devono essere resi compatibili con l'inizio delle lezioni».
«Quanto alla garanzia della trasparenza delle modalità di svolgimento delle prove di accesso, tali esigenze appaiono assicurate dalle regole dettate dal decreto ministeriale n. 196 del 2012. Si deve poi ricordare che la determinazione del numero di posti disponibili per l'accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia è effettuata secondo una prassi rigorosa che coinvolge vari soggetti istituzionali», ha concluso il ministro.
(Fonte: Il Giornale di Brescia 12-12-2012)

 
STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO: UN BILANCIO DEGLI ULTIMI DIECI ANNI PDF Stampa E-mail

Dalla relazione di Federica Laudisa su questo tema al Primo Convegno ROARS si riporta la sintesi finale. Per leggere tutta la relazione usare questo link.
II quadro dei pochi aiuti e servizi agli studenti è sostanzialmente rimasto invariato negli ultimi dieci anni. II numero di studenti beneficiari di supporto è marginale rispetto al totale degli iscritti, anche riguardo a quegli interventi rivolti alla generalità degli studenti (ristorazione, collaborazioni part-time). Gli interventi si "distribuiscono" in maniera differente nelle diverse sedi universitarie. Il ruolo di policy analyst a livello ministeriale è inesistente. Siamo (stati) un paese fermo, disuniforme e senza bussola nella politica DSU.
(Fonte: F. Laudisa, roars.it 13-12-2012)

 
STUDENTI. TASSE D’ISCRIZIONE E SPESA PUBBLICA PDF Stampa E-mail

Due economisti, Andrea Ichino e Daniele Terlizzese (Corsera 10 dicembre) ritengono che un futuro governo, nel disegnare la sua politica nei riguardi dell’università, debba partire da un interrogativo morale: “E’ giusto che i poveri paghino l’università per i ricchi?” Il confine tra poveri e ricchi sarebbe un reddito annuo lordo famigliare di 40.000 euro. Più concretamente, e senza la pretesa di difendere valori morali, mi sembra che la domanda che dovrebbe porsi un futuro governo sia piuttosto se è opportuno, per l’Italia, raggiungere  una percentuale di giovani con istruzione universitaria almeno pari alla media dei paesi OCSE. In caso affermativo il problema sarebbe di modulare le tasse d’iscrizione, e l’accesso alle borse di studio in modo da aumentare il numero degli iscritti in grado di completare gli studi, senza aumentare, ovviamente, la spesa pubblica. Ricordiamo che in Gran Bretagna la risposta all’interrogativo morale che il Governo Blair aveva posto negli stessi termini di Ichino e Terlizzese, ha causato invece una consistente diminuzione degli iscritti e quindi dei laureati. Può permetterselo l’Italia con il 20% di laureati tra i giovani dai 25 ai 34 anni, mentre la percentuale media dei paesi dell’OCSE è 28%?
(Fonte: A. Figà Talamanca,  pietroichino.it 14-12-2012)

La controreplica di Andrea Ichino: Non abbiamo dilemmi morali, diamo per scontato che non sia giusto. E comunque, i cittadini cui spetta decidere devono sapere quel che oggi accade. Con una soglia inferiore ai 40.000 euro il paradosso sarebbe ancora più evidente. L’Economist del 4 febbraio 2012 e studi dell’Institute for Fiscal Studies non segnalano diminuzioni degli iscritti alle università in UK dopo la riforma; e anzi suggeriscono che essa abbia aumentato la mobilità sociale. In un libro che uscirà tra breve con Rizzoli, facciamo le nostre proposte. Ma in ogni caso, perché intanto non far pagare la laurea a chi può certamente permetterselo?
(Fonte: A. Ichino, pietroichino.it 14-12-2012)
 
VALUTAZIONE. INTERVISTA A FIORELLA KOSTORIS PDF Stampa E-mail
Fiorella Kostoris, membro del direttivo dell'ANVUR (Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca), è convinta che il rinnovamento degli atenei sia possibile e inevitabile: «Ci sono le sacche di resistenza, ma la gran parte degli studenti e dei professori è pronta ad accettare la valutazione, così come avviene in tutti i Paesi dell'Ocse». Lei si è interessata per molti anni di università, anche a livello internazionale. Qual è la condizione dei nostri atenei? Perché abbiamo tanti ritardi nei confronti internazionali? «Siamo tra gli ultimi tra i 27 Paesi dell'Unione europea ad aver introdotto la terzietà della valutazione esterna. Abbiamo ritardi, prima ancora che di realizzazione, nella maturazione delle scelte. Ma il nostro percorso è avviato. I primi a parlare di necessità della valutazione sono stati Luciano Modica e Walter Tocci, due esponenti dei Democratici di sinistra. Poi questa cultura è stata fatta propria anche dal centrodestra e in particolare dal ministro Mariastella Gelmini. ANVUR è nata il 2 maggio del 2011, qualche mese prima della caduta del governo Berlusconi. E' stato un passaggio positivo, nonostante i problemi. Oggi, anche tra i docenti, è cresciuta la disponibilità alla valutazione. In alcuni casi, addirittura c'è attesa ed entusiasmo». Come sono posizionate le università del Mezzogiorno? E' vero che proprio al Sud c'è maggiore resistenza? «Non c'è grande differenza tra le diverse aree geografiche. Per anni, dal Sud al Nord, si è enfatizzata solo l'autonomia; i guasti si sono registrati un po' ovunque. Adesso è il tempo della responsabilità e della valutazione. La responsabilità è il valore più alto. Così sarà più facile la valutazione, a cominciare da quella interna. ANVUR è nata bene, è un'agenzia indipendente, pubblica ma non governativa. Sappiamo che il sistema ha bisogno di una scossa per vincere resistenze e situazioni di degrado … Il nostro problema è che dagli atenei escono laureati con ottime nozioni, ma con insufficiente capacità di rielaborare le conoscenze acquisite, quello che chiamiamo pensiero critico e capacità di combinare in modo flessibile saperi e informazioni. Questo ci è richiesto dai cambiamenti che coinvolgono il mondo e per questo dobbiamo recuperare il tempo perduto».
(Fonte: T. Tondo, La Gazzetta del Mezzogiorno 10-12-2012)
 
VALUTAZIONE SOCIALE DEL RICERCATORE PDF Stampa E-mail
Credo che un sistema perfetto non esista in nessun Paese, ma ritengo anche che un tentativo serio di rilancio della ricerca dovrebbe partire da una riflessione sulla figura del ricercatore e sulle sue necessità per svolgere al meglio il suo ruolo. Credo che un “ricercatore”, nell’accezione corretta del termine, dovrebbe essere tale per vocazione ed essere definito come chi spinge in avanti la conoscenza nel suo settore, scoprendo nuove soluzioni, adottando approcci innovativi nell’analisi di tematiche già affrontate per giungere a conclusioni originali, aprendo nuove linee di ricerca magari anche interdisciplinari, ecc. … in altre parole, il “ricercatore” dovrebbe essere percepito come un “creatore di conoscenza”, naturalmente di una “conoscenza” che, in qualunque campo e dovunque venga prodotta (Università o Ente di ricerca), abbia effetti positivi sul progresso economico e sociale. Quando tre anni fa andai a Stoccolma per una Conferenza internazionale nel mio settore, rimasi impressionato notando come, sul treno “Arlanda Express” (dall’aeroporto alla città), vi erano depliants che, al visitatore estero, presentavano il Paese sottolineando tutti i traguardi raggiunti dai suoi ricercatori. Evidentemente, ciò sottolinea quanto sia elevata, da quelle parti, la valutazione sociale del ricercatore. La Svezia (nell’esempio che sto citando) è anche uno dei Paesi la cui situazione complessiva é molto migliore di quella italiana. Ora, se la figura del “ricercatore” fosse (correttamente) intesa in questo significato, sarebbe facile dedurne di quali condizioni di lavoro il ricercatore avrebbe bisogno: libertà accademica (per lavorare in autonomia applicandosi al meglio della propria creatività intellettuale-scientifica), stabilità (raccomandazioni UNESCO: la “tenure” come necessario complemento della libertà accademica) e naturalmente stipendi che riflettano l’importanza del suo ruolo … una concezione della figura del ricercatore, e delle sue necessarie condizioni di lavoro, distante anni luce dall’idea sottostante alle figure di ricercatore precario introdotte in Italia.
(Fonte: L. Cerioni, roars.it 16-12-2012)
 
VALUTAZIONE. DA SALVARE PDF Stampa E-mail
Come ha osservato di recente Stefan Collini, nel suo volume intitolato “What are Universities For?”, il dopoguerra ha segnato un momento di profonda trasformazione per il sistema universitario. Nel quadro della ricostruzione postbellica e della competizione fra blocchi contrapposti, prende forma l’idea dell’economia della conoscenza, alla quale le università sono funzionali. Alla rapida crescita del numero degli studenti, si accompagna un altrettanto rapido incremento del finanziamento pubblico alle università, ponendo così le premesse per la rivoluzione che sarà promossa dal governo Thatcher: gli atenei, non più enclaves autonome dedite alla formazione – prevalentemente umanistica – di ristrette elite destinate alla guida del Paese, divengono parte integrante del sistema economico e produttivo. Finanziate largamente con denaro pubblico, particolarmente negli ambiti dell’ingegneria e delle scienze biomediche, esse devono dimostrare di aver correttamente speso il denaro del taxpayer e così pure di averlo meritato e di meritarlo in futuro. Si afferma così l’idea che la valutazione, da pratica da secoli condivisa all’interno dell’accademia, debba trasformarsi in strumento per una corretta e produttiva allocazione delle risorse. Il testo completo può essere letto qui: Salvare la valutazione.
(Fonte: A. Banfi, federalismi.it 21-11-2012)
 
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