Home 2013 28 marzo STUDENTI STUDENTI. PRESTITI PER LA “INUTILE” IMPOSIZIONE DELLA LAUREA
STUDENTI. PRESTITI PER LA “INUTILE” IMPOSIZIONE DELLA LAUREA PDF Stampa E-mail
Senza andare a tempi remoti, sappiamo tutti che gli ordini professionali si sono battuti prima contro l’apertura delle professioni ai “diplomati universitari” e poi ai laureati triennali. Un caso particolare è quello del collegio dei ragionieri che nei primi anni novanta fece approvare una leggina che vietava l’accesso al collegio e al titolo di ragioniere a chi non aveva una formazione universitaria almeno triennale. L’ordine dei giornalisti, poi, è riuscito a pretendere una laurea per l’accesso ad una professione che, ai suoi più alti livelli, aveva accolto molti studenti universitari falliti (che testimoniavano quanto possa essere arbitraria la selezione operata dalle università.) In tutti questi casi una strenua difesa di interessi corporativi ha usato come arma l’istruzione universitaria. Insomma, indipendentemente dalle effettive competenze che si possono ricavare da una formazione universitaria, la legge, la consuetudine e il costume, alimentati e giustificati dalle “corporazioni”, contribuiscono ad ostacolare, se non a sbarrare, l’accesso dei non laureati a posizioni di rilievo economico e sociale. Questo, e non solo la maggiore competenza acquisita, o l’autoselezione, contribuisce alla differenza tra i redditi dei laureati e quelli dei non laureati. Almeno in parte, l’istruzione universitaria costituisce una inutile ed ingiusta imposizione a chi vuole ascendere la scala sociale. L’idea che tutti gli utenti debbano contribuire in modo significativo ai costi della propria istruzione universitaria diviene allora assurda nella misura in cui l’istruzione universitaria è una inutile imposizione. E’ un po’ come far pagare al detenuto il vitto e alloggio delle guardie che lo sorvegliano. Dando pure per scontato che attualmente si produca un effetto “Robin Hood al contrario”, se si volesse solo mitigare questo effetto, si potrebbero alzare le tasse per i più abbienti. I prestiti consentono invece di attingere alle disponibilità future, anche di chi abbiente non è, per pagare, oggi, l’università. Certamente i fautori dei prestiti ritengono che un maggiore impegno finanziario degli studenti comporterebbe un maggiore controllo sulla qualità dell’insegnamento e della ricerca. Ma, a mio parere, è una possibilità molto remota. Per il momento l’efficienza didattica è più alta nella facoltà di medicina (dove le tasse universitarie coprono una minore percentuale dei costi) che nella facoltà di scienze politiche, dove le tasse degli studenti pagano quasi tutto il costo dell’istruzione. Per questo io credo che un aumento delle tasse universitarie non debba finire nel calderone dello FFO, ma debba essere destinato al “diritto allo studio”, dopo aver corretto le gravi (ma eliminabili senza costi aggiuntivi) deficienze organizzative nella assegnazione delle borse e dei posti letto.
(Fonte: da Repliche a Ichino e Terlizzese di A. Figà Talamanca e P. Palazzi, roars 01-03-2013)