RIFORMARE IL CDA PDF Stampa E-mail

Come dovrebbe essere formato il CdA per superare le insufficienze della legge Gelmini ed i timori di una “privatizzazione” selvaggia?
Io ho preso molti spunti dall’estero ma la soluzione migliore per la composizione di un CdA si basa alla fine sui medesimi principi adottati dagli estensori della Costituzione italiana quando hanno stabilito la composizione della Corte Costituzionale (CC) in modo che quest’organismo fosse il più indipendente possibile. La CC ha 3 componenti uguali, una nominata dal Presidente della Repubblica, una nominata dal Parlamento, la terza dai giudici delle supreme magistrature. I componenti hanno un mandato non rinnovabile molto lungo (9 anni), in modo da non essere ricattabili, e le nomine sono scaglionate nel tempo in modo che un organismo in una data composizione non effettui mai più di una nomina contemporaneamente. Ciò ha l’ulteriore vantaggio di sottoporre ogni nomina ad una attenta verifica da parte della pubblica opinione. La composizione dei CdA universitari dovrebbe seguire uno schema simile, ossia 3 componenti: una nominata da rappresentanti interni (ad es. il Senato Accademico); una nominata da organismi esterni individuati dalla stessa università in fase costituente, come ad esempio accademie, istituzioni scientifiche e/o culturali, organismi rappresentativi di professioni o dell’industria, eventualmente (se ci si fida della politica locale) amministrazioni pubbliche locali o regionali, associazioni di laureati dell’ateneo, ecc.; l’ultimo terzo nominato per cooptazione dallo stesso CdA in carica, ossia quando esce un membro il CdA ne nomina un altro, sempre esterno e sempre scaglionato nel tempo. Ogni nomina preceduta da una selezione delle candidature possibili affidata ad una commissione ad hoc e basata sul curriculum delle persone. Un meccanismo simile è utilizzato all’estero per i CdA delle università ed in molte altre realtà pubbliche o private non-profit, dando esiti positivi. Sembra un dettaglio tecnico ma in realtà è una delle chiavi del successo della riforma.
(Fonte: L.Marrucci, risposta a G. Abbate, Istruzione & Cultura 20-03-2013)