Home 2013 7 ottobre PROFESSIONI. LAUREE TITOLI TERZIARI. LAUREE E LAVORI DA LAUREATI
TITOLI TERZIARI. LAUREE E LAVORI DA LAUREATI PDF Stampa E-mail

In Italia, l'istruzione terziaria coincide di fatto con l'università: si dice “laureato” e si pensa a chi ha frequentato l'università. Invece in molti Paesi europei esistono tre pilastri formativi a livello terziario: le università, le università applicative e i corsi di formazione post-diploma. Le prime offrono una formazione lunga e teorica, impartita quasi esclusivamente da accademici; il secondo pilastro delle università applicative (ad es. Fachhochschulen tedesche, Politecnici finlandesi) offre corsi più brevi e pratici, punta molto sugli stage in impresa e ha una forte presenza di docenti provenienti dal mondo del lavoro. Il terzo pilastro offre corsi ancora più brevi e applicativi per formare profili qualificati di tipo tecnico o impiegatizio.
Dobbiamo stare quindi attenti quando leggiamo i dati dell'Ocse sui titoli terziari: di quali titoli terziari stiamo parlando? La classificazione Isced dei titoli di studio usata dall'Ocse per i confronti sul tasso di laureati è incapace di distinguere fra i tre pilastri, quindi è difficile rispondere a questa domanda. Due cose sono però chiare. Primo, nelle nuove generazioni le statistiche Ocse rivelano un grave deficit di formazione professionale post-diploma (il terzo pilastro, titoli Isced 5B), mentre è molto minore il deficit relativo ai primi due pilastri (classificati entrambi come titoli Isced 5A). Secondo, nel caso italiano questi primi due pilastri si riducono, in realtà, solo a quello delle università tradizionali.
Non ha senso usare come termine di riferimento la media del tasso di laureati nei Paesi Ocse per stabilire se in Italia abbiamo abbastanza laureati. L'economia italiana non ha lo stesso fabbisogno di laureati di Paesi quali l'Olanda o la Svezia. Infatti i dati disponibili segnalano che: a) la domanda di lavori da laureato è minore in Italia rispetto agli altri grandi Paesi europei; b) a differenza di altri Paesi, questa domanda non cresce da parecchi anni (ben prima dell'attuale recessione); c) la domanda di laureati in Italia è risultata minore dell'offerta di lavori da laureato nell'ultimo decennio; d) il valore delle lauree nel mondo del lavoro va indebolendosi progressivamente. Non va dimenticato, però, che gli studenti e le famiglie nutrono concrete aspettative professionali sulle lauree. La funzione civica dell'istruzione non può diventare un pretesto per disattendere queste speranze. Se, in nome dei benefici civici dell'istruzione, si decide di espandere il numero di laureati ben oltre le richieste effettive del mondo del lavoro bisognerebbe almeno spiegarlo in modo trasparente alle famiglie.
I problemi più urgenti dell'università hanno ben poco a che vedere col mero volume di laureati e riguardano invece i rapporti tra formazione iniziale e formazione permanente, la distribuzione degli studenti tra lauree e le carenze dell'orientamento, la debolezza occupazionale dei corsi universitari. Il problema non è tanto che l'Italia abbia troppi laureati, ma che abbia pochi lavori da laureato. In questo contesto, gonfiare ulteriormente il numero di laureati solo per inseguire la media Ocse, oppure nella speranza che aumentino i lavori da laureato, sarebbe incauto. E’ prioritario invece investire risorse per sostenere la domanda di laureati in settori-chiave per lo sviluppo del Paese quali la ricerca, la cultura e i servizi alle famiglie.
(Fonte: C. Barone, Il Mulino n. 3, 2013, pg. 514)