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RECLUTAMENTO. IL BLOCCO DEL TURNOVER PER ALTRI DUE ANNI PDF Stampa E-mail

Qualche tempo fa ilfattoquotidiano.it aveva denunciato la chiusura del corso di studi di genere all’Università della Calabria. Sotto la notizia, una valanga di commenti scandalizzati. Per la chiusura del corso? No, per il fatto che potessero esistere studi tanto inutili. Eppure l’approccio di genere, trasversale a tutte le scienze umane, ha un’importanza fondamentale per la comprensione dei fenomeni economici e sociali. Il punto è che se la ricerca non dà risultati immediatamente visibili e comprensibili dai più, allora sembra inutile. “Perché dovremmo pagare uno scienziato, se sappiamo fare le scarpe più belle del mondo?” si chiedeva nel 2010 l’allora presidente del Consiglio dei Ministri. La stessa domanda continuano probabilmente a porsela tutti i governi. L’esecutivo guidato da Berlusconi è stato il primo a stabilire che il settore pubblico dovesse assumere meno scienziati, con l’introduzione nel 2008 (DL 112) del cosiddetto “blocco del turnover”, poi esteso nel 2010 (con il DL 78), per il quale durante il triennio 2012-2014 le università statali avrebbero potuto assumere nuovi ricercatori e professori solo nel limite di una spesa corrispondente al 20% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente. Ma la legge di stabilità ha poi spalmato la riduzione del turnover su altri due anni rispetto a quanto originariamente previsto dal governo Berlusconi. Nel testo all’esame del Senato si legge: “Università ed enti di ricerca potranno procedere al turnover del personale nella misura del 60% nell’anno 2016, dell’80% nell’anno 2017, e del 100% a decorrere dall’anno 2018”. Non è un caso che nel Paese dei “neutrini nei tunnel” e delle “sirene insabbiate” si continui a tagliare fondi a università e ricerca. Tagli dopo tagli, le topiche delle classi dirigenti di domani diventeranno sempre più ridicole. Ma niente paura, sapremo sempre fare le scarpe più belle del mondo.
(Fonte: F. Sabatini, FQ 04-11-2013)