Home 2014 3 febbraio RICERCA. RICERCATORI. INNOVAZIONE. VALUTAZIONE SEI SCIENZIATI ITALIANI RIMASTI IN PATRIA FRA I PRIMI 400 PIÙ INFLUENTI AL MONDO
SEI SCIENZIATI ITALIANI RIMASTI IN PATRIA FRA I PRIMI 400 PIÙ INFLUENTI AL MONDO PDF Stampa E-mail

Ci sono sei cervelli «tricolori» che lavorano in Italia fra i primi 400 scienziati più influenti al mondo, classificati secondo un nuovo metodo di misurazione sviluppato da un gruppo di ricercatori americani. Lo studio, pubblicato sull’European Journal of Clinical Investigation, combina per la prima volta diversi parametri di rilevamento della qualità della ricerca. Un conteggio che nell’intenzione degli autori consentirebbe una maggiore efficienza nella valutazione, a vantaggio della meritocrazia e di una migliore gestione dei finanziamenti. I sei migliori italiani lavorano quasi tutti in strutture lombarde. Secondo il nuovo ranking made in Usa, lo scienziato italiano attivo in Italia che guadagna la posizione migliore nella «top 400» è Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Irccs Humanitas di Rozzano e docente dell’università degli Studi di Milano. Con lui spiccano altri 5 nomi di cervelli italiani rimasti a lavorare in patria: Antonio Colombo dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, Giuseppe Mancia dell’università di Milano Bicocca, Vincenzo Di Marzo del Cnr di Pozzuoli, e Alberto Zanchetti dell’università degli Studi di Milano. Lo studio, che suggerisce un nuovo metodo di classificazione dell’impatto scientifico dei ricercatori, è stato coordinato da John Ioannidis, (anch’egli nella lista) professore di medicina e direttore del Prevention Research Center della Stanford University School of Medicine. Ioannidis e colleghi sono partiti dal database Scopus, che contiene i dati identificativi di tutti i 15.153.100 autori di articoli scientifici. Per ognuno sono stati calcolati il numero di articoli pubblicati dal 1996 al 2011 e il numero di volte in cui questi articoli sono stati citati. Questi dati sono poi stati usati per calcolare il relativo «h-index», che viene usato per quantificare la prolificità del lavoro degli scienziati.
(Fonte: corriere.it/salute 28-01-2014)