Home 2014 14 marzo FINANZIAMENTO NON SOLO UN PROBLEMA DI RISORSE RICERCHE E PROPOSTE SULL’INDUSTRIA E LE POLITICHE INDUSTRIALI
NON SOLO UN PROBLEMA DI RISORSE RICERCHE E PROPOSTE SULL’INDUSTRIA E LE POLITICHE INDUSTRIALI PDF Stampa E-mail

Tanto nei Paesi avanzati quanto negli emergenti è molto vivo il dibattito sulle politiche industriali, e si moltiplicano le concrete iniziative dei governi. Poco o nulla di tutto ciò accade nel nostro Paese.
In primo luogo, è ormai modestissimo il contributo in termini di analisi e di proposta che viene dall’università e dai centri di ricerca. C’è un problema di finanziamento. I dipartimenti universitari, così come i diversi centri di ricerca non universitari, sono in una situazione di ristrettezze economiche probabilmente mai sperimentata in precedenza. I tradizionali committenti sui temi dell’industria e della politica industriale sono le istituzioni pubbliche, le fondazioni e gli altri soggetti ad esse assimilabili, le grandi imprese, le banche e le loro associazioni. Per diversi motivi tutti questi soggetti hanno smesso da anni di richiedere e finanziare ricerche e proposte sull’industria e sulle politiche industriali, così come su altri aspetti relativi all’evoluzione socioeconomica dell’Italia. Per le istituzioni pubbliche, nazionali e locali, c’è, com’è noto, un drammatico problema di carenza di risorse finanziarie. Ma non è solo questo: un insieme di norme e disposizioni recenti cerca di limitare sempre più il ricorso a conoscenze e collaborazioni esterne. Le consulenze per le pubbliche amministrazioni, le ricerche, gli studi, i convegni, sono viste come un male assoluto da debellare. Invece di contrastare indubbi fenomeni di abuso, si cerca di azzerare queste spese: come se nelle pubbliche amministrazioni italiane, sempre più deboli e invecchiate, senza flussi in entrata di giovani saperi e competenze, fossero disponibili tutte le conoscenze necessarie. L’investimento in conoscenza è divenuto spesa corrente inutile, da tagliare. Le Fondazioni si confrontano con ritorni assai minori sul capitale, e quindi con una minore capacità di erogazione; lo stesso vale per le imprese. Solo la Banca d’Italia è in grado di produrre ancora ricerca e conoscenza di alta qualità, anche sull’industria; per propria natura, tuttavia, mentre continua a realizzare splendide analisi sulle situazioni e gli andamenti, è assai meno in grado di lanciare proposte sui temi delle politiche relative all’economia reale. Gli effetti sono evidenti: basti pensare alla scomparsa del fondamentale Rapporto sulle Piccole e Medie imprese curato dal Mediocredito Centrale (poi da Capitalia, poi Unicredit), che raccoglieva evidenza molto preziosa sulle imprese e sulle politiche. Ma non è solo un problema di risorse. Nell’ambito dell’università italiana è in corso un profondo processo di riorganizzazione. Complessivamente, nell’ultimo quinquennio il numero totale di docenti si è ridotto di circa 8500 unità. Le progressioni di carriera e i nuovi ingressi sono poi sottoposti ad un complesso, e continuamente cangiante, insieme di norme. Questo processo non è neutrale: porta a privilegiare alcune aree disciplinari; e all’interno delle aree disciplinari, alcuni ambiti di studio. Non si tratta di negare la grande importanza di meccanismi di monitoraggio e valutazione; ma di discutere le loro modalità di attuazione. Soprattutto all’interno degli studi economici tali meccanismi hanno connotati piuttosto evidenti. Sono molto più apprezzati, e meglio valutati contributi che descrivono e interpretano le modalità di funzionamento dei mercati rispetto a quelli che provano ad analizzare e valutare le politiche pubbliche; contributi più vicini alla teoria che all’analisi della realtà; contributi comparativi standardizzati basati su una vasta evidenza quantitativa già disponibile, più che analisi originali. Si fa ricerca principalmente su ciò che può essere già descritto da numeri: gli ambiti nei quali (come spesso accade nella ricerca applicata sulle industrie) le disponibilità sono inferiori, per questo motivo, sono tralasciate. Esiste, ed è rilevante, solo ciò che si può misurare. Risultato di tutto ciò è che, per i giovani ricercatori, è molto difficile far carriera occupandosi di industria e politiche industriali: l’eredità dei grandi economisti industriali italiani rischia di andare dispersa.
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Fonte: G. Viesti, Roars 19-02-2014; ItalianiEuropei n. 1 gennaio 2014)