Home 2014 14 marzo RICERCA. RICERCATORI. INNOVAZIONE. VALUTAZIONE UN WORWSHOP SULLA RICERCA ITALIANA IN EUROPA
UN WORWSHOP SULLA RICERCA ITALIANA IN EUROPA PDF Stampa E-mail

Ricerca italiana in Europa: com’è andata negli scorsi anni? Come prepararci ai prossimi appuntamenti?
Erano queste le due domande sul tavolo del workshop che si è tenuto l’11 febbraio scorso presso la sede del CNR di Roma, sotto l’egida del Gruppo 2003. Un convegno in cui i rappresentanti dei principali istituti di ricerca, di molte università italiane e della politica, si sono incontrati per confrontarsi sulla situazione della ricerca italiana in ambito internazionale e per mettere sul tavolo le difficoltà e le sfide interne che il nostro Paese si ritrova ad affrontare in Europa. Perché anche se siamo un’eccellenza in Europa per quanto riguarda la ricerca - nel FP7 siamo stati al quarto posto tra gli EU27 per numero di progetti e per finanziamenti attribuiti, e quinti per numero di progetti coordinati - c'è ancora molto da fare per adeguare le nostre politiche agli standard europei. Come ha illustrato Maria Grazia Roncarolo, presidente del Gruppo 2003, presentando il report di Scienceonthenet sulla ricerca scientifica italiana in Europa, la ricerca made in Italy per diventare più competitiva dovrà prefissarsi tre obiettivi: aumentare la competitività internazionale, potenziare l’attrattività per favorire il rientro dei cervelli e non da ultimo ideare percorsi nuovi per giovani capaci e meritevoli. Dall’analisi della partecipazione italiana al Settimo programma quadro (2007-2013), spiega Maria Uccellatore, dirigente dei Programmi europei di ricerca presso il MIUR, emerge che l’Italia ha contribuito con 37.867 proposte presentate di cui 6.282 negoziate, e 16.664 presentate con coordinamento, di cui 1.968 ottenute, attestandosi anche questa volta, come già accaduto nel FP6 ai primissimi posti per numero di proposte, specie nel settore dell’ICT e dei trasporti. “Il problema - suggerisce Stefano Fantoni, presidente dell’ANVUR - è che in Italia, per ogni euro che investiamo, ci ritornano solamente 65 centesimi.” Le uniche soluzioni da mettere in atto, prosegue Fantoni, sono dunque tre: aumentare l’incidenza delle collaborazioni con alcuni Paesi particolarmente dinamici, negoziare una frazione di finanziamento maggiore, specie se si pensa che i coordinatori italiani di progetto sono il 16% in meno rispetto alla media europea; infine aprire le porte al settore privato, all’industria.
Una posizione d’eccellenza all’interno del panorama di ricerca europeo è rappresentato dagli ERC Grants, finanziamenti dove ancora una volta il nostro Paese ottiene ottimi risultati a livello di ricercatori, ma non come hosting institutions. Vivere da vincitori di grants ERC nelle Università italiane non è sempre semplice, sia per le assurde tagliole burocratiche, sia per le incertezze di carriera, sia infine per il clima di ostilità che spesso si crea nei confronti di questi giovani, per il fatto che - almeno in teoria - dovrebbero avere una chiamata diretta per diventare professore associato evitando il concorso. A tutt'oggi il risultato è che, come sottolinea Fernando Ferroni, presidente dell’INFN, “a 30 anni questi ricercatori di eccellenza sono ancora post-doc e si trovano a confrontarsi con i colleghi europei che alla stessa età sono già professori”.
(Fonte:
www.scienzainrete.it 14-02-2014)