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CNR. SITUAZIONE ECONOMICA E DELLA RICERCA PDF Stampa E-mail

Alcuni dati sul finanziamento pubblico (del governo centrale e delle regioni), per ricerca e sviluppo (R&S). Si è passati da 9.778 milioni di euro del 2009 a 8.822 del 2012, con una diminuzione in termini monetari del 9,8 % e in termini reali del 12,7 %. Va rilevato che i fondi per i progetti di ricerca universitaria (Prin, Firb, ecc.) sono passati nei quattro anni da 711 a 95 milioni di euro. La situazione del CNR appare ancora più drammatica. Le spese “cogenti” dell’ente, e cioè quelle relative agli stipendi e al funzionamento della struttura (affitti, luce, gas, ecc.), sono dell’ordine dei 620 milioni. Nel 2014 mancano all’appello 120 milioni di euro e al momento ancora non è dato sapere a quanto ammonteranno le assegnazioni vincolate per il 2014. Ciò significa che il CNR ha perso completamente la propria autonomia e che, per pagare gli stipendi e per aprire le porte dei laboratori di ricerca, deve passare per le forche caudine dei committenti che orientano la ricerca ai propri fini, non certo all’avanzamento delle conoscenze promosso dal mondo scientifico guidato dalla curiosità e indipendente da qualsiasi interesse politico, economico, social. Il fatto che il CNR non dipende più dallo Stato ma dal mercato si evince dalle entrate di bilancio dell’ente per il 2012. La metà delle fonti finanziarie (51,8%) è costituita dal Fondo di finanziamento ordinario del MIUR; le altre, se si escludono i contratti per i progetti europei del Programma Quadro che riguardano attività di ricerca e che incidono per un 5% del totale (va osservato che ormai Horizon 2020 non prevede più la ricerca di base, ma la finalizzazione a chiari obiettivi socio-economici), provengono da un insieme di attività tecnico-scientifiche che rientrano appieno nella missione dell’ente (servizi tecnici, trasferimento tecnologico, consulenze, ecc.), ma che non contribuiscono certamente ad un vero avanzamento delle conoscenze. E’ ovvio che queste attività “lucrative”, se non continueranno a essere alimentate dalla ricerca “vera”, siano destinate anch’esse all’estinzione per mancanza di idee originali. La lezione è dunque questa: lo Stato sta progressivamente riducendo il proprio sostegno alla ricerca pubblica “privatizzando” le istituzioni pubbliche e, snaturandone l’essenza, sta via via forzando la scienza verso obiettivi utilitaristici e di breve periodo. Ma i cittadini italiani che se ne faranno di un’istituzione di tal fatta? Ai suoi ricercatori non verrà più riconosciuta la competenza e l’indipendenza per svolgere quella preziosa funzione di scienziati che testimoniano i valori mertoniani in una società culturalmente avanzata.
(Fonte: G. Sirilli, Roars 04-02-2014)