Home 2014 8 aprile IN EVIDENZA CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E DOCENTI UNIVERSITARI
CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E DOCENTI UNIVERSITARI PDF Stampa E-mail

Le Università italiane sono impegnate nell’approvazione di un proprio codice di comportamento dei dipendenti pubblici, un documento destinato a integrare, in ciascun Ateneo, il Codice di comportamento valido a livello nazionale per tutti i pubblici dipendenti (approvato con D.P.R. 16-04-2013, n. 62) e a coordinarsi con altri corpi normativi come ad esempio il codice etico e il codice di disciplina. L’esistenza di un codice di comportamento normativamente imposto esige una riflessione sul ruolo delle Università e delle persone che in esse operano.
L’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (che riprende l’articolo 58-bis del D.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29) prevede che dall’applicazione del codice di comportamento dei dipendenti pubblici siano esclusi i magistrati e gli avvocati dello Stato. Agli organi delle associazioni di categoria di questi dipendenti pubblici è demandata l’adozione di un codice etico, che è poi sottoposto all’adesione dei singoli magistrati e avvocati dello Stato.
Non è chiaro perché i professori universitari siano stati trattati diversamente e a loro non sia stata data alcuna possibilità di autoregolamentazione. Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici è assimilabile ai codici deontologici degli ordini professionali, che hanno efficacia normativa e definiscono l’insieme delle regole di comportamento alle quali ogni professionista deve attenersi nella pratica professionale. I codici deontologici sono scritti e approvati dalle singole comunità professionali che li usano come strumenti di autogoverno, guida delle scelte individuali, controllo delle prestazioni e tutela della professione. Per essere efficace e per contribuire alla formazione delle persone e alla qualità dei servizi, un codice di comportamento deve essere non un’imposizione calata dall’alto ma il risultato condiviso di un dibattito informato e imparziale di tutti i professionisti interessati.
Ai professori universitari è riconosciuta autonomia e diritto di autoregolamentazione in quanto professionisti (per esempio, avvocati, psicologi, ingegneri, medici, ecc.), ma non in quanto dipendenti pubblici, membri di un’organizzazione come l’Università che riconosce nella propria autonomia la condizione necessaria e irrinunciabile per l’esercizio delle libertà individuali e il perseguimento degli obiettivi istituzionali nell’interesse della comunità locale, della comunità scientifica e dell’intera società.
Nel corso del tempo abbiamo assistito a una progressiva giuridicizzazione degli obblighi previsti nel codice di comportamento. Il codice nazionale è contenuto in un regolamento approvato con D.P.R. 62/2013 che le singole Università non possono disattendere, ma al più “integrare e specificare” (art. 54, comma 5, D.lgs. 165/2001 come modificato dalla legge 190/2012). Vero è che per professori e ricercatori le norme contenute nel codice valgono come “principi di comportamento in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti” (art. 2, comma 2, D.P.R. 62/2013). E’ altrettanto vero però che detti principi sono imposti dal legislatore (al più integrati e specificati a livello locale).
E che alcuni di essi sono incompatibili prima ancora che con l’ordinamento proprio dei docenti universitari con lo status che la loro funzione dovrebbe automaticamente comportare.
Ma è il dato di sistema che deve indurre a riflettere. La giuridicizzazione contenutistica dei comportamenti ovvero la previsione normativa (ancorché come principi) dei singoli obblighi dei docenti coincide con un progressivo sfarinamento del ruolo del professore universitario, che accetta senza colpo ferire di essere assimilato a chi opera alle dipendenze di un datore di lavoro che persegue i propri interessi, e di vedersi imposti dal legislatore gli standard di comportamento. Quando è stato introdotto il codice di comportamento per i dipendenti pubblici nulla si è detto per invocare la non applicazione dello stesso ai professori universitari. O per ottenere, almeno, un trattamento identico a quello dei magistrati. L’imposizione di un codice di comportamento può essere interpretato come ulteriore passaggio che sta determinando quella che è stata definita svolta autoritaria e che consiste nell’aziendalizzazione dell’Università e nell’affermarsi di un pensiero unico che induce il conformismo.
(Fonte: R. Cubelli, G. Pascuzzi e S. Zambelli, testo integrale del post 24-03-2014)