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IL BONUS DEL GOVERNO MONTI PER RICERCATORI IN AZIENDA DOPO DUE ANNI IN GAZZETTA UFFICIALE PDF Stampa E-mail

Ci sono voluti poco più di due anni, ma alla fine il credito d’imposta rivolto a quelle aziende che puntano sulla ricerca – assumendo (a tempo indeterminato) un laureato o un dottore di ricerca – è arrivato in Gazzetta ufficiale. Correva l’anno domini 2012, il quinto dall’inizio della crisi, e la presidenza del Consiglio dei ministri era affidata al premier Mario Monti. Il decreto legge Sviluppo, contenente misure «urgenti» per il futuro dell’Italia, iniziava il suo viaggio in quel mare magnum della legislazione che l’ha portato solo adesso all’approdo finale. «Chi, nell’estate del 2012, ha assunto un “cervello non in fuga”, da metà settembre – precisa il Sole 24 Ore – potrà richiedere di beneficiare del credito d’imposta previsto dal decreto legge “sviluppo” (Dl 83/2012)», iniziando a intascare il promesso bonus pari al 35% del costo (per 12 mesi) del ricercatore per l’azienda. L’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) rivela che «nel 2012 i dottori di ricerca che hanno conseguito il titolo nel 2006 sono prevalentemente immobili, ossia non hanno mutato la regione di residenza rispetto a quella dove hanno vissuto prevalentemente fino a 18 anni o a quella ove hanno conseguito il dottorato». Solo il 7,5% dei dottori di ricerca è espatriato (una percentuale comunque assai notevole, soprattutto perché non trova un corrispettivo in quei ricercatori che dall’estero approdano annualmente nel Bel Paese), mentre il 12,2% ha spostato la propria residenza in un’altra regione (italiana).
Quei ricercatori che hanno deciso di portare il proprio cervello all’estero sono stati premiati con uno stipendio mediamente superiore del 50% a quello nostrano, e si tratta prevalentemente di «dottori che hanno intrapreso studi inerenti al ramo tecnico-scientifico», che per «veder realizzate le proprie aspirazioni di ricerca necessitano di ambienti lavorativi troppo spesso non presenti in Italia». E il resto, la grande fetta dei dottori di ricerca che rimane in Italia? Secondo l’Isfol, in questo caso l’identikit parla di un ricercatore iscritto a un albo, che esercita la propria professione in contesti lavorativi «solidi ma chiusi (si pensi agli ordini dei medici, dei farmacisti, dei notai, ecc.)» e il cui successo «spesso è condizionato da regole informali o è legato a “eredità familiari”». «Il nostro Paese – chiosa l’Isfol – continua a caratterizzarsi per la scarsa efficienza allocativa del capitale umano, in conseguenza anche della mancanza di interventi sistemici sul fronte dell’innovazione e della ricerca che assumono un ruolo ancor più rilevante in periodi di recessione economica».
(Fonte: L. Aterini, www.greenreport.it 12-08-2014)