Home 2014 20 ottobre IN EVIDENZA RECLUTAMENTO. LE ORIGINI DEL LOCALISMO BLINDATO
RECLUTAMENTO. LE ORIGINI DEL LOCALISMO BLINDATO PDF Stampa E-mail

Il meccanismo combinato dell’idoneità nazionale e dei sistemi per le chiamate e per i concorsi sembra fatto per rafforzare e non per combattere il localismo. Negli ultimi anni l’università italiana ha subito un significativo processo di riforma che ha portato all’istituzione di farraginosi meccanismi di valutazione, alle graduatorie dell’ANVUR, alla riforma dei concorsi e così via. Uno dei cambiamenti più vistosi è quello relativo all’abilitazione nazionale su cui in questo periodo sono apparsi molti articoli che hanno criticato questo o quell’’aspetto della procedura avanzando differenti proposte correttive. Ci pare però che sia rimasta fuori da queste riflessioni la questione della mobilità geografica dei docenti universitari italiani, che è forse la più importante. L’obiettivo di tutto il processo di riforma è quello di rendere le università italiane più internazionalizzate e più meritocratiche. Obiettivo certamente condivisibile. Uno dei più gravi problemi dell’università italiana è certamente il suo localismo. Si tratta di un termine assai ambiguo, che si riferisce all’atteggiamento campanilistico dei gruppi culturali dominanti all’interno delle università italiane ed in particolare prevede, come condizione necessaria per poter accedere all’insegnamento universitario, quella di aver compiuto l’intero percorso accademico in seno ad uno stesso ateneo, il cosiddetto ius loci. Non vi è dubbio che questa inclinazione penalizzi chi sceglie un percorso caratterizzato dalla mobilità. Per spezzare il localismo, il meccanismo dell’idoneità andava però accompagnato da una norma che impedisse di svolgere la propria carriera accademica all’interno della stessa università. Nella maggior parte dei paesi europei i ricercatori (o i loro equivalenti) non possono diventare professore associato (o il suo equivalente) nella propria università, analogamente il professore associato non può diventare professore ordinario (o il suo equivalente) nella propria università, ma deve trovare un’altra università che lo vuole in questo ruolo. La ragione di questa norma è decisiva: favorire la mobilità geografica dei docenti, il loro rimescolamento nelle varie università per evitare i fenomeni tipici del localismo.
La legislazione italiana invece incentiva il localismo attraverso un complesso meccanismo grazie al quale, utilizzando lo stesso budget, un’università può promuovere ad ordinari 5 professori associati della propria università o chiamare un solo esterno per ricoprire un analogo ruolo. È chiaro che nessuna università sceglierà di privilegiare un esterno contro 5 propri docenti, già dichiarati scientificamente idonei. Trasformando i concorsi in un sostanziale avanzamento di carriera, la legge non ha però modificato le modalità con cui devono essere organizzati i concorsi per i posti di ricercatore che costituiscono la principale modalità di reclutamento e sono rigorosamente gestiti su base locale. Per cui abbiamo un primo ingresso nella carriera docente che avviene su base strettamente locale, e determinerà tutta la successiva carriera dello studioso nel caso decida di rimanere in Italia. Per concludere una facile profezia: i vincitori dei concorsi per associato saranno solo i ricercatori dell’università che bandisce quei posti.
(Fonte: http://tinyurl.com/ncwvtl6  27-09-2014)