Home 2014 20 ottobre CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI CLASSIFICHE DEGLI ATENEI. SFUGGE IL "VALORE MEDIO" DEL PRODOTTO DELL'UNIVERSITÀ: IL LAUREATO
CLASSIFICHE DEGLI ATENEI. SFUGGE IL "VALORE MEDIO" DEL PRODOTTO DELL'UNIVERSITÀ: IL LAUREATO PDF Stampa E-mail

Quanto peso dare alle "classifiche" che annualmente più o meno dalla fine del secolo tentano un ranking globale? Esistono almeno tre grandi classifiche mondiali. La prima è stata quella redatta dalla rivista Times Higer Education in collaborazione con QS (Quacquarelli Sysmonds è un'agenzia britannica fondata da Nunzio Quacquarelli, un inglese di lontana discendenza italiana): da essa sono nati due ranking globali, uno per ciascuno dei due soggetti che inizialmente collaboravano. Con essi ormai da qualche anno compare la classifica Arwu (Academic Ranking of World Universities), realizzata dall’Università Jiao Tong di Shanghai. Analizzando le classifiche, si possono trovare nelle prime posizioni poche sorprese o molte conferme rispetto a quanto anche i non addetti possono pensare: per esempio si può scoprire che nelle prime dieci - dodici posizioni trovano sempre — anche se in ordine diverso a seconda di chi fa la classifica — i nomi più famosi, come il Mit, Harvard, Oxford, Berkeley, il Caltech, Princeton, Stanford, Cambridge, la Columbia.
Questo non dovrebbe impressionare più di tanto: chi non sapeva già che il Mit è una delle migliori università del mondo? E che dire di Stanford?
Lungi da un affronto sistematico e analitico del problema, impossibile in questa sede, il tema vero delle classifiche è, infatti, la scelta dei criteri. Da un rapido confronto dei meccanismi con cui questi ranking vengono stilati appare chiaro che l'interesse è fortemente orientato alla ricerca e all'esito post-laurea del percorso accademico (per esempio si contano i premi Nobel e le medaglie Fields che hanno frequentato l'università in esame), e si pone grande attenzione a elementi che potremmo dire "procedurali" del sistema formativo, quali ampiezza delle aule, infrastrutture fisiche e tecnologiche ecc. che sono tutte cose assolutamente importanti da tenere in conto in una valutazione complessiva di un ateneo. Quello che non risulta chiaramente dai ranking (e il discorso dovrebbe essere trasferito a livello italiano, prendendo i primi ranking realizzati dell'Anvur) è il "valore medio" del prodotto dell'università: il laureato. Noi, da bravi provinciali italiani, possiamo continuare a pensare che altri sistemi accademici siano per noi inarrivabili come per esempio quello anglosassone. Ma ci sono campi — per esempio le scienze naturali: fisica, matematica, le biotecnologie — nei quali i nostri laureati riescono molto bene a competere con tutti gli altri studenti, anche nel sistema anglosassone. Quindi gli italiani sembrano "giocarsela" alla pari con i più quotati colleghi inglesi, americani, ecc. Aprire gli occhi su questo aspetto, e cercare di valorizzarlo, cioè di trovare un modo perché emerga come punto qualificante in una valutazione competitiva con altre università, potrebbe essere una strada utile per fare crescere il sistema universitario italiano, magari favorendo sempre più la messa in rete di punti di eccellenza del nostro territorio. Altrimenti dovremmo accettare in modo illogico un paradosso: quello di avere in alcuni settori università scadenti (secondo i ranking) che producono laureati eccellenti e in grado di competere con chiunque nel mondo.
(Fonte: N. Sabattini, ilsussidiario.net 06-10-2014)