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RICERCATORI ITALIANI: INVESTIMENTI E STIPENDI SOTTO LA MEDIA EUROPEA PDF Stampa E-mail

È necessario fare una prima distinzione tra i ricercatori universitari e quelli degli enti di ricerca. I primi, secondo analisi fatte in materia negli anni, possono arrivare a percepire una retribuzione lorda mensile iniziale di 1.705 euro per poi ottenere (a fine carriera) un compenso massimo di 5.544 euro. I secondi percepiscono una media di 2.400 euro con la possibilità di poter diventare (dopo tanti anni di una carriera evidentemente lenta) un dirigente di ricerca con uno stipendio di 7.500 euro al mese. Evidentemente non abbastanza. Tant'è che in molti preferiscono lasciare il nostro Paese per trasferirsi all'estero, dove i compensi sono più sostanziosi e dove fondi pubblici e privati investono (molto) di più rispetto a quanto accade qui in Italia. Il nostro è infatti tra i Paesi dell’Unione europea e del G20 a spendere di meno in Ricerca e Sviluppo, con un investimento – sostenuto da imprese, istituzioni pubbliche, università e organizzazioni private non profit - pari all’1,25% del PIL nel 2011 (19,8 miliardi di euro). Una percentuale più bassa rispetto alla media europea del 2,05%, e lontanissima dal target del 3% fissato dalla strategia Europa 2020.
Aumentare i compensi ai ricercatori potrebbe essere un riconoscimento nei confronti di una categoria che conta tra le proprie fila alcune tra le menti più influenti del mondo: 55 nostri connazionali sono stati inseriti nella classifica stilata dall'Istituto Thomson Reuters, che ha individuato i 3.200 ricercatori con più citazioni in lavori scientifici nel periodo 2002-2012 (The World's Most Influential Scientific Minds: 2014).
Secondo uno studio pubblicato dal Times Higher Education, che ha passato in rassegna le università di trenta Paesi, valutandole in base al rapporto tra il reddito d’impresa e il profitto derivato dalla ricerca privata, per ogni ricercatore sudcoreano vengono investiti 97.900 dollari. In Italia, che conquista un modesto 24° posto, un ricercatore 'vale' 14.400 dollari (cinque volte in meno rispetto agli olandesi, terzi in classifica con 72.800 dollari). Stipendi ed investimenti non rappresentano tuttavia le uniche note dolenti per l'Italia che, pur risultando tra i Paesi più abili a far crescere giovani talenti, non riesce a ‘trattenerli’ una volta conclusa la loro formazione.
L'Italia occupa infatti il 36° posto della classifica stilata dallo Human Capital Leadership Institute di Singapore (Global Talent Competitiveness Index) che ordina 103 Paesi a cui è possibile ricondurre l’86,3% della popolazione e il 96,7% del Prodotto interno lordo globale. Secondo lo studio in questione, qui da noi vi è una limitata mobilità sociale (77° posto), una scarsa disponibilità di venture capital ed è piuttosto difficile fare impresa (95° posto). Tutti fattori che inducono i ricercatori – italiani e non – a condurre la loro carriera professionale lontano dal nostro Paese.
(Fonte: Tgcom24 13-11-2014)