Home 2015 18 marzo VARIE LA CODIFICAZIONE DIGITALE ACCENTUA LA DIFFERENZA TRA DATI E INFORMAZIONE E NE SQUILIBRA IL RAPPORTO
LA CODIFICAZIONE DIGITALE ACCENTUA LA DIFFERENZA TRA DATI E INFORMAZIONE E NE SQUILIBRA IL RAPPORTO PDF Stampa E-mail

Si stima che nel 2020 ci saranno 500 miliardi di dispositivi connessi a Internet. Una sovrabbondanza di dati in entrata e in uscita, ma il tempo quotidiano a disposizione è e resta limitato. La selezione dei dati per costruire informazione richiede tempo e risorse analitiche, sia sul lato dell’offerta che della domanda. La codificazione digitale accentua – anziché ridurre – la differenza tra dati e informazione e ne squilibra il rapporto. Per due motivi. Il primo è la “datificazione” dell’informazione. Il secondo ne è una conseguenza: la digitalizzazione espande più che proporzionalmente la produzione di dati, poiché richiede la produzione supplementare di dati digitali (metadati) necessari a generarli, classificarli, archiviarli, esplorarli e utilizzarli. La codificazione digitale, infatti, decontestualizzando e atomizzando l’informazione, esige che altra informazione venga generata per descriverla e per collegarla ad altre descrizioni. La digitalizzazione e la circolazione in rete accentuano le caratteristiche di autoreferenzialità e di autopropulsione della produzione di dati, amplificando la scala della loro crescita. Le imprese, la pubblica amministrazione, le organizzazioni non-profit, le aziende sanitarie, i servizi di sicurezza, qualunque tipo di organizzazione che applica tecnologie digitali di rete ai processi produttivi e gestionali generano quantità ciclopiche di “big data” che si accumulano e lievitano per le loro stesse procedure di raccolta e archiviazione, sono sovradimensionati rispetto alle capacità analitiche dei database relazionali ordinari, non diventano informazione. L’espansione della cosiddetta “Internet of Things” (IoT) e della “Machine-to-Machine” (M2M) con cui i dati digitali vengono emanati e comunicati direttamente da oggetti provvisti di sensori (autoveicoli, elettrodomestici, impianti sanitari, etc.) o da “smart objects” tramite dispositivi di comunicazione autonomi, contribuisce a far impennare in modo esponenziale la produzione di dati digitali, dando luogo a quello che viene nominato “data deluge” e stimato con unità di misura fantasmagoriche (exa-zetta-yottabyte). La sovrapproduzione di dati digitali ostruisce il canale diretto tra utente e informazione che ci si aspetta con l’accesso a Internet e al World Wide Web, aumenta la necessità di operatori e servizi di intermediazione per navigare nell’oceano dei dati, e quindi assegna un ruolo centrale agli intermediari che si specializzano nella raccolta e nella gestione dei “big data”, per farli parlare. Man mano che i dati si espandono, non è più possibile concentrare nello stesso dispositivo l’accesso e l’archivio, occorre spostare i dati nella “cloud” e delegarne la gestione, la ricerca, l’elaborazione agli specialisti. (Fonte: P. Fariselli, mentepolitica.it 14-02-2015)