Home 2015 14 aprile RIFORMA UNIVERSITARIA CINQUE ARGOMENTAZIONI SULLA PROPOSTA DEL RUOLO UNICO DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA
CINQUE ARGOMENTAZIONI SULLA PROPOSTA DEL RUOLO UNICO DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA PDF Stampa E-mail

(1) Si tratta nella sostanza, e al netto del prevedibile restyling terminologico, di una proposta vecchissima. Da sempre sostenuta dalle parti più politicizzate dell’università, è un vecchio sogno di molti, che di tanto in tanto viene riesumato col solito velleitarismo. Si tratta in altre parole della carriera automatica e antimeritocratica per tutti. Certo, può piacere a qualcuno, ma la sostanza rimane quella: carriera per tutti indipendentemente dal merito. Caos decisionale e organizzativo, decisioni importanti in mano ad assemblee di non precisata natura ed eventualmente condotte da qualche professionista della politica accademica, ecco quali sarebbero le prime conseguenze. Uno spettacolo già visto altrove, che adesso si vuole importare anche all’università. Si tratta, in altre parole, della ope legis continua.

(2) La proposta sulla valutazione continua, implicita a questa sul ruolo unico, fa abbastanza sorridere. I motivi sono assai semplici. Una valutazione continua (specialmente se basata su parametri nazionali come da più parti ho sentito) è impossibile da realizzare: troppe le particolarità, troppe le differenze, troppi i casi da analizzare. Essa si trasformerebbe nel migliore dei casi in una nuova versione dei giudizi di idoneità, che tanta devastazione hanno portato. Nel peggiore dei casi si fisserebbero dei parametri generali, di gradimento alla massa, che finirebbero per penalizzare immancabilmente le persone migliori e meno inquadrate (le cui abitudini creative, come noto, sono molto invise al gusto medio e sfuggono alle medie). Inoltre, finirebbero per indirizzare l’attività creando una forse distorsione di quelle che sono le libertà intellettuali basilari insite al nostro ruolo. Non è un caso che tutte queste proposte parlino di valutazione, ma in nessuna si dica esattamente come si vorrebbe farla (il che la dice lunga sulla serietà delle proposte stesse). Quindi, credo che chiunque voglia avanzare proposte del genere, debba farlo presentando una descrizione seria di come andrebbe fatta la valutazione in dettaglio, altrimenti si parla del nulla. Altrimenti, meglio tacere, meglio che fare brutta figura.

(3) La proposta è descritta con un linguaggio che trovo di sapore demagogico. Si parla di vassallaggio, di baronaggio, di sistema feudale, si elencano tutti i peggiori luoghi comuni che troviamo sulla stampa quando si parla di università e che ora vengono usati proprio da parti dell’università stessa. Personalmente lo trovo intollerabile. Si parla addirittura di apartheid. Si usano paroloni. Si parla di “omaggio vassallatico-beneficiario” come se le abitudini di alcuni fossero quelle di tutti. Il tutto atto a far sembrare lo status quo italiano una singolarità innaturale e obsoleta. Invece è tutto il contrario: in tutto il mondo i professori universitari si dividono in tre fasce e il passaggio è regolato da meccanismi spesso molto più selettivi dei nostri e, soprattutto, fortemente competitivi. Nessuno si sogna di sindacare questa organizzazione, poiché serve. Serve a creare incentivi, serve a evitare il caos, serve a creare merito. Il ruolo unico esiste solo al liceo, che molti segretamente vedono come il modello a cui arrivare. Il ruolo unico farebbe diventare l’università italiana un qualcosa che vista da fuori apparirebbe come una strambissima singolarità mondiale.

(4) Una cosa del genere, è bene ripeterlo, servirebbe soltanto a completare quel processo di appiattimento verso il basso, di svilimento delle eccellenze e di livellamento generale a cui da anni assistiamo nelle università italiane (con la soddisfazione di qualcuno, evidentemente). Un malinteso senso di democrazia, che vuol dire uguali opportunità per tutti, non uguali meriti per tutti, ha già portato il meccanismo decisionale a essere spesso preda di assemblee dalle quali non possono che emergere persone che non vengono selezionate con meccanismi di merito. In altre parole, si parla di governare l’università con meccanismi politici. Qui si rafforzerebbe questa tendenza.

(5) Trovo intollerabile il legare la proposta del ruolo unico, che mi pare serva ad assecondare i desideri di qualcuno che mal sopporta le carriere fatte per merito, al problema del precariato, dei giovani ricercatori etc. Sono strumentalizzazioni che si commentano da sole. Le due cose non sono legate. Anzi, per quanto riguarda le persone di eccellenza scappate all’estero, esse verrebbero soltanto incoraggiate a rimanere dove sono: con davanti non la possibilità di una carriera rapida e meritocratica, ma di un percorso burocratico e automatico, al pari di altri meno talentuosi. Questo quando nei paesi più avanzati la carriera può essere fulminea per i migliori (ma si sa, è questo un concetto fastidioso per alcuni). Non solo, ma il progressivo avanzamento automatico di tutti andrebbe a drenare le risorse, impedendo a nuovi e freschi talenti di entrare e farsi spazio. D’altra parte, cos’altro ha fatto l’ope legis (che qui si pretende di stabilizzare) se non tagliare le gambe a tanti giovani e creare colli di bottiglia generazionali?

(Fonte: G. Mingione, commento a un articolo su Roars 23-03-2015)