Home 2015 18 maggio VARIE ISTANTANEA (TRISTE) DEL NOSTRO SISTEMA UNIVERSITARIO
ISTANTANEA (TRISTE) DEL NOSTRO SISTEMA UNIVERSITARIO PDF Stampa E-mail

Negli ultimi anni il sistema universitario italiano è stato interessato da molteplici interventi sul piano della governance, del funzionamento, dell’organizzazione dell’offerta formativa, del reclutamento. L’ultimo in ordine cronologico risale al 2010 ed è stato accompagnato dalla riduzione in meno di tre anni del 15% del fondo di funzionamento ordinario a cui ha fatto da corollario una fortissima limitazione del turn over. L’opinione di chi scrive è che tali scelte, definite convenzionalmente “riforme”, per ragioni diverse abbiano inciso negativamente sull’offerta formativa, indebolito la capacità di ricerca, cronicizzato il ricorso al lavoro precario, pregiudicando la funzione pubblica e la missione istituzionale dell’università proprio in una particolare congiuntura che avrebbe richiesto la sua completa realizzazione. Oggi il nostro paese si colloca ben al di sotto della media europea per finanziamenti all’università, per numero di studenti iscritti e laureati, per numero di ricercatori e dottori di ricerca in rapporto alla popolazione. La spesa cumulativa per studente universitario ci vede sedicesimi su 25 nazioni considerate; il corpo docente dell’università è diminuito del 22% negli ultimi dieci anni. I corsi nella medesima percentuale. Gli iscritti delle nostre università al primo anno erano 338.482 nell’anno accademico 2003-04 e si sono ridotti a 260.245 nell’anno accademico 2013-14. In compenso, le tasse di iscrizione sono aumentate in media del 50%, passando da 632 a 948 euro per anno e diventando tra le più alte in Europa. Come risulta dal rapporto dell’OCSE “Education at a Glance” abbiamo solo il 21% di laureati nella fascia 25-34 anni, occupando il trentaquattresimo posto su 37 nazioni. Un indicatore che rimane stabile da alcuni anni in Italia, mentre continua a crescere in tutto il resto del mondo. In Corea del Sud hanno raggiunto il 64% nel 2011 (erano il 37% nel 2000 e meno del 10% nel 1980). In Giappone sono il 59%, in Canada e in Russia il 57%, in Gran Bretagna il 47%, in Francia il 43%. Negli ultimi dieci anni l’università ha espulso più di 93 ricercatori precari su 100, ed è riuscita a superare il definanziamento solo attivando altri contratti precari: mediamente tra i 13 e i 30 per ogni singolo ricercatore in meno di dieci anni. Il nostro corpo accademico è composto oggi per il 48,35% da docenti e ricercatori strutturati e per la restante parte da assegnisti di ricerca (17,4%), dottorandi (28,1%), ricercatori a tempo determinato (6,2%). Nel 2014 ci sono stati 2324 pensionamenti, mentre sono stati attivati solo 141 contratti a tempo determinato in tenure track. (Fonte: F. Sinopoli, n. 1 di Italianieuropei 2015 )