Home 2015 8 luglio IN EVIDENZA IN ITALIA IL LIVELLO MEDIANO DI IMPATTO DELLE PUBBLICAZIONI UNIVERSITARIE SULLA RICERCA INTERNAZIONALE È SOSTANZIALMENTE PARI A QUELLO U.S.A.
IN ITALIA IL LIVELLO MEDIANO DI IMPATTO DELLE PUBBLICAZIONI UNIVERSITARIE SULLA RICERCA INTERNAZIONALE È SOSTANZIALMENTE PARI A QUELLO U.S.A. PDF Stampa E-mail

In base al parametro di impatto dei prodotti della ricerca, indipendente dalla dimensione della singola istituzione, il Normalized Impact (come definito dal Karolinska Institutet svedese ed elaborato da Scimago), in Italia il livello mediano di impatto delle pubblicazioni universitarie sulla ricerca internazionale è sostanzialmente pari a quello U.S.A. (leggermente superiore per l’Excellence Rate, leggermente inferiore per il Normalized Impact). Ciò significa (in prima approssimazione) che i nostri ricercatori sono, mediamente, almeno altrettanto validi e produttivi di quelli statunitensi (e ciò nonostante le enormi differenze nei rispettivi livelli di finanziamento). Sono però distribuiti in modo molto più omogeneo (o casuale, il che – statisticamente – ha quasi lo stesso significato). L’eccellenza U.S.A. è concentrata su poche università. In entrambi i ranking esaminati, il migliore ateneo italiano, se “trasferito” in U.S.A., si collocherebbe al 12° posto, insieme o al di sopra di prestigiosissime istituzioni come Columbia, Yale o U.C.L.A., per fare qualche esempio. Reciprocamente, meno del 3% delle università statunitensi si collocherebbe in testa alla classifica italiana. La distanza tra le migliori e le peggiori università è in U.S.A. più che doppia rispetto alla situazione italiana. Alle (importantissime, ma poco numerose) eccellenze fanno da “contrappeso” un numero molto maggiore di istituti con risultati estremamente bassi. In particolare, il 15% circa delle Università U.S.A. è al di sotto della peggiore posizione italiana per quanto riguarda l’Excellence Rate (addirittura il 21% per il Normalized Impact). La situazione aggregata dell’Europa occidentale è in qualche modo intermedia, con livelli particolarmente bassi (al di sotto dei valori U.S.A.) nel 4° quartile.
Le elaborazioni sopra riportate differiscono, anche in maniera molto significativa, da altre più ampiamente pubblicizzate, in quanto rigidamente indipendenti dalla dimensione. E’ ovvio, infatti, che essere “grosse” Università non implica necessariamente essere “grandi”: nella classifica mondiale Scimago per output (numero assoluto di paper Scopus pubblicati) la prima Università Italiana è la Sapienza di Roma, al 58° posto. Una sua ipotetica “fusione” con l’Alma Mater di Bologna (2° posto in Italia, 95° al mondo) creerebbe un soggetto che – nella stessa classifica – sarebbe tra le prime 10 università del pianeta, ma ciò non aggiungerebbe una virgola alla qualità della ricerca universitaria in Italia. Tutto ciò significa che la nostra “nazionale” è assolutamente competitiva a livello internazionale (nonostante, lo ricordiamo, il sistema universitario nazionale risulti largamente sotto finanziato rispetto ai competitors internazionali), mentre il nostro “campionato” è molto più livellato che negli U.S.A. Potremmo dire che gli atenei italiani giocano tutti in serie A, anche se con posizioni diverse in classifica. (Fonte: N. Costantino, Roars 02-06-15)