Home 2015 8 luglio IN EVIDENZA UN EMENDAMENTO AL DDL SULLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (NEI CONCORSI PUBBLICI AVRÀ PESO NON SOLO IL VOTO DI LAUREA MA ANCHE L'ATENEO DOVE LA LAUREA È STATA CONSEGUITA) HA SUSCITATO ALLARME PER POSSIBILE ABOLIZIONE SURRETTIZIA DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO
UN EMENDAMENTO AL DDL SULLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (NEI CONCORSI PUBBLICI AVRÀ PESO NON SOLO IL VOTO DI LAUREA MA ANCHE L'ATENEO DOVE LA LAUREA È STATA CONSEGUITA) HA SUSCITATO ALLARME PER POSSIBILE ABOLIZIONE SURRETTIZIA DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO PDF Stampa E-mail

Il 2 luglio 2015 la Commissione Affari costituzionali della Camera, discutendo il provvedimento "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (C. 3098 Governo, approvato dal Senato)", ha approvato il seguente emendamento presentato da

Marco Meloni: Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere la seguente: b-bis) superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l'accesso ai concorsi e possibilità di valutarlo in rapporto a fattori inerenti all'istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di studenti, ferma restando la possibilità di indicare il conseguimento della laurea come requisito necessario per l'ammissione al concorso.

Finora nei concorsi il voto ha il suo peso, mentre, almeno nella fase delle prove basata sui punteggi, l'università che ha rilasciato il titolo accademico non fa testo. Adesso si propone di cambiare:ad esempio, ha spiegato Meloni, «il mio voto verrà considerato a seconda del voto medio che viene dato nella mia facoltà. Vogliamo impedire che gli studenti scelgano un certo indirizzo solo perché il meccanismo di valutazione è più generoso». Ovviamente il meccanismo sarà definito nei decreti attuativi del ddl Madia, ma il concetto è chiaro: il voto preso in se stesso, slegato da tutto il resto, non dovrebbe più essere un elemento chiave. La Pubblica Amministrazione dovrebbe puntare anche la lente sul tipo di ateneo e più in generale sull'ambiente di cui quel voto è il frutto.

La polemica è nata immediata, tanto da lasciare quasi sorpreso il deputato democratico Marco Meloni, autore dell’emendamento che inserirebbe questo nuovo punto del curriculum di ogni potenziale candidato tra i vari fattori da valutare ai fini della vittoria di un concorso pubblico. “La mia originaria proposta prevedeva semplicemente l’abolizione del voto minimo di laurea (che, ad oggi, non è previsto da alcuna norma, ma che è previsto solo nel caso di alcuni bandi, come, per esempio, Bankitalia e università, n.d.r.) quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici“.

Altra intenzione dell’emendamento Meloni era quella di evitare che uno studente, alunno di un’università seria e “di manica stretta” quanto a voti, sia penalizzato rispetto al suo collega che ha studiato in un ateneo dal “110 e lode facile”. Negata anche ogni volontà di attenuare il valore legale del titolo di laurea. Le obiezioni più frequenti: se, dicono in molti, il criterio da considerare è quello del “valore” dall’università frequentata, chi si laurea in un ateneo poco prestigioso non avrà alcuna chance rispetto a chi va a studiare in un ateneo dalla fama indiscussa. Non casualmente, poi, nella classifica delle università migliori, ben 15 sono dislocate al Nord.

«In modo surrettizio, si introdurrebbe l'abolizione del valore legale del titolo», ragiona Gianfranco D'Alessio, docente di diritto amministrativo a Roma Tre. Stefano Paleari, presidente della CRUI, rileva: «Io dico soltanto che o si è ipotizzato di rivedere una impalcatura giuridica relativa al titolo di studio, e non ne ho notizia, oppure non ha senso. Ogni singolo ateneo viene valutato dall'Agenzia ANVUR che accredita le università. Se un ateneo è accreditato dall'ANVUR per l'erogazione di quel corso di laurea vuol dire che il laureato di quel corso di quella citta è pari a quello di un'altra. E basta». Numerosi rettori si sono ribellati all'idea che venga considerato il peso dell'ateneo nel quale ci si laurea perché, hanno detto, il criterio di selezione dei docenti universitari è lo stesso in tutta Italia e anche i loro stipendi sono gli stessi ovunque: perciò le università sono in teoria tutte uguali. Ciò che davvero cambia, ma questo i rettori evitano di dirlo, è che invece una stessa materia viene trattata in maniera molto differente da ateneo ad ateneo. Per questo appare giusto, ha rilevato L. Eduati, che uno studente che abbia preso 110 e lode in una università dove raramente questo voto viene concesso, sia valutato in maniera migliore di uno studente che si è laureato in un ateneo dove i voti sopra il 105 sono la regola. Perché va ancora difeso iI valore legale del titolo di studio?, è stato chisto a S. Settis, che ha risposto: «A volerlo abolire sono i sostenitori di un mercato totalmente liberalizzato. Senza un riconoscimento pubblico, prevalgono inesorabilmente concorrenza, libero mercato, legge del più forte. Negare che la sanzione statale rende valido un titolo di studio spalanca le porte a cinquant'anni di caos. E' giusto snellire la burocrazia legata a esami, abilitazioni e concorsi, anche perchè è assurdo che per alcuni mestieri ci sia un ordine professionale e per altri, come per noi archeologi, no. Però un riconoscimento pubblico, oggettivo della validità del percorso di studi è stata una conquista democratica. Va difesa dagli attacchi come questo». Ma ha frenato la senatrice dem Francesca Puglisi: «Questo emendamento verrà corretto in aula». Infine il ministro Marianna Madia ha detto la parola definitiva: «Il governo il 13 luglio in aula ritirerà l'emendamento» contestato. (Fonti: corriereadriatico.it, QN, La Repubblica, La Stampa, Huffington Post, Unità 02-04/07/15)