Home 2015 8 luglio RIFORMA UNIVERSITARIA USCITA DELL'UNIVERSITÀ DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE? UN'ALTERNATIVA RAGIONEVOLE
USCITA DELL'UNIVERSITÀ DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE? UN'ALTERNATIVA RAGIONEVOLE PDF Stampa E-mail

In un documento non si sa quanto ufficiale del PD riferentesi alla c.d. Buona Università ha suscitato molto interesse la frase «Restituire autonomia agli Atenei con l’uscita dell’università dal campo di applicazione del diritto amministrativo (cioè dalla pubblica amministrazione)». Nicola Casagli su Roars online ha tratto lo spunto da questa asserzione per proporre invece la possibilità di "mantenere l’attuale natura giuridica delle Università statali, eliminando semplicemente alcuni dei vincoli impropriamente introdotti". Di seguito si prova a sintetizzare gli argomenti essenziali del lungo articolo.
Secondo il previgente Sistema Europeo dei Conti SEC95 l’impatto su disavanzo e debito veniva considerato significativo nei casi in cui i ricavi per proprie prestazioni di servizi non riescano a coprire una quota superiore al 50% dei costi di produzione. Di fatto questo non è il caso per molte Università statali oggi. Il fatto poi che le Università non siano menzionate nemmeno una volta nelle 235 pagine che costituiscono il Manuale SEC95 del disavanzo e del debito pubblico, è forse la migliore dimostrazione che forse esse non c’entrano niente con il sistema europeo di conti economici integrati. Se poi si considera il nuovo SEC2010 – vigente in Italia dallo scorso anno –, la principale innovazione risiede nel fatto che le spese per ricerca e sviluppo (R&S) sono ora riconosciute come una “spesa di investimento” da cui origina la creazione di prodotti della proprietà intellettuale. Pertanto le spese di R&S diventano parte della domanda finale e contribuiscono quindi al Prodotto Interno Lordo (PIL), mentre in precedenza erano considerate come “costo intermedio” dell’unità economica che la effettuava. Quindi adesso se un’Università riesce ad attrarre più studenti e a fare ricerca e innovazione con maggiori risorse su progetti, il risultato è che aumenta il PIL e assolutamente non si genera né disavanzo né debito. Non ci sono pertanto ragioni né giustificazioni per imporre assurde regolamentazioni per il controllo della spesa, o per limitare l’accesso dei capaci e meritevoli alla formazione superiore e alla ricerca, a meno che l’intento non sia quello di deprimere il PIL.
Nell’elenco ISTAT della PA erano finite anche le società di diritto privato che godono di prevalente o esclusivo finanziamento pubblico. Ma questo avrebbe bloccato il grande evento dell’Expo di Milano, che pare strategico per la ripresa del Paese, per cui tutti abbiamo fatto straordinari sacrifici.
Noi universitari in primis, con il taglio del 20% del Fondo di Finanziamento Ordinario disposto dal DL 25 giugno 2008, n. 112 (poi Legge 6 agosto 2008, n. 133) e con il blocco ormai quinquennale delle progressioni stipendiali imposto dal DL 31 maggio 2010, n. 78 (poi Legge 30 luglio 2010, n. 122) e successive reiterazioni. Per mettere una pezza al problema dell’Expo 2015 è tempestivamente arrivata la Legge 23 dicembre 2014, n. 190 – cosiddetta Legge di Stabilità 2015 – che con l’art.1 comma 547 (sic) si premura di specificare: Le norme di contenimento delle spese per l’acquisto di beni e servizi nonché quelle limitative delle assunzioni di personale, anche con forme contrattuali flessibili, previste dalla legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell’elenco dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non si applicano, fino al 31 dicembre 2015, alla società Expo 2015 Spa, in considerazione del suo scopo sociale. Non si potrebbe semplicemente fare lo stesso per le Università? Modificando lo stesso comma nella prossima legge di stabilità, così:
Le norme di contenimento delle spese per l’acquisto di beni e servizi nonché quelle limitative delle assunzioni di personale, anche con forme contrattuali flessibili, previste dalla legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell’elenco dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non si applicano alle Università e agli Enti di Ricerca in considerazione del loro scopo sociale, del loro ordinamento autonomo riconosciuto dalla Costituzione e dalla Legge, nonché del concorso al benessere e allo sviluppo economico e sociale della Nazione connesso alle loro attività istituzionali di formazione, ricerca, sviluppo e innovazione. (Fonte: N. Casagli, Roars 29-05-15)