Home 2015 8 luglio UE. ESTERO BOICOTTAGGIO SILENTE DELLA RICERCA ISRAELIANA
BOICOTTAGGIO SILENTE DELLA RICERCA ISRAELIANA PDF Stampa E-mail

C'è un boicottaggio dello stato ebraico di cui non si parla, meno roboante degli annunci delle rock star, un boicottaggio sinuoso, latente, silente, che colpisce le università israeliane.
Nel 2002, anno di inizio della campagna dell'ostracismo accademico contro Israele, Paul Zinger, dell'Associazione scientifica d'Israele, rivelò che più di settemila ricerche scientifiche venivano mandate da Israele all'estero ogni anno. Decine di lavori scientifici tornarono indietro con la motivazione: "Ci rifiutiamo di esaminare i documenti". Quel fenomeno adesso appare fuori controllo. Zeev Zahor, preside del Sapir College, sul maggiore giornale israeliano, Yedioth Ahronoth, parla di "esclusione silenziosa degli accademici israeliani". "Ho aspettato per la pubblicazione del mio articolo nel prossimo numero, e poi nel numero successivo ancora, ma non è successo niente. Non c'era né la pubblicazione, né una lettera di rifiuto. Ho inviato l'articolo di nuovo, nel caso in cui ci fosse stato un errore di email, e non ho ricevuto risposta". E' così che si tronca la cooperazione fra accademici israeliani ed europei. "Il boicottaggio accademico è illegittimo secondo tutte le organizzazioni accademiche del mondo", dice al Foglio il professor Zvi Ziegler, matematico al Technion (Istituto tecnologico di Haifa) e capo del principale forum scientifico israeliano che combatte il boicottaggio. "E' contro il progresso, così non troverà università o accademici europei che ufficialmente boicottano Israele. Ma molti lo fanno in maniera silenziosa, dietro le quinte. Se ad esempio sei il direttore di una rivista scientifica e ti arriva un articolo da un israeliano, quello che ti basta fare per distruggerlo è mettere quel saggio sotto tutti gli altri, farlo morire sotto le scartoffie. Accade. Lo stesso avviene per docenti che si rifiutano di firmare lettere di raccomandazione per gli israeliani, adducendo magari ragioni come la mancanza di tempo". (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 09-06-15)