Home 2015 7 settembre LAUREE-DIPLOMI-FORMAZ. POST LAUREA-OCCUPAZIONE SULLA VALUTAZIONE DEL VOTO DI LAUREA NEI CONCORSI PER L’ASSUNZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI STATALI
SULLA VALUTAZIONE DEL VOTO DI LAUREA NEI CONCORSI PER L’ASSUNZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI STATALI PDF Stampa E-mail

Nel disegno di legge sulla pubblica amministrazione è stato prima introdotto (nell’iter in Commissione) e poi soppresso (in Aula) un emendamento relativo all’opportunità di “pesare” il voto di laurea nei concorsi per l’assunzione nelle amministrazioni statali. L’emendamento soppresso prevedeva, congiuntamente, un insieme di scelte tra loro notevolmente disomogenee, il che creava molta confusione. Il tema dei requisiti per l’accesso veniva mescolato con quello degli eventuali punteggi per titoli, e sul voto si sanciva una “possibilità di valutarlo” in rapporto sia a “fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato” sia al “voto medio di classi omogenee di studenti”. Ebbene, il secondo di questi elementi fa riferimento non all’istituzione, bensì a come il laureato si collochi rispetto ai suoi colleghi. Si tratta di un criterio largamente adottato in vari contesti internazionali, nei quali (proprio per l’impossibilità di confrontare “voti” dati in realtà diverse) l’interessato viene considerato in relazione al “decile” (in altri casi, al “quartile”) in cui si colloca: è nel 10 per cento (o, rispettivamente, nel 25 per cento) con il risultato migliore, oppure nel secondo gruppo o nel terzo? Si guarda cioè non alla valutazione “assoluta”, bensì a quella “relativa”; il che appare molto opportuno, poiché una qualunque commissione esaminatrice può avere ottimi criteri di comparazione, mentre raramente esiste la possibilità di un confronto pienamente soddisfacente tra gli standard utilizzati da commissioni differenti. Attraverso i decili o i quartili risulta quindi ben valutato chi, nel contesto in cui si è trovato a operare, ha raggiunto una posizione buona. L’altro riferimento presente nel testo, quello relativo all’istituzione che ha conferito il titolo, avrebbe invece un effetto ben diverso, in quanto farebbe pagare al laureato un elemento che dipende non dalla qualità o dall’impegno suo, bensì dal giudizio che l’ateneo può aver riportato in qualche sede di valutazione.
Proprio quest’ultimo aspetto ha provocato, dopo l’approvazione in Commissione, una marea di critiche che ha indotto alla cancellazione dell’emendamento: con l’acqua sporca è stato così gettato il bambino, poiché due elementi avrebbero meritato l’approvazione. Il primo era il riferimento alla comparazione: avrebbe dovuto essere meglio precisato, ma andava nella direzione giusta. L’altro elemento era proprio la coerenza con l’idea di “valore legale”: l’introduzione di una soglia come requisito di accesso, peggio se riferita al voto “in assoluto”, ne costituisce una negazione, ed è perciò giusto escluderla. Si noti che è stata recentemente iniziata la procedura di “accreditamento” dei corsi di studio: sarebbe del tutto contraddittorio che lo Stato non riconoscesse, per le proprie assunzioni, titoli che accredita.
Si deve perciò auspicare che, pur se questa volta l’occasione è stata persa (anche perché malamente impostata), le questioni sollevate vengano presto riproposte. In particolare, si può stabilire subito che ogni ateneo, per ogni votazione di laurea da esso certificata, debba indicare sistematicamente in quale decile si colloca rispetto alle votazioni dell’ultimo anno per lo stesso corso di laurea: anche se non vi è ancora una norma di legge che codifichi l’utilizzazione di questa informazione, è comunque significativa e – se lo desidera – l’interessato potrà inserirla nel proprio curricolo. (Fonte: G. Luzzatto, lavoce.info 24-07-15)