Home 2015 23 novembre VARIE CRISI DELLA SCUOLA. CRISI DEL DISCIPLINAMENTO SOCIALE
CRISI DELLA SCUOLA. CRISI DEL DISCIPLINAMENTO SOCIALE PDF Stampa E-mail

Perché da noi il disciplinamento sociale si mostra così debole? Perché da noi non funzionano quei meccanismi che servono a ricordare nelle più svariate occasioni che «non si può fare come si vuole», che ci sono delle regole necessarie alla convivenza per ogni violazione delle quali ci sono delle sanzioni? E perché queste non sembrano preoccupare nessuno? Un principio di risposta va cercato nella crisi profondissima che in Italia ha colpito da decenni (insisto: da decenni) la scuola, la quale - stante il forte indebolimento dell’istituto familiare, dell’influenza religiosa e la fine del servizio di leva - è divenuta da molto tempo l’agenzia primaria se non unica del disciplinamento sociale degli italiani: con esiti che sono sotto gli occhi di tutti. La scuola adempie a questa funzione di disciplinamento essenzialmente in due modi. Innanzi tutto, per l’appunto, con la disciplina: cioè inserendo il giovane in un ordine dato e non contrattabile fatto di orari, ruoli, obblighi di un certo comportamento, ed esigendone il rispetto. In secondo luogo impartendo un insieme di nozioni, le quali rappresentano però assai più che sparse conoscenze disciplinari. Nel loro insieme infatti esse costituiscono un patrimonio che affonda le sue radici nel passato e costituisce un’identità culturale messa a disposizione dello studente, implicando dunque un’idea della continuità nonché un’immagine della trasmissione da una generazione all’altra. Tutti elementi che, congiunti, implicano anche un’idea forte del legame sociale. Ma importa a qualcuno di come la scuola riesca ad adempiere il ruolo ora descritto? Non direi: oggi la scuola sembra interessare l’opinione pubblica, infatti, solo per le agitazioni di tipo sindacale degli insegnanti o per le cosiddette «lotte degli studenti». Tanto meno, poi, sembra importare quale sia il reale effetto che la scuola stessa ha sulla costruzione sociale degli italiani. Dubito ad esempio che nelle stanze di viale Trastevere sia mai giunta notizia che in moltissime realtà scolastiche italiane ormai si assiste ad una vera e propria abolizione di fatto della disciplina. Dubito che si sappia che ormai non sono affatto rari i casi, già nelle scuole medie, non solo di aperta irrisione e insofferenza da parte degli studenti verso gli insegnanti, ma addirittura di minacce e insulti nei loro confronti: e quasi sempre senza che ciò produca sanzioni degne di questo nome. Da tempo infatti nella scuola italiana - complici l’aria dei tempi, la voglia di non avere fastidi, l’arroganza di molti genitori inclini a proteggere sempre il «cocco di casa» anche se è un teppista in erba - da tempo, dicevo, domina un permissivismo distruttivo e frustrante. Un permissivismo che prende, tra le molte altre, la forma della promozione d’ufficio. Certo, non è scritta da nessuna parte (almeno suppongo), ma di fatto vige la regola che nella scuola dell’obbligo, cioè fino alla terza media, è vietato bocciare. L’effetto di tutto ciò è che in generale il meccanismo didattico risulta privo di quello che da che mondo e mondo è il solo, vero (e infatti altri finora non ne sono stati inventati), strumento di sanzione. Ma ancora più importante, però, è che, dominata da un tale meccanismo perverso, la scuola finisce inesorabilmente per perdere ogni reale capacità di insegnare qualcosa. Mi chiedo se il ministro Giannini sia consapevole di ciò che un gran numero di insegnanti potrebbero confermarle: e cioè che oggi termina la scuola dell’obbligo un grandissimo (insisto: grandissimo) numero di studenti incapaci di scrivere correttamente in italiano, di fare il riassunto di un testo appena complesso, di risolvere un pur non difficile problema di matematica. (Fonte: E. Galli della Loggia, CorSera 06-11-15)