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LA NOTTE MOLTO NERA DEI MUSEI. ERRORI FATALI DI UNA RIFORMA PDF Stampa E-mail

Su Il Mulino n. 6/2015 Tomaso Montanari presenta con il titolo "La notte dei musei e l'eclissi dell'articolo 9" una cruda rassegna degli "errori fatali" della cosiddetta riforma Franceschini (disposta dal Dpcm 171 del 29 agosto 2014, dettagliata dal Dm del 23 dicembre 2014 e in corso di applicazione durante il corrente 2015). Errori che, ad avviso dell'autore, sono essenzialmente tre.
Il primo è la separazione radicale, e direi violenta, tra tutela e valorizzazione: la prima lasciata alle soprintendenze, la seconda prospettata come unica mission dei musei. Ciò deriva dall'interpretazione, oggettivamente eversiva, della valorizzazione non come finalizzata all'aumento della cultura (come vuole - recependo il dettato costituzionale e le sentenze della Corte costituzionale - il Codice dei Beni culturali) ma invece come messa a reddito del patrimonio. Da qui l'idea di non occuparsi di luoghi improduttivi (implicitamente destinati all'estinzione: gli archivi e le biblioteche), e quella di sfilare venti supermusei (sette di prima classe, tredici di seconda) su cui concentrare risorse e attenzione. Errore nell'errore, la creazione di Poli regionali museali in cui gettare alla rinfusa tutto ciò che avanza (musei veri e propri, siti archeologici, monumenti), con l'unico criterio, brutalmente burocratico, della bigliettazione: se si paga è "valorizzazione", e dunque si va nel calderone dei Poli; se non si paga è tutela, e dunque si rimane nelle soprintendenze.
Il secondo errore radicale è aver scommesso tutto non sulle comunità scientifiche dei musei, ma sulla figura monocratica del direttore. Un errore che deriva da uno stato di fatto (quelle comunità scientifiche di fatto non esistono: e anche in alcuni dei venti supermusei lo staff si riduce letteralmente a due funzionari), ma anche da una prospettiva culturale neoautoritaria.
Se, almeno, quei direttori fossero stati scelti in modo serio e trasparente la riforma avrebbe segnato un punto sul campo. Sono stati promossi a direttori di grandi, e a volte grandissimi musei, storici dell'arte che erano curatori di sezioni di musei di secondo o terzo ordine: nemmeno uno dei nuovi nominati ha avuto esperienze lontanamente comparabili alle responsabilità che si accinge ad assumere. In due casi estremi sono state scelte figure professionali dalle competenze remotissime, e francamente incomparabili alle enormi responsabilità in gioco.
Il terzo errore radicale che ha fatto sprofondare i musei nella notte attuale è la lottizzazione politica dei loro organismi scientifici, e dunque la connessa prefigurazione di una loro sostanziale devoluzione agli enti locali attraverso la trasformazione in fondazioni di partecipazione. L'articolo 12 del secondo capo del decreto ministeriale sull'organizzazione dei musei prevede che "il Comitato scientifico è composto anche da un membro designato dalla Regione e uno dal Comune ove ha sede il museo. Il coinvolgimento degli enti locali presenta innanzitutto evidenti tratti di incostituzionalità: il patrimonio storico e artistico è "della nazione" (art. 9 Cost.), e dunque non si capisce perché il Comune di Firenze debba influenzare la direzione culturale degli Uffizi più di quello di Milano, o la Regione Veneto determinare quella dell'Accademia di Venezia più della Regione Campania.
Ma c'è un aspetto ancora più grave, ed è l'idea stessa che alla politica - e non alla comunità scientifica - spetti la nomina degli scienziati (in questo caso cultori delle scienze storiche e storico-artistiche), in un processo che rischia di assimilare le direzioni dei musei al consiglio d'amministrazione della Rai.
Queste modalità di reclutamento rappresentano il culmine della progressiva espulsione dalla guida del patrimonio culturale dei tecnici selezionati da altri tecnici sulla base delle regole della comunità scientifica. Un'espulsione che mira a evitare che il governo del patrimonio possa essere affidato a personalità d'intellettuali, i quali "anziché cedere alla continua insidia e alla tradizione delle tante trahisons", assumessero e mantenessero "ad ogni costo e in ogni caso la responsabilità dell'intervento mondano dello spirito critico». È un'evoluzione che, applicata ai musei italiani, compromette in modo ancora più radicale quella funzione civile del patrimonio culturale basata sull'indipendenza della conoscenza che è tipica della tradizione italiana, e che la nostra Carta costituzionale mette tra i principi fondamentali della comunità nazionale. In questo senso, la notte dei musei italiani rende ancora più evidente l'eclissi dell'articolo 9 della Costituzione. (Fonte: T. Montanari, Il Mulino 6/2015)