Home 2016 25 gennaio VARIE TASSE E QUALITÀ DIDATTICA NELLE UNIVERSITÀ
TASSE E QUALITÀ DIDATTICA NELLE UNIVERSITÀ PDF Stampa E-mail

Il principio che affermo – ribadisce M. Ventoruzzo replicando ai commenti a un suo precedente articolo (lavoce.info 23-12-15) - è semplicemente quello di legare maggiormente le sorti di un ateneo alla sua capacità di attrarre studenti, tramite la reputazione dei suoi docenti e ricercatori. Ciò non esclude naturalmente che oggi ci siano in Italia eccellenti studiosi ed eccellenti studenti, che in Italia (con forse maggiori difficoltà e sacrifici) o all’estero ottengono importanti risultati.
Il risvolto della medaglia è quello di chiarire agli studenti che le università non sono tutte uguali, favorire la possibilità degli studenti di scegliere il percorso di studi, e aumentare la flessibilità delle università. Ciò richiederebbe che una percentuale maggiore del finanziamento delle università derivi da una sana competizione, piuttosto che da decisioni più o meno illuminate e sistemi più o meno funzionali, ma comunque burocratici e “dall’alto”. Le tasse universitarie, per chi può, dovrebbero dunque avere una qualche correlazione al livello di servizio offerto, cosa oggi sostanzialmente impossibile anche per i vincoli legali imposti ai singoli atenei. Questo spiega anche perché la tassazione generalizzata e progressiva (naturalmente desiderabile) non è un buon sistema per correlare risorse che giungono agli atenei con i servizi offerti. Essa richiede, infatti, un sistema redistributivo gestito dallo Stato in cui dal centro si distribuiscono le risorse in base a criteri spesso discutibili. Non ho però parlato di un mercato selvaggio e spietato, bensì di un mercato regolato, in cui lo Stato avrebbe un ruolo nel certificare una qualità minima dei docenti (come già fa tramite la ASN), nell’imporre un sistema di borse di studio con effetti redistributivi, nel disciplinare le informazioni da fornire agli studenti ad esempio sul tasso di occupazione dei laureati di una specifica università, nel favorire anche fiscalmente le donazioni private alle università, nel sostenere settori di ricerca altrettanto importanti culturalmente e scientificamente, ma meno in grado di attrarre studenti. (Fonte: M. Ventoruzzo, lavoce.info 29-12-15)